Diario
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05/11/2012

I generi del cinema

Trovo molto interessante questo articolo di Marco Giusti. Nel nostro cinema mancano i generi. Quel che ci ha fatto grandi nel mondo oggi non c’è. Dunque è un problema di produzione e non solo distributivo.

Fonte: Il Manifesto

Beh. L’immagine di Crocetta vincitore in Sicilia col megafono in mano batte qualsiasi commedia e commediola all’italiana. Per non parlare di Fiorito, Er Batman del PDL, nel suo completino con cravatta Marinella e Igor Taormina a fianco nei talk show. O di Bersani alla pompa di benzina in diretta tv con Lucia Annunziata. E delle terribili vecchie incazzate mostrate da Del Debbio il lunedì sera. O dei golfini improponibili degli esperti della società civile di Gad Lerner. O di Grillo che attraversa a nuoto lo Stretto di Messina. O del reboot politico di Berlusconi con discorsetto scritto da Giuliano Ferrara.

Ma che bisogno abbiamo di andare al cinema, se il vero cinema lo abbiamo in tv o nei ristoranti o per le strade? E che bisogno abbiamo di reality alla Garrone se il vero reality è quello che vediamo con Renzi vs Bersani vs Vendola nel Grande Gioco delle Primarie del PD?

E’ stato in qualche modo un miracolo se una commedia di satira politica, fracassona ma sincera nella sua ingenuità sui mali e la corruzione del paese, come “Viva l’Italia” di Max Bruno, presentato con ben 500 copie, è riuscito (finalmente!) a vincere la corsa al Box Office della Settimana con 1.430.000 euro.

E dire che nei giorni dell’anteprima non era piaciuto granché ai critici rosiconi che ne decretavano un sicuro insuccesso. E il teatrino non si è fermato con gli incassi del primo giorno di proiezione. Non capisco, davvero, l’odio secolare della nostra critica post-aristarchiana, post-fofiana verso i nostri film comici, le commedie, i film di genere. E il dileggio verso i cinepanettoni? Fanno i soldi. E allora? Cosa altro dovrebbero fare? Dovrebbero essere anche dei capolavori? E perché mai? Il PD lo voterò, che altro potrei fare, ma non dirò certo che mi piace. Ma non capisco neanche il prendersela tanto perché va male o non così bene un film di Bellocchio o di Bertolucci o di Garrone.

Ma perché dovrebbero andare bene? Sono film da festival? Che vadano ai festival, che vengano venduti all’estero. Che ci raccontino la loro versione sulla realtà italiana. Il problema è quando i film comici, unico nostro genere rimasto, non fanno ridere, hanno un costo e non incassano nulla, e questo ultimamente è capitato, purtroppo. E quando i film da festival non raccontano né la nostra realtà né mostrano un nuovo linguaggio. Quando abbiamo di fronte i film sull’italietta democristiana di Pupi Avati o tratti dai romanzi di Veltroni. E ci domandiamo, in parecchi, perché siano stati prodotti o scelti. O perché qualcuno li ha visti come prodotto di interesse culturale.

Purtroppo il cinema italiano, seguendo linee di estetica di partito, ha sempre fatto una netta divisione fra il cinema d’autore e il cinema di genere. Il cinema d’autore riempiva le pagine di “Cinema Nuovo”, ma anche dei più innovativi “Ombre rosse” e “Cinema e Film”, mentre il cinema di genere, commedie, spaghetti western, fantascientifici, sotto 007, porno, incassavano e basta.

La produzione e il sistema culturale funzionavano così. In anni che si facevano 250, anche 300 film all’anno. E la nostra critica, tutta, ha messo reticolati belli altri fra i due mondi, che ci tormentano ancora oggi. Non capendo, ad esempio, il cinema di Sergio Leone almeno fino al 1968, quando i Cahiérs segnalarono come un evento “C’era una volta il West”. E allora qualcuno si svegliò. Ma fino allora non c’è un Kezich pronto a dedicargli due righe.

Per non parlare di Mario Bava, adorato in tutto il mondo, che, tuttora, non ha avuto una vera retrospettiva in un grande festival italiano. Ma la base più solida del nostro cinema era proprio quella dei piccoli film di genere da esportazione. Alberto Grimaldi, che produrrà alcuni dei più importanti film di Leone, si fa ricco con i primi piccoli western italo-spagnoli e solo dopo passerà a produrre in grande Leone, Fellini, Pontecorvo, Bertolucci, mantenendo però aperta la produzione più bassa o media.

E proprio in quella stagione d’oro del nostro cinema si tentano grandi film popolari e d’autore. Forti dell’esperienza di Leone e della fama del nostro cinema. Una scia che da “Novecento” arriva a “C’era una volta l’America”, entrambi massacrati dalla distribuzione americana perché capaci di competere col grande cinema hollywoodiano.

Il fatto che proprio in questi giorni sia andata così bene in sala la nuova versione di “C’era una volta in America” di quattro ore, un film che nel nostro immaginario può valere quanto certi capolavori americani come “Il padrino” o “Scarface”, ci fa capire che proprio questa divisione fra cinema d’autore e cinema di genere se, da una parte, ha alimentato incredibilmente la produzione più piccola rendendo liberi i registi di Bmovie di scatenarsi, da un’altra è stata la nostra piaga d’Egitto sia nel modello produttivo che nel dibattito culturale casalingo.

Fino a oggi. Dove, in piena confusione, chiediamo a un film d’autore di fare degli incassi che non potrà mai fare e non ci accorgiamo che quello che davvero non sta funzionando è sia il palinsesto distributivo che quello produttivo del nostro cinema. 
Alto, medio e basso. Il fatto che una serie di commedie di media grandezza, ma di forti incassi (Brizzi, Miniero) non siano stati girati, o siano stati spostati nel palinsesto invernale, ha massacrato negli incassi la nostra produzione. Non il fatto che non incassino i dieci film da festival, più o meno riusciti, che sono usciti, anche lì un po’ stupidamente, uno sull’altro dagli inizi di settembre a oggi.

Ovvio che doveva andar bene “Viva l’Italia”. Era il prodotto giusto nel momento giusto. Ovvio che abbia fatto il suo una piccola commedia gentile con attori ignoti come “Tutti i santi giorni” di Paolo Virzì. Perché c’era la richiesta di un film di quel genere, in contatto col suo pubblico e non costruito per finire in un festival. Ne avessimo avuti altri prima, sarebbero andati bene ugualmente.

Come dovrebbe andar bene il nuovo film di Paolo Genovese, “Una famiglia perfetta”, con Sergio Castellitto e Marco Giallini, giustamente spostato dalla uscita di gennaio a quella di fine novembre da Medusa, in attesa dei film italiani di Natale, il secondo Cetto Laqualunque e il secondo “Soliti Idioti”. E forse potrebbe esserci spazio per altro.

Purtroppo, malgrado l’insegnamento di Sergio Leone, che per primo si rese conto che con i suoi incassi si sovvenzionavano sia i film d’autore che i nostri festival, non siamo stati in grado di portare avanti un cinema che fosse sia popolare che di alto livello. “Django Unchained” di Quentin Tarantino, sofisticata lezione sul cinema violento di Sergio Corbucci, lo avremmo potuto fare noi.

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04/11/2012

A new producer

Un nuovo produttore si avvia a mettere il suo grandissimo talento al servizio dell’audiovisivo. E’ David Bush. Noi siamo contenti.

Fonte: Millecanali

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30/10/2012

La stupidità della Gasparri

Ecco a voi la conferma della stupidità e della cattiva fede della cosiddetta Legge Gasparri. Uno che di televisione e media non ci capiva nulla e che Berlusconi volle a proteggere i suoi interessi quale – udite udite – Ministro per le Comunicazioni.

“Il numero di abitazioni dotate di televisione arriverà a circa 1.500mld nel 2016 a livello mondiale (+9,4% in cinque anni). Il cavo resterà la principale modalità di accesso alla tv, ma lascerà spazio, gradualmente, al satellite e all’IpTv, che rappresenteranno, rispettivamente, il 30,8% e il 7,3% delle abitazioni, sempre entro la fine del 2016. È quanto emerge dal Rapporto Idate “World Television Market”, che – avendo analizzato 40 Paesi e 5 aree geografiche – stima il mercato televisivo in 340mld di euro nel 2012. La tv ibrida, che combina la tv tradizionale su reti broadcast (terrestre e Dth) e i servizi video Ott, sarà la variabile chiave dello sviluppo futuro del media televisivo, mentre la tv terrestre continuerà a contrarsi fino a diventare la terza piattaforma per la ricezione del segnale televisivo nel 2016 (25% di quota di mercato mondiale). In Italia la tv ibrida entrerà nel 30% delle case (dotate di tv) nel periodo 2010-2015. Una percentuale maggiore rispetto a Spagna (24%), Francia (18%), Regno Unito (12%), Usa (14%) e Germania (13%). Secondo Idate, la tv digitale raggiungerà il 78% di tasso di penetrazione nel 2016 a livello mondiale. Nello stesso periodo, le entrate della pay tv cresceranno del 12,1%, i ricavi pubblicitari del 21,2% e i fondi pubblici stanziati per la tv del 7%.”

Fonte: Eduesse

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30/10/2012

Prove di futuro

Il mercato dei contenuti audiovisivi sta vorticosamente cambiando e nessuno ci capisce nulla di quel che desiderano gli spettatori, a Hollywood come nel vecchio continente.
E’ questo il momento in cui la politica dovrebbe dire come pensa di orientare l’industria, verso quali esiti spingere il Paese e il continente.
E per una volta l’Europa ci appare finalmente capace di innovare, invece che di costringerci alla decrescita infelice.
Guardate qua.

“Si torna parlare di contemporanea tra vari sfruttamenti, ovvero sala cinematografica, televisione e nuovo piattaforme on demand e Internet. La Commissione Ue avvierà infatti un nuovo progetto (il cui valore viene indicato in 2 milioni di euro) per testare gli effetti di una strategia di distribuzione contemporanea che vada oltre il classico concetto di window. Per comprendere, insomma, se le nuove abitudini dei consumatori che evolvono di pari passo con lo sviluppo delle nuove tecnologie, possano determinare dei cambiamenti nelle strategie dei titolari del diritto. Si tratterà di una sperimentazione che riguarderà circa 20 titoli cinematografici non commerciali (definiti infatti art-house) e saranno coinvolti diversi Paesi ovvero Germania, Francia, Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi, Irlanda, Belgio e Lussemburgo e anche Italia. Androulla Vassiliou, (the European Commissioner for Education, Culture, Multilingualism and Youth) ha dichiarato come sia “necessario per l’Europa testare ogni possibilità per verificare come garantirà la profittabilità in un mercato competitivo”.”

Fonti:
Eduesse

Androulla Vassiliou

 

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30/10/2012

Cultura e accise

Trovo assurdo e sbagliato ancorare la copertura del tax credit all’aumento delle accise sulla benzina. Assurdo per molti e validi motivi. L’industria culturale così viene considerata una emergenza. E non se ne può più. Vogliamo essere considerati una normale, necessaria attività industriale e umana. Passerà questa notte buia?

Fonte: Cinecittà news

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27/10/2012

Mediterraneo ed Europa.

Lo stupore si ripete ogni anno durante lo svolgimento del Forum Euromediterraneo di Coproduzione: l’Europa e il Mediterraneo s’incontrano per discutere di progetti audiovisivi da coprodurre. E lo fanno a casa nostra. In Puglia. Tre giorni intensissimi, in cui all’insegna dell’unica lingua che unisce i popoli, quella dello scambio reciproco, del riconoscimento e del confronto, in inglese, parlano istituzioni, fondi regionali, produttori, commissioning editors alla ricerca di un linguaggio universale da imporre al pubblico dei propri paesi.

L’audiovisivo unisce l’israeliano musulmano al cattolico croato, il tedesco sudtirolese a Luis che viene dalla Catalona e produce un film su Amedeo di Savoia. E in mezzo noi. L’Apulia Film Commission, nata per costruire ponti, per avvicinare pensieri solo fisicamente lontani, per scambiare pratiche, per diffondere cultura audiovisiva, per farci crescere meglio.

Peccato finisca presto. Ma statene certi, amici europei e mediterranei, ci rivediamo l’anno prossimo. In Puglia.

Fonte: Forum Euromediterraneo di Coproduzione

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23/10/2012

E’ vero, ma non ci credo.

La tecnologia 3D è vera, ma io non ci credo.
Penso sia stata una via di uscita commerciale imposta alle sale cinematografiche dalle major per incrementare – all’inizio della crisi – i propri margini e non amata dal pubblico italiano. In compenso, se è vero che larga parte degli esercenti che hanno effettuato i necessari investimenti di adeguamento tecnologico oggi ha recuperato quanto messo sul tappeto. Ma non basta a fare del 3D una rivoluzione.

La TV satellitare ha invece investito in tecnologia – l’unico attore del mercato audiovisivo a farlo davvero oggi in Italia – e con coraggio. Ma non mi pare l’offerta sia all’altezza. Tuttavia non posseggo una tv in grado di leggere il segnale e non mi sbilancio. Voi che ne pensate in merito?

Intanto in provincia di Bari si sperimenta. Ma anche qui, in assenza di contenuto non so quanto lontano si andrà. Ma resta il tema: gli scienziati sperimentano e aprono mondi. Poi altri dovranno esplorarli.

Fonte: Corriere del mezzogiorno

È pronto il progetto di una nuova tv in 3D via internet. A comunicarlo è il Consorzio Digamma di Bari, da tempo attivo nel settore dei prototipi tecnologici e dei servizi dedicati ai filmati tridimensionali, guidato da Vittorio Pesce Delfino, scienziato e antropologo di fama che nel 1993 tirò fuori dalla Lama Lunga, non lontano da Gravina, lo scheletro fossile dell’Uomo di Altamura. «Digamma lancia la proposta di una cordata imprenditoriale di operatori pugliesi, ma non solo — spiega Pesce Delfino — per la realizzazione di una piattaforma internet dedicata alla diffusione di filmati 3D. La piattaforma potrà rendere disponibili sia filmati 3D on demand sia riprese in diretta 3D di eventi quali: manifestazioni sportive, spettacoli teatrali, documentari artistici, scientifici e territoriali, nonché promozioni commerciali e tg».

 

Sul mercato sarebbe l’unico concorrente di Sky a poter trasmettere filmati in 3D sulle tv dedicate e già in commercio oggi a soli 40 euro. Tale progetto «che dovrà coinvolgere operatori del mondo della produzione televisiva, del marketing, dell’informazione e della produzione e commercializzazione di prodotti tecnologici dedicati richiede capacità organizzative e finanziarie, oltre che l’entusiasmo di sperimentare le nuove soluzioni possibili sul mercato del web, confrontandosi quindi con operatori di tutto rispetto e fornendo anche occasioni di crescita economica e lavorativa per la nostra regione», aggiunge Pesce Delfino. Le tecnologie di visualizzazione 3D (televisori 3D con collegamento internet) «costituiscono attualmente un mercato di soluzioni ampiamente diffuse e in costante crescita anche in ambito domestico, che richiederanno sempre più la disponibilità di contenuti e filmati 3D, per applicazioni formative e documentaristiche, ad oggi totalmente assenti dal mercato e rivolti ad un numero di utenti sempre più numeroso». Di recente il Consorzio Digamma ha realizzato il filmato dell’«ulivo del Salento» dedicato a Michelle Obama. Sono stati realizzati anche filmati tridimensionali dedicati rispettivamente a «Didattica della medicina» e «Beni culturali» presentati e utilizzati in trasmissioni sperimentali via web. È inoltre in dirittura d’arrivo anche un tablet tridimensionale, già prenotato per la commercializzazione da un’azienda locale.

 

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21/10/2012

La trappola in cui cadremmo.

Ho recuperato, leggendo un libro che lo citava, questo mirabile articolo apparso sul primo numero di Pubblico del 22 settembre scorso a firma di un intellettuale di grandissimo valore, qual è Nicola Lagioia.
Mi ci identifico completamente e oggi, in questa domenica di lavoro, lo sento mio e lo pubblico.

Fonte: Minima & moralia

di Nicola Lagioia

Quando il presidente del consiglio Mario Monti – durante un’intervista a “Sette”, poi al meeting di Cl – ha parlato di “generazione perduta”, riferendosi ai trenta-quarantenni che l’Italia avrebbe definitivamente mancato (un paradosso: venire maltrattati dal Paese salvato dal proprio sacrificio equivarrebbe a uscire dal solco della Storia), ho pensato che la psicanalisi di gruppo in cui abbiamo da tempo coinvolto i nostri recalcitranti padri stesse arrivando al punto.

Mai un leader politico aveva manifestato pubblicamente un tale odio per se stesso e la propria fascia anagrafica. “Atti mancati”: così li definiva Freud. Affinché però il processo di riemersione sia completo, sono ancora necessari un paio di passaggi.

Nessun lettore della Bibbia dimentica lo sgomento di Davide davanti a Natan quando rivela: “Tu sei quell’uomo”. Definire “perduta” qualcosa che non soltanto è davanti ai tuoi occhi, ma è destinata a sopravviverti, è un assurdo tentativo di negarne l’esistenza ignoto solo a chi ha bisogno di esperirlo. A nessuno piace rispecchiarsi nelle proprie colpe. In questo caso il bisogno nasce dal fatto che alcuni milioni di italiani sono – agli occhi di chi li ha preceduti – la prova del proprio fallimento.

Ridurre l’Altro a ciò che rivela di noi stessi è tuttavia un ulteriore segno di egoismo, da cui vorrei salvare non solo Monti ma un’intera mentalità. Si potrà cominciare col dire che l’Italia sarebbe crollata molte volte su se stessa se un paio di generazioni non se ne fossero preso carico negli ultimi dieci anni.

Cosa ne sarebbe stato della scuola, dell’università, del mondo della cultura e della comunicazione, della sanità se tanti ventenni, trentenni e ora anche quarantenni, a volte più qualificati dei loro padri, non avessero lottato tra le fiamme impedendone il crollo, in condizioni di pericolo che i padri stessi negavano per l’insensata vergogna di non sperimentarle, col paradosso che questi ultimi svolgevano contemporaneamente il ruolo del piromane e di chi tiene sotto chiave gli estintori?

Ecco allora che la nostra generazione un ruolo storico fondamentale l’ha fino ad ora svolto. Come si fa a definirla perduta? Attraversare l’ultimo decennio è stato come vivere in casa di genitori alcolizzati. Il paragone è forte, ma è difficile trovarne uno più calzante per riunire in un’unica patologia irresponsabilità, tirannia e amorevole paternalismo in contraddizione con se stesso.

Il figlio dell’amministratore delegato delle Assicurazioni Generali che, divenuto ministro, conia il termine “bamboccioni”. Il direttore generale della Luiss che consiglia al proprio figlio di abbandonare l’Italia delle vecchie oligarchie senza porsi il problema di farne parte e poi, non contento, scrive un libro in cui invoca a beneficio di se stesso un quarto d’ora supplementare di protagonismo per riparare al danno fatto.  Il barone universitario comunista che non si pone il problema di far lavorare gratis gli assistenti… In questi anni ne abbiamo viste di tutti i colori, e non solo un ipertrofico senso di responsabilità ci ha sconsigliato di assassinare i padri, ma anche la gelosia identitaria: assomigliare alla generazione dei Freda e dei Morucci non ci piaceva.

E tuttavia siamo anche infantili, servili, isterici, invidiosi, frustrati, in attesa del primo compratore, costantemente tentati dal “si salvi chi può” dell’8 settembre infinito in cui viviamo. Come potrebbe essere altrimenti? In Linea d’ombra, capolavoro di Joseph Conrad e adeguamento modernista al rito di passaggio, a un giovane ufficiale viene affidato per la prima volta il comando di una nave. Guadagnare il mare aperto, combattendo con le febbri tropicali e poi con la bonaccia, è la missione che il giovane deve portare a termine per ritrovarsi adulto alla fine del romanzo.

Domanda: cosa accadrebbe se al posto di Conrad ci fosse un demiurgo malvagio il quale, da una parte non offrisse al giovane ufficiale il comando della nave, e dall’altra gli rimproverasse di non essere abbastanza adulto? È esattamente l’impasse in cui ci troviamo. E il rischio che corriamo è quello di crederci migliori del demiurgo per il fatto di subire l’ingiustizia.

Gli sfruttati, gli emarginati, i calpestati e gli incompresi devono essere davvero tali (cioè migliori) nella coscienza del mondo futuro, mai ai propri stessi occhi. È questo il pericolo da evitare. Crederci migliori è esattamente la trappola caduti nella quale ci sentiremmo legittimati a fare di quell’infantilismo, servilismo, invidia e opportunismo latenti le armi con cui mandare avanti il secondo tempo della nostra vita. Allora sì, saremmo perduti.

L’uscita guidata da questo labirinto non esiste. Chiamando ancora in causa la letteratura, basti per ora lucidare come lampade due potenti enigmi: al protagonista di Linea d’ombra viene offerto il timone della nave dopo che il vecchio comandante è morto pazzo; Conrad scrisse il romanzo nel 1917, dedicandolo al figlio Boris perso tra i fumi del primo conflitto mondiale, nel ventre di balena in cui altre forze (Altre?) lo avevano depositato.”

Nicola Lagioia

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19/10/2012

Belle parole

Ricevere email come questa fa bene allo spirito. E conferma che stiamo lavorando nella giusta direzione.
Virginia lavora presso i Cineporti di Puglia/Lecce.

 

Carissima Virginia,

Scriviamo questa mail a distanza di qualche settimana dalla fine delle riprese del nostro cortometraggio Emilio, girato nella stra-ordinaria terra salentina, per cercare di condensare l’emozione che ancora ci pervade.
Noi della Blow Up Film, che da qualche anno cerchiamo, con grande fatica, di raccontare storie che fanno dell’impegno sociale la nostra carta d’identità, non abbiamo mai prodotto nulla fuori dalla nostra amata e odiata Campania per ovvi motivi legati al budget,
ma questa piccola storia era stata pensata e scritta per avere i vostri paesaggi, la vostra lingua, il vostro odore.
Nel nostro breve e denso incontro, precedente alla fase produttiva, ci hai accolto, informato e donato quella dignità che, per produzioni piccolissime come la nostra, è sempre difficile conquistare.
Come sai, purtroppo, la nostra domanda di accedere ai finanziamenti che l’Apulia Film Commission mette a disposizione, non è proseguita a causa della nostre scelte produttive che anticipavano le vostre riunioni per verificare l’ammissibilità del progetto.
Questo non ci ha fermati, non volevamo “usare” la Puglia e in particolare il Salento per motivi strettamente economici.
Inutile dire che il romanticismo da solo non basta a produrre un film lungo o breve che sia,  è servito, però, a convincere più di 100 persone a partecipare, acquistando delle quote, al nostro piccolo sogno di produzione dal basso.
Una partecipazione e condivisione dal basso che ha reso questo film per noi più impegnativo ed emozionante.
Non vogliamo annoiarti, né farla troppo lunga, ti scrivo solo per dirti che il film è stato per noi tutti della Blow up Film un’esperienza umana fantastica .
Abbiamo trovato sul territorio una grande predisposizione all’accoglienza, una disponibilità ad aiutarci (esempio per tutti l’associazione Cinecaffè di Lecce), ed un’umanità che porteremo sempre con noi.
Ti scriviamo perché , se è vero che il popolo pugliese è storicamente accogliente e predisposto benevolmente all’altro, crediamo che il vostro lavoro attento e appassionato stia portando dei frutti dolcissimi che non sono e non possono essere solo quelli di una promozione territoriale:
un’attenzione e convinta adesione dei pugliesi all’idea di “Cinema” come opportunità di scambio culturale e portatore sano di benessere.
Non siamo sicuri di essere riusciti a trasmetterti le belle emozioni che i tuoi conterranei ci hanno regalato ma sostanzialmente questa mail era per ringraziare personalmente te e  e chiederti di portare i nostri complimenti
e la nostra ammirazione a tutta le persone che lavorano con fatica e passione nella Apulia Film Commission.
Sperando di poterti far vedere presto il nostro “Emilio”,
con affetto sincero e stima

La Blow Up Film

Associazione Culturale Blow Up Film
via Roma 13 81030 Succivo (ce)
www.blowupfilm.org

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18/10/2012

Third person

Siamo pronti ad accogliere il grande Paul Haggis a Taranto.
Intanto questo il cast. Non so se mi spiego.

Fonte: Asca