Diario
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07/08/2012

High costs

Lo ammetto, sono stanco di sentir parlare di progetti low cost. Il basso costo aguzzerà l’ingegno di produttori e politici fac-totum, ma di sicuro depaupera i territori, sotto paga le maestranze, mortifica le professionalità, uccide la concorrenza, costringe in catene la libertà artistica, uccide i fornitori. E produce film di merda che non vedrà nessuno.

Ecco, l’ho detto.

Ma che poi sia la sinistra intellettuale (sia pure d’antan) a farsi promotrice di queste idee malsane allora no, è troppo anche per me.

Viva i film ad alto budget, quelli che il pubblico ama per la loro qualità, per l’altisonanza delle storie, per l’universalità della messa in scena, per la felicità di maestranze, attori, produttori, fornitori e territori. Chiedere film a basso budget è una battaglia di retroguardia angosciante.

 

Fonte d’ispirazione

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06/08/2012

Hadopi

Io trovo assurdo l’innamoramento liberticida di certa stampa italiana nei confronti dell’Hadopi, la legislazione francese in materia di anti pirateria di contenuti mediali.
Lo trovo assurdo per una ragione semplice: l’Hadopi controlla e condanna “l’utilizzatore finale” e non le piattaforme distributive multimiliardarie.
E allora se nella newsletter di una importante e autorevole rivista di settore si arriva a usare l’avverbio “purtroppo” per commentare (cosa che andrebbe bene in un editoriale, non in una mera notizia di aggiornamento) l’annuncio delle neo Ministra francese hollandiana di modificare la normativa in materia, vuol dire che il nervosismo è davvero eccessivo.

Combattere la pirateria con la mentalità dei vecchi arnesi novecenteschi è assurdo in un mondo tecnologico ormai dominato da nativi digitali.

Più proficuamente andrebbe combattuto con asprezza chi veicola contenuti mediali piratati: i service provider e chi gestisce la banda. Sono, guarda caso, tutte aziende con sede in Italia, dunque dal punto di vista del diritto sarebbero sottoponibili a procedimenti amministrativi o penali. Tu service provider consenti un flusso pirata: vieni multato con 100 euro per ogni MB. E vediamo se continui a consentirlo pur di vendere i tuoi servizi e aumentare la tua banda scaricata.

E’ semplice. Ma per farlo occorre un governo politico serio e vero.
Speriamo si voti presto.

Fonte di ispirazione: E-duesse

“Che i rapporti tra il nuovo governo francese Hollande e la legge antpirateria Hadopi non fossero nati sotto i migliori auspici lo avevamo già detto (vedi agenzia http://www.e-duesse.it/News/Home-video/Francia-Hollande-ferma-l-Hadopi-132580). Oggi, purtroppo, arriva un ulteriore conferma, stando alle dichiarazioni rese dal ministro francese della Cultura, Aurélie Filippetti, che ha anticipato una riduzione delle risorse finanziarie a sostegno della misura (caldeggiata fortemente da Sarkozy) adducendo come motivi il non avere compiuto la propria missione e anche di impiegare una struttura “pesante” rispetto all’utilità effettiva (sempre secondo Fillippetti) della legge. Lo stesso ministro ha giudicato sproporzionata la disconnessione come pena per chi scarica illegalmente contenuti. In ogni caso, tutto è rimandato alle prossime consultazioni con il mondo dell’industria – dopo l’estate – e il cui termine è previsto per la primavera del 2013. Ricordiamo che nel mese di luglio l’associazione degli editori audiovisivi Sevn (vedi agenzia http://www.e-duesse.it/News/Home-video/Francia-l-home-video-chiede-sostegno-al-nuovo-Governo-136250) aveva invece chiesto la nuovo esecutivo, tra le altre cose, quella di sostenere ancora l’Hadopi.”

 

 

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06/08/2012

Quanto è dolce quella nave produttiva.

Durante l’estate 2010, parlando con gli amici Gigi De Luca e Ilir Butka, ci venne l’idea di realizzare un documentario che rievocasse l’epoca degli sbarchi di migranti in Puglia, con particolare riferimento alla Vlora, la cui forza immaginifica, ha rappresentato – dal nostro punto di vista – quel che l’undici settembre è stato per gli anni duemila.

Presidente dell’Apulia film commission era allora Oscar Iarussi che, in modo lungimirante, accondiscese e incoraggiò quell’idea.

Avevamo bisogno, a questo punto, di un regista dallo sguardo alieno dai condizionamenti culturali di chi la vicenda l’ha vissuta da presso. Pensammo, quindi,  di affidare la regia a Daniele Vicari, convinti (e chi vedrà il film ce ne darà atto) che la capacità di questo autore,  che nasce documentarista, fosse quella di fornire una chiave di lettura innovativa, di stupire con le immagini, di costruire una narrazione e non solo una documentazione.

In quella riunione presentammo una bozza di pre – soggetto, un’idea filmica, che avevo in precedenza condiviso con Ilir e Gigi dal titolo provvisorio “Vlora – L’Italia che cambia”.

Vicari decise di accettare il nostro invito a realizzare l’opera e successivamente il nostro Consiglio di Amministrazione ritenne di stanziare un budget per produrlo e mi diede mandato (chiaramente gratuito come tutta l’operazione è stata per me e Gigi) a ricercare una società di primaria importanza internazionale, interessata a co-produrre con noi il film.

Dopo alcuni contatti romani, scegliemmo la Indigo film, brillante casa di produzione i cui soci sono Francesca Cima, Nicola Giuliano e Carlotta Calori. Per chi ancora non li conosce: Indigo

Assistiti dal nostro consulente legale, il Prof. Avv. Ugo Patroni Griffi elaborammo e sottoscrivemmo dapprima un contratto di co-sviluppo e poi uno di co-produzione.

Avevamo messo in pista la nostra prima grossa produzione a diretta responsabilità Apulia Film Commission.

Da quel momento ho seguito ogni passaggio produttivo con i colleghi di Indigo.

Il primo fu la scelta di una co-sceneggiatrice. Sottoponemmo a Vicari alcuni cv di sceneggiatori pugliesi e questi scelse Antonella Gaeta, che molto tempo dopo sarebbe divenuta la nostra Presidente.

Il secondo fu trovare dei partner coproduttivi e delle collaborazioni: entrarono così in tempi diversi la Ska-Ndal film di Ilir Butka con la quota del 10%, Rai Cinema con un contributo di 100mila euro e Telenorba che ha reso disponibili le immagini dei suoi archivi, ricchi di materiali meravigliosi, al pari di altre emittenti locali, quali Telebari e, ovviamente, le Teche Rai. Ultimo, ma non ultimo, il Mibac che ha concesso il sigillo di “opera di interesse culturale nazionale” al film. Il budget di progetto è di 281.000 euro coperti al 60% da Indigo e al 40% da noi, con la garanzia che ogni ulteriore apporto andasse a coprire la quota dei due produttori maggioritari.

Nel frattempo Vicari, con il suo montatore e co-sceneggiatore di fiducia Benni Atria e la Gaeta, diede vita a un intenso lavoro di ricerca di testimonianze e di immagini che presto vedrete nel bellissimo documentario che ha preso il titolo definitivo de “La nave dolce”.

La vera difficoltà produttiva è stata rappresentata dalla concomitante realizzazione di un film complesso e ambizioso come “Diaz” per la regia di Daniele Vicari e dalla difficoltà di reperire le immagini di repertorio uniche e preziose che oggi sono, assieme alla sua struttura narrativa, la ragione di vero stupore che lascia nel pubblico che lo vede la prima volta (e anche le successive).

A fine luglio 2012 il direttore della 69^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ci ha comunicato la sua intenzione di selezionare il nostro film tra i pochi film italiani.

Noi siamo la prima film commission ad aver avuto l’idea di un film e ad averlo realizzato, non semplicemente finanziandolo. Ma producendolo.

Ora stiamo trattando per distribuirlo bene affinché possano vederlo in tanti, non solo a Venezia o in Tv.

La battaglia continua.

 

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02/08/2012

La distribuzione

Qualunque industria di prodotto ha necessità di affidare il compito di raggiungere un pubblico il più vasto possibile ad aziende specializzate nella logistica, nel marketing, nella distribuzione.
Le aziende più strutturate, grandi e integrate verticalmente, internalizzano tali servizi. Per esempio le aziende costruttrici di automobili gestiscono anche una propria rete retail e i servizi di post vendita tramite propri collaboratori e sezioni aziendali.
Anche il cinema non fa distinzioni: la distribuzione dei prodotti audiovisivi e del cinema viene curata da aziende specializzate che erogano tali servizi alle produzioni di contenuti.
In alcuni rari casi, le major americane oltre a Rai e Mediaset, si dotano di servizi interni così da creare una sinergia completa e abbattere i costi. 01 Distribution e Medusa distribuzione sono, al pari di Warner soggetti che producono audiovisivi e li distribuiscono pure, su più canali, theatrical, free tv, pay tv, home video, estero, canali editoriali diversi, ecc. In alcuni casi, i distributori sono anche proprietari delle sale dove mostrare i propri prodotti filmici.

Quello italiano è un mercato cosiddetto a clessidra. E’ composto, cioè, da circa 400 società di produzione, da soli 60 distributori e da circa 2.000 società di esercizio cinematografico (proprietari e gestori di sale). La legge italiana ha previsto numerose provvidenze a favore della distribuzione cinematografica: il tax credit per distributori (15% delle spese sostenute per la distribuzione nazionale di un film, se riconosciuto di nazionalità italiana e di interesse culturale; 10% delle spese sostenute per la distribuzione nazionale di film riconosciuti di nazionalità italiana), nonché il rimborso automatico di parte delle risorse impiegate per il lancio di un film sul mercato italiano.

Il rapporto tra produttore di contenuti e distributori dovrebbe essere instaurato alla suddivisione del rischio.

Facciamo un esempio per capirci.

Poniamo di essere i produttori di un film documentario del valore produttivo di 300.000 euro. Per realizzarlo abbiamo attinto a risorse derivanti dal Mibac, dal tax credit esterno (raro e dunque prezioso), da un fondo regionale o film commission, da diritti di antenna, diritti su estero (difficili da prevendere). Quali produttori abbiamo assunto una dose di rischio contenuta, ma pur sempre impegnativa: per realizzare il film abbiamo anticipato delle risorse, aperto una linea di credito in banca, anticipato i pagamenti della troupe, dei materiali di archivio, degli autori, delle location e quant’altro necessario a completare l’opera. E il rischio viene remunerato dal “producer fee”, una quota di budget di progetto che il produttore trattiene per sé. Ma una volta finito il film, la sfida è di renderlo visibile a un pubblico non solo televisivo.

Nessun distributore italiano è oggi in grado di acquistare, prima che siano terminate le riprese, un documentario per la sua distribuzione in sala. La scelta viene rinviata al momento in cui il film sarà finito e magari selezionato ad un importante festival internazionale, a partire dalla quale premiére sarà più interessante far partire una campagna di lancio per l’uscita in sala. I costi di partecipazione al festival, peraltro, sono di norma inseriti nel budget di progetto e dunque rimangono quasi sempre a carico – almeno in larga parte – del produttore.

Una buona uscita sala consente a qualunque film di avere una vita più lunga nello sfruttamento commerciale. Di vendere di più e meglio i diritti esteri, il diritto home video, ecc.

Il buon senso suggerisce che il distributore, nel caso in esempio, paghi una fee al produttore perché questi gli ceda il diritto di sfruttare l’opera nelle sale (per una uscita in 10/15 schermi). Qualunque sia l’incasso in sala, il distributore si dovrebbe accollare la sua parte di rischio, investendo risorse per stampare le copie (pellicola o digitali), per acquistare le creatività e gli spazi pubblicitari, per organizzare la logistica (scelta degli schermi, contratti, spedizione delle copie, contratti Cedas, Siae, Sac, ecc). A sua volta, infatti, il distributore ha la certezza di recuperare da Tax credit, da provvidenze di legge, dagli incassi.

Il rischio verrebbe così ripartito.

Invece non funziona così e la grandissima parte dei distributori non ha interesse a distribuire opere difficili (quali sono i documentari, ma anche i film “art house” e di qualità, le opere prime e seconde) assecondando i gusti di un pubblico pigro, distratto, incolto.

Quando mostra invece interesse per l’opera, le proposte che arrivano sono indecenti: di solito i distributori chiedono ai produttori un mix di minimo garantito e di percentuale sugli incassi così da convincere gli esercenti cinematografici a loro legati a programmare per un numero minimo di giorni i film scelti.

Capite?

La situazione in cui ci troviamo è folle. E fare il mestiere di produttore sta diventando periglioso e assurdo. Mentre i distributori non rischiano nulla.

E’ la politica che deve intervenire e sciogliere il nodo e i produttori devono fare cartello per sconfiggere questo assurdo modo di fare business con i soldi degli altri.

Anche per tutto questo, noi abbiamo creato D’Autore.

 

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02/08/2012

Lavorare per un padrone

La nostra film commission ha sostenuto decine e decine di film in cinque anni di vita.
Alcuni altri no, perché i critici che leggono le sceneggiature – che cambiano ogni anno e sono scelti tra i critici cinematografici iscritti al sindacato nazionale critici cinematografici italiani – e il nostro Consiglio di Amministrazione che valuta i progetti candidati al finanziamento, esprimono una valutazione di qualità, congruità produttiva e storia pregressa delle produzioni in regione (aver ad esempio pagato tutte le maestranze e i fornitori in precedenti film, ecc.).

E’ il caso del film “Outing” che è subito apparso agli occhi del nostro board come un film fragile, sia narrativamente che finanziariamente. E siccome noi abbiamo a cuore le ragioni del personale regionale più di ogni conseguenza politica, in perfetta serenità, pur vantando il film un cast importante composto peraltro anche da amici, si è deciso di non erogare il sostegno.

Nessuna altra ragione di opportunità o contenutistica. Ma soprattutto non è mai successo che il Governatore della nostra regione si sia permesso di segnalare in positivo o in negativo un’opera audiovisiva alla nostra attenzione. La nostra forza è proprio la libertà. Ove mai Vendola (o chi per lui) si permettesse, riceverebbe una infastidita risposta da parte nostra.

Mi rendo conto che il concetto di libertà e autonomia non dev’essere facilmente comprensibile da parte di testate giornalistiche che lavorano per un padrone. Soprattutto quando il padrone fa politica.
Noi non abbiamo padroni. E’ questo che ci rende incomprensibili e unici.

Fonti:

Il Giornale
Libero
Italia oggi

Appena letto sul profilo personale Facebook di Nicolas Vaporidis. Spero lo leggano anche i giornalisti furbacchioni che lo hanno usato, maneggiato, manipolato.

Caro Presidente Vendola,

non dia retta alle cazzate che scrivono sui giornali. Mi dissocio ufficialmente da tutto cio che hanno scritto sul suo conto in merito al film che sto girando sui gay.
Non ho mai neanche pensato che Lei potesse boicottare i finanziamenti di un film solo perche ironizza sul mondo gay, oltre al fatto che probabilmente non ha neanche il tempo per pensare a certe piccole cos

e come il cinema considerando i numerosi impegni che ha.
La mia stima nei suoi confronti è altissima e mi dispiace dover leggere articoli polemici contro di Lei che apparentemente sembrano innescati da me. Sono solo frutto della fantasia di giornalisti che non sanno riportare le notizie e preferiscono romanzarle.
Sembra il gioco del telefono.

Le auguro di continuare l’ottimo lavoro che sta facendo per la puglia, per i giovani e per l’italia tutta.

con stima,

Nicolas Vaporidis

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01/08/2012

Piatto piange

Segnalo un’analisi sbeffeggiante e insopportabile sulla crisi del box office italiano.
I numeri, però, fanno impressione.
E devono spingerci alla riflessione…

Si salvi chi può. Cifre alla mano, la stagione cinematografica 2011-2012 che si è appena conclusa ha dimostrato che il grande schermo è, se non defunto, certamente ammalato grave. I dati implacabili pubblicati, come ogni anno, nel numero di agosto della rivista specializzata Ciak, non lasciano spazi a dubbi. Il box office cinematografico italiano ha risentito pesantemente non solo della crisi economica che, indubbiamente, ha scoraggiato il pubblico generalista a recarsi nelle sale ma ha anche registrato una perdita di interesse nello zoccolo duro dei cinefili; il che non è un segnale benaugurante per il futuro della settima arte.Il primo dato che emerge tra quelli raccolti da Cinetel (che analizza circa il 90% dell’intero mercato) è già, di per sé, devastante.

Negli ultimi dodici mesi, le sale italiane hanno registrato una perdita di 16 milioni e mezzo di spettatori rispetto alla stagione precedente (da 103,6 siamo passati a 87,1 milioni di paganti); il che, tradotto in termini di incassi, significa 100 milioni di euro in meno nelle casse.Tutti hanno contribuito alla discesa negli inferi del botteghino ma è certo che la «colpa» più grande sia da attribuire alle produzioni italiane. Sono i dati a sancirlo. Nel 2011-2012 la nostra quota di mercato è scesa dal 37,9% al 30,8% a causa dei quasi 13 milioni di biglietti in meno staccati per i nostri film (da 39,2 siamo scesi a 26,8 milioni di spettatori). Il che ha portato in dote tutta una serie di segni meno. Rispetto alla stagione prima, ad esempio, le pellicole tricolori presenti nella top ten scendono da sette a tre (Benvenuti al Nord, Immaturi 2, Vacanze di Natale a Cortina); per non parlare del fatto che lo scorso anno avevamo piazzato ben quattro film nei primi quattro posti mentre in questo abbiamo salvato solo il primo grazie al sequel del film con Bisio e Siani, trionfatore della stagione (con più di 27 milioni di incasso e oltre 4 milioni di paganti). Il filone nazionalpopolare dei cinepanettoni è certo calato (come spiegare, però, l’exploit de I soliti idioti?) ma mai come il flop registrato dalle cosiddette pellicole d’autore. Come sottolinea perfettamente l’articolo di Franco Montini, la tradizionale quota dei 5/6 milioni di euro, considerata una sorta di standard per i film di qualità, è stata centrata solo da Sorrentino con il suo poetico This Must Be the Place. Minimo sindacale che, invece, ha disatteso gente come Ozpetek, Avati, Amelio, Crialese, Comencini (Cristina) che, pur con titoli più o meno riusciti, ha ottenuto risultati se non modesti almeno sotto alle aspettative (non li ha certo agevolati qualche criticabile scelta di distribuzione). Ed è questo che deve preoccupare maggiormente perché di solito i film d’autore vengono visti dai cinefili non dell’ultima ora, da chi cioè garantisce, durante l’anno, una presenza quasi fissa. Ci sta, insomma, che calino i paganti per i blockbuster (che attirano un pubblico più eterogeneo e generalista) ma se inizia a scendere anche la nicchia allora l’allarme è proprio rosso.Non sta meglio l’America (sceso da 51 a 40 milioni di spettatori) che non ha piazzato un solo titolo sopra i 20 milioni di incasso a dimostrazione che il carrozzone del 3D ha finito di sfornare uova d’oro. A parte The Avengers, infatti, i film che hanno fatto boom negli States da noi non hanno sfondato, a partire dall’atteso Hunger Games finito addirittura 49esimo. Se il rosso non è stato ancora più acceso, in questo marasma, lo si deve all’intervento della «Bce» del grande schermo, ovvero i film inglesi (grazie però a due lungometraggi come il sequel di Sherlock Holmes -finito secondo- e a Hugo Cabret che assomigliano più a blockbuster Usa) e soprattutto quelli francesi (Quasi Amici è sesto) la cui qualità non finiremo mai di elogiare. Una costante, invece, c’è, indipendentemente dalla stagione. I film premiati nei vari festival e quelli decantati e strombazzati da una certa critica vanno cercati, nel listone dei primi cento, con il lanternino. Più se ne parla, meno il pubblico ha voglia di vederli. Sarà un caso?

 

Fonte: Il Giornale

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26/07/2012

A Venezia

Per la prima volta vantiamo un film in concorso a Venezia. E’ il bellissimo film di Daniele Ciprì, interamente girato da noi, ma ambientato a Palermo. La conferma che il cineturismo è una risorsa, ma per noi è solo una delle risorse. Il resto è sviluppo locale, lavoro buono, investimenti industriali sul territorio.

Ogni scarrafone è bello a mamma sua, dicono i napoletani. Ed effettivamente proprio così mi sento: una mamma che ha allevato tanti figli belli. Due lunghi, un corto e un documentario alla 69^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia da dove, cinque settembre fa partimmo per questo breve e intenso viaggio chiamato Apulia Film Commission sono la consacrazione di un lavoro professionale, serio, appassionato, collettivo.

Ma di tutti questi figli “La nave dolce” rappresenta l’orgoglio più grande. Capirete presto perché.

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18/07/2012

Bellissima

Segnalo questo articoletto, breve ma intenso, sullo share dell’altro ieri di “The bold and the beautiful” su Canale 5.
Poche righe, ma insegnano tante cose. Ma proprio tante.

“È la neotelevisione che fu, bellezza. Destino di tutte le serie più pop che l’hanno preceduta e modello di tutte quelle più glamour che l’hanno seguita, Beautiful sopravvive anche al lento declino della tv generalista. Ieri la puntata quotidiana della soap più longeva del mondo, con il non sorprendente risultato di 3.367.000 telespettatori per uno share del 21.39%, è stato il programma più visto della giornata. E nelle ultime settimane non è la prima volta che accade. Un successo seriale. Saranno gli intrighi, gli amori e le passioni. Il sesso, il potere e i soldi. Cioè gli eterni ingredienti di tutto ciò che fa audience, su qualsiasi media. Dal 1987 sugli schermi americani, in Italia dal 1990, dalla Rai a Mediaset, per 25 stagioni di culto, per 6.369 puntate complessive, a 20 minuti l’una, che significa 2.123 ore, cioè 89 giorni ininterrotti, mesi di visone non stop. Un incubo. E un sogno. Che ha incantato tutti gli anni Novanta, i Duemila, e vista la media di ascolti attuale, anche i Duemiladieci. 1987-2012: un quarto di secolo e sentirlo tutto, ma essendo bravissimi a fregarsene. Lo scorso anno, di questi tempi, su Beautiful iniziò ad aleggiare il peggior fantasma si possa immaginare per una serie così longeva: la televisione HD. Girata da settembre scorso con le più moderne tecnologie digitali, la soap – grazie alle telecamere in alta definizione che mettono in luce ogni millimetro di pelle – ha cominciato a rivelare rughe, segni e cicatrici da lifting degli attori. I quali, non potendosi opporre al tentativo di svecchiare l’immagine retrò della soap, si sono arresi a mostrare, sotto il trucco, la loro vera età, ormai doppia rispetto a quella della serie: dai 50 in su. Cosa che pure al pubblico più affezionato e più agè non sembra interessare. La regina pomeridiana degli ascolti tv è sempre bellissima. Beautiful.”

Fonte: Il Giornale

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13/07/2012

Lottizzazione tecnica

Io non faccio il produttore. Ma parlo tutti i santi giorni con i principali produttori italiani e internazionali. I primi sono sempre più esasperati dalla difficoltà di reperire risorse, di trovare un dialogo di natura industriale con il sistema di accesso al credito, di vedere contratte le risorse e resi asfittici i margini di manovra creativa e finanziaria a causa di un mercato dell’audiovisivo che, in Italia, non è mai stato fatto nascere e dove le TV ormai sotto pagano i diritti d’antenna e i nuovi strumenti, come placement e tax credit, sono spesso solamente una bella occasione per parlarne ai convegni.

Non molto di più di un convegno, visto che ormai anche gli investitori esterni alla filiera hanno imparato a farsi garantire dai produttori indipendenti oltre il 60% non coperto dal credito fiscale, andando a erodere i margini sempre più risicati – in un mercato theatrical e home entertainment in forse crisi – di chi la storia l’ha sviluppata o ideata.

In questo quadro fosco, giunge oggi l’indiscrezione secondo la quale nell’ambiguo colloquio avuto a porte chiuse tra il Premier cosiddetto tecnico* e gli esponenti del partito principale della sua maggioranza in cui si è parlato della presidenza Rai, si sarebbe deciso di affidare alla signora Lei tutta la direzione dei contenuti audiovisivi della azienda radio-web-televisiva di Stato. Rai Cinema verrebbe accorpata a Rai Fiction in un’unica divisione di contenuto. Tolto intrattenimento puro e la componente giornalistica, la signora Lei (cioè Vaticano+Berlusconi) deciderebbe cosa gli italiani dovranno vedere nei prossimi anni.

Non ho bisogno di commentare. Penso solo che, nella storia politica – i governi tecnici siano i più tremendi lottizzatori, perché devono pur contare su una maggioranza parlamentare per tirare avanti. E la maggioranza può ricattare bellamente il Governo senza pagare dazio delle proprie nefande scelte, visto che la faccia ce la mettono altri.
L’attuale, inoltre, è il peggior Parlamento della nostra storia unitaria a causa di una legge elettorale infame e di una classe dirigente che non ama la libertà di tutti, ma solo la propria. Libertà da ogni vincolo di decenza.

Fonte: eduesse
“I movimenti della politica sugli assetti della Rai inciderebbero anche su Rai Cinema. Nei giorni in cui si sta insidiando il nuovo Cda di Viale Mazzini presieduto da Anna Maria Tarantola, e nelle consuete trattative tra i partiti su nomine e società controllate, circolano indiscrezioni relative al futuro di Rai Cinema riportate anche dalla stampa. Nel disegnare i nuovi assetti Rai, il Pdl premerebbe per unificare le due società e affidarle all’ex direttore generale Lorenza Lei, che controllerebbe in questo modo tutta l’area contenuti audiovisivi (fiction, produzione cinematografica e acquisto di film per la tv).”

*
Nell’incontro riservato tra Monti e i berlusconidi, secondo le indiscrezioni giornalistiche, si sarebbe decisa la spartizione delle poltrone interne alla Rai in cambio del voto favorevole della destra in Commissione di Vigilanza a favore della Presidente Tarantola e del DG Gubitosi.
Inutile dire che nè Presidente, né Direttore si siano mai occupati di contenuto e industria dell’audiovisivo. Ma questo è il Governo tecnico, bellezza. E un bravo tecnico può occuparsi della qualunque!

Fonte:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/06/10/gubitosi-le-utili-amicizie-del-nuovo-direttore-generale-rai/258807/

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11/07/2012

La gatta sul tetto che scotta

Come il grande classico con Paul Newman e Elizabeth Taylor, così gli italiani sembran non volere rendersi conto di quanti danni la politica abbia prodotto alla Rai. E così la gatta Tarantola rischia di farsi male alle zampine e noi di perdere ancora tempo sulla via della innovazione di prodotto e di produzione di quella che un tempo chiamavamo “la più importante impresa culturale del Paese”.

Fonte: eduesse

Il ministro del Tesoro, Mario Monti, primo azionista Rai, ha comunicato ieri all’assemblea dei soci i primi provvedimenti in vista dell’insediamento del nuovo consiglio di amministrazione. Monti annuncia la riduzione dei compensi dei consiglieri, decurtati del 30% da 98mila a 66mila euro circa, e il taglio di tre milioni l’anno alle spese di gestione. Via le auto blu, assistenti, spese di rappresentanza. Inoltre, l’azionista ha indicato ai consiglieri di affidare al presidente le deleghe per firmare contratti fino a 10mln di euro (su proposta del direttore generale, che ha potere di spesa fino a 2,5mln di euro) e per nominare i direttori non giornalistici di prima e seconda fascia. Il consigliere Pdl Guglielmo Rositani ha già ribattuto che sarà il cda a decidere in autonomia, facendo mettere a verbale che le modifiche proposte da Monti sono “contra legem”. Martedì ci sarà la prima riunione del cda, seguita dal consulto in Vigilanza: per essere eletta presidente, Anna Maria Tarantola dovrà avere il voto di 27 commissari (due terzi) ed è tutt’altro che certo il voto del centrodestra.