Diario
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21/06/2012

Serietà, trasparenza, credibilità

I soci della Fondazione Apulia Film Commission sono 24 tra Regione Puglia, Comuni e Province. Si va, per esempio, dal Comune di Bari (sinistra) a quello di Lecce (destra); dalla Provincia di Foggia (centro) a quella di Lecce (destra) o Brindisi (sinistra) e così per i comuni meno grandi. Tutte le attività della Apulia Film Commission vengono approvate dal Consiglio di Amministrazione che ha sempre votato alla unanimità, pur rappresentando al suo interno sensibilità assai diverse fra loro politicamente. In Consiglio siede anche, obbligatoriamente, il Collegio dei Revisori dei Conti, un trio di professionisti indipendenti e tuttavia nominati dai Soci in rappresentanza di culture politiche e di territori differenti. Al Collegio spetta il compito di effettuare il controllo contabile, di verificare che ogni atto del CdA abbia copertura finanziaria e che gli corrisponda un centro di costo, che i bilanci siano apposto. E molte altre cose. Almeno due volte l’anno l’Assemblea dei Soci si riunisce per discutere e approvare i bilanci di previsione e consuntivo dell’anno precedente che, dopo l’approvazione, viene sempre pubblicato su questo portale web in ossequio al principio di trasparenza e inviato sia in Camera di Commercio che alla Regione Puglia per controlli contabili ulteriori. Per quanto concerne i progetti speciali effettuati con fondi diversi da quelli ordinari (FESR, Media, SEE, IPA, Interreg o altri), ogni scrittura contabile relativa viene sempre contabilizzata e tutte le attività vengono monitorate da due diversi livelli di “audit”: il primo regionale a cura della struttura che ha erogato quelle risorse e il secondo dalla Commissione europea che invia presso i nostri uffici tecnici competentissimi e pignolissimi. Dopo eventi di spettacolo dal vivo, come ad esempio il Bif&st, la Guardia di Finanza è venuta spesso a effettuare riscontri e verifiche allo scopo di validare e confrontare le nostre dichiarazioni con il numero di spettatori, le procedure adottate e quant’altro di loro pertinenza. Tutto il personale assunto o collaboratore della AFC ha superato regolari e rigorose selezioni pubbliche (anche perché da noi devono e possono lavorare solo i più bravi) rispondendo prima ad avvisi, pubblicati sempre sul nostro portale web e su quello della Regione Puglia, e poi partecipando – in possesso dei requisiti di ammissibilità – a regolari colloqui con commissioni composte da almeno 3 persone. Moltissimi studi internazionali e un recente studio della autorevole Fondazione Rosselli dimostrano che, per ogni euro investito in produzione audiovisiva in Puglia, almeno 6,3 le stesse li spendono in regione producendo effetti moltiplicatori importanti e creando sviluppo locale, posti di lavoro, accrescimento culturale, turismo di qualità. Cosa risaputa da tempo e verificata da tantissima letteratura scientifica. E allora invito i signori Caroppo, Cobianchi o i pochi altri che sui social media si divertono a colpire la nostra credibilità a venire a trovarci, quando vogliono, anche senza preavviso, e ad effettuare i controlli che riterranno necessari affinché possano poi chiedere scusa alla intelligenza dei propri lettori e a tutti coloro che, non senza fatica e passione, tutti i giorni lavorano per l’Apulia Film Commission e per rendere migliore questa odiosamata regione (e Paese) che ci tocca condividere con questi propagandisti del nulla.

Spunti: Consiglio Regionale della Puglia Mani Bucate

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21/06/2012

I temi, appunto

Ricordate? Qualche giorno fa postavo un ragionamento sul rischio che al di là dei numeri, quel che conta sono le storie. E se il cinema italiano ripercorre generi e linguaggi deja vu, non parliamo allora della televisione. Dal bio-pic al vuoto stellare. Bene, bravi, bis. Fonte: Sarà battaglia di fiction. Un incrocio di spade affilate, a colpi di storie e cast acciuffa ascolti. Rai e Mediaset presentano i propri palinsesti autunnali e il gioco, come si sa, si fa duro. Tanto più che la crisi occhieggia da dietro l’angolo, pronta a piombare su chi fa il classico passo più lungo della gamba. La fiction avrà una parte decisamente strategica nella stagione che prenderà il via alla fine dell’estate, e sia Rai sia Mediaset puntano ad alternare certezze consolidate a qualche novità. E siccome la sfida richiede anche strategie a lungo termine, le maestranze sono già al lavoro alla realizzazione di prodotti attesi lungo tutto l’anno a venire. Per l’autunno che verrà, Raiuno ha in serbo ben quattro prime serate dedicate alla fiction: il titolo più atteso è certamente il Commissario Montalbano che verrà anticipato all’autunno. Altri titoli: A un passo dal cielo 2 (protagonista sempre Terence Hill, nei panni del comandante del corpo forestale Pietro a San Candido tra le Dolomiti, e Gaia Amaral), Il commissario Nardone con Sergio Assisi, Gente di Mare – L’Isola di Alberto Negrin oltre a K2 (prodotto da Red Film, diretto dallo stesso Robert Dornhelm di Spartaco-Il gladiatore), miniserie in due puntate sulla storica spedizione italiana guidata da Ardito Desio sul tetto del mondo nel 1954, con Marco Cocci, Marco Bocci, Giorgio Lupano, Giuseppe Cederna. Il poker da fiction non prende in contropiede Canale 5, che pure sforna una quaterna: i nuovi episodi de I Cesaroni 5 con due ritorni giudicati fondamentali, quello della risata (lo ha assicurato da tempo la star della serie Claudio Amendola) e quello di Elena Sofia Ricci. E se il suo personaggio Lucia torna in scena, a porgere distinti saluti sarà quello di Olga, alias Barbara Tabita. La quinta serie sarà anche l’ultima per Matteo Branciamore e Alessandra Mastronardi. Vanno sul sicuro anche Squadra Antimafia 4 (con Simona Cavallari, Giulia Michelini e Marco Bocci: la serie durerà per ben 12 settimane, due in più rispetto alla precedente) e Onore e Rispetto 3 (Gabriel Garko nel ruolo di Tonio Fortebracci), mentre la carta vincente sarà senza dubbio il nuovo Dallas, con i ritorni di J.R. e compagnia famigliare e petrolifera. Il ritorno alle cattiverie della potente famiglia Ewing è una sorta di “operazione nostalgia”, forse per ricordare quei primi anni ’80 in cui ci si lasciava i cupi ’70 alle spalle. Altri tempi, meno difficili di questi. Ci sono poi le novità in preparazione. Da pochi giorni a Roma, ad esempio, si sprecano i ciak per le riprese de L’Ultimo Papa Re, fiction prodotta dalla Dauphine Film Company per Raifiction ispirata al film del 1977 In nome del Papa Re di Luigi Magni. E se un tempo il protagonista assoluto era Nino Manfredi, ora tocca a un altro romano illustre come Gigi Proietti. La regia del tutto resta, come dire, in famiglia, con Luca Manfredi. Altro progetto Rai di indubbio appeal è quello – prodotto dalla Leone cinematografica e diretto da Alberto Negrin, – incentrato sui giudici-simbolo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi negli attentati mafiosi avvenuti nel 1992: I 57 giorni del titolo sono quelli che separano la morte di Falcone a Capaci da quella di Borsellino (interpretato da Luca Zingaretti) in via d’Amelio. Riprese estive anche per Un medico in famiglia 8, con il ritorno di Lino Banfi alias Nonno Libero (presente in sei puntate sulle 13 previste), e sicuri sono i bis di Il Restauratore, Che Dio ci aiuti e Paura d’amare. Nuovi progetti Modugno (Beppe Fiorello interpreta il mitico Domenico, Kasia Smutniak sarà sua moglie), Le Memorie di Adriano (sempre con Garko), Casa e Bottega (ritorno di Renato Pozzetto in tv, nel ruolo di un imprenditore in crisi), Un caso di coscienza 5 e Olivetti (sempre con Zingaretti). Mediaset risponde con le riprese di Ris Roma 3, Onde (con il ritorno di Vanessa Incontrada protagonista con Daniele Liotti e Francesco Montanaridi), Baciamo le mani con Sabrina Ferilli e Virna Lisi e la seconda stagione de Il tredicesimo apostolo, fiction thriller con Claudia Pandolfi e Claudio Gioè. L’onnipresente Garko sarà anche protagonista, su Canale 5, di Rodolfo Valentino (con Giuliana De Sio e Cosima Coppola) e Il peccato e la Vergogna 2. Per lui, la crisi non esiste.

Fonte: Il Giornale

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18/06/2012

Fili rossi

A volte mi accorgo di dedicare troppa attenzione ai numeri, all’impianto industriale dell’audiovisivo, dimentico che noi viviamo di contenuti e che, oltre un decennio fa, decisi di occuparmi di cinema per cambiare il mondo con altri mezzi. La nostra è la lingua dei segni e con un film si può ammazzare, amare, cambiare qualcuno o qualcosa. E allora dobbiamo dirci la verità più amara: il nostro paese non esporta con forza cinema perché non ha nulla da dire al mondo se non trita retorica nazionale o vuoto cosmico ridanciano. Ma è pur vero che storie forti che riflettono su grandi temi che interrogano le coscienze civili degli spettatori di tutto il mondo sono nate sì da grandi autori, ma quasi sempre da contesti industriali maturi, che favoriscono l’emersione di buone storie perché, innanzitutto, i produttori sanno riconoscerle e valorizzarle e possono farlo perché sostenuti da apparati pubblici e da network televisivi non imbolsiti o impiastricciati di politica come la nostra Rai. “Le invasioni barbariche” di Denys Arcand è un film canadese co-prodotto con i francesi del CNC e parla di vita e di morte in modo sorprendente e indimenticabile. “Il mare dentro” di Alejandro Amenàbar è un film spagnolo e parla di eutanasia nel modo più commovente, duro, vero che io abbia mai visto. “Quasi amici” di Olivier Nakache e Eric Toledano è una produzione Gaumont sostenuta nuovamente dal CNC e tratta di malattia, amore, amicizia, ricchezza e povertà con i toni fintamente cattivi della nuova commedia di genere edificante. E, vedendolo, mi son chiesto: perché mai il ruolo di Omar Sy non poteva essere interpretato dal nostro Luca Medici? Perché anche ai produttori, agli sceneggiatori e agli autori più bravi italiani manca il respiro e il coraggio di osare, tanto più al tempo della crisi, storie ultime, marginali, che riflettano chi siamo e dove andiamo. Perché in Italia abbiamo paura del futuro, temendo di scoprirlo peggiore del presente. E allora serve una nuova generazione di talenti che osi di più, che inventi, che rischi, che crei e innovi. E che dica la verità, nient’altro che la verità.

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13/06/2012

Il bene esperienza. Negativa

I manuali ci insegnano che l’economia dei media (tra cui anche il cinema e l’audiovisivo) si reggono su prodotti immateriali culturali che producono anche valore economico. Sono i cosiddetti “beni esperienza”: la visione di un film, in sala, ci cambia la vita. Che sia bello o meno bello, alla fine della visione di un film non siamo più le stesse persone di prima. Abbiamo imparato qualcosa, ci siamo emozionati, arrabbiati, innamorati. Come dopo la lettura di un libro o l’ascolto di un album musicale. Poi però anni fa arrivano sul nostro mercato dei grandi attori industriali che investono milioni di euro in mega strutture, spesso lontane dai centri storici, in un Paese che ha poche sale cinematografiche a fronte dei circa 8.000 comuni e che è fatto di estese aree rurali in cui non si riesce ad arrivare con un’offerta culturale di valore. Sono i famosi multiplex che hanno modificato radicalmente il mercato, portando tanti schermi in zone prima sprovviste e costringendo parimenti alla chiusura le piccole romantiche sale di città o di paese . Solo che i multiplex adesso esagerano con i ritorni sugli investimenti e da bene esperienza stanno trasformando il cinema in materia per addetti al marketing. Niente di più sbagliato perché si traducono le due ore di evasione (e acculturazione) in due ore e mezza d’inferno. Inutile prendersela con loro, i nuovi esercenti, che hanno investito tante risorse e vogliono veder remunerato l’investimento. Meglio fare come noi, investendo nel circuito d’Autore. E poi chiedendo alla politica, alle istituzioni, di intervenire per regolamentare l’apertura di nuovi multiplex (secondo molti la vera salvezza…del cinema commerciale, nota mia), salvaguardando e aiutando le piccole sale. Non trovate?

Fonte:  Dagospia

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12/06/2012

Vent’anni e poi basta

Quando arrivai a Roma per lavoro, dodici anni fa, mi affacciai ansioso di assistere a visioni distoniche, al cinema Intrastevere per “Arcipelago”, nato nel 1992, tra i primissimi festival di cortometraggi in Italia. Dopo vent’anni, Arcipelago chiude. Proprio nell’anno in cui dedica la propria edizione ad un uomo grande, dolce, deliziosamente “altro” come Corso Salani. Appresa la notizia sono stato invaso da una infinita tristezza: se ne va il mio mondo, non so come dirla meglio di così. Il mondo degli scopritori, dei pionieri, di una generazione ontologicamente precaria e per questo curiosa e innovatrice. I figli degli anni novanta, la generazione x e tutte le etichette possibili non dicono abbastanza di un mondo che non scompare, ma decide di immergersi nel sottobosco, alla ricerca di riparo. Mentre in Consiglio comunale si prendono a mazzate per privatizzare un altro gioiello romano, l’Acea, succede che la politica, le istituzioni, gli sponsor si disinteressino ad uno dei più importanti momenti di scoperta di cinema del futuro. Senza Arcipelago gente come Garrone o Winspeare non sarebbe mai emersa così rapidamente. Senza Arcipelago e senza l’Acea e senza tante altre cose che stanno massacrando, Roma non sarà più la stessa attraente, ammaliante sirena che ci ha chiamati a lei in anni passati. Sarà una città morta, come le anime di Gogol, alla ricerca di niente che non sia il solo business. Senza Arcipelago siamo più tristi e più soli al mondo.

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12/06/2012

Reconsumption

Tu prendi il manuale, leggi, studi e impari la teoria di Hermann Heinrich Von Gossen sulla “legge del piacere decrescente” secondo il quale un consumatore diminuirà il proprio piacere a fruire di un bene o servizio, tante più volte lo fruirà. Motivo per il quale è assai difficile per chi fa il nostro lavoro prevedere la reazione del pubblico ai prodotti audiovisivi che proponi e che, dunque, occorre anticipare il pubblico. Che poi è il mestiere più bello che esista, cioè quello del produttore o del programmatore televisivo. Quel professionista in grado di captare le tendenze e di proporle ai propri pubblici avrà la meglio sui competitori e farà la nuova tendenza. Poi però arriva una ricercatrice di marketing e ti dimostra, con questa ricerca, che tutti noi abbiamo bisogno di conferme razionali ed emotive alle nostre – già acquisite conoscenze – sicché “riconsumiamo”. Interessante no? “La quasi totalità delle persone rivede più volte lo stesso film, ascolta più volte la stessa canzone e va in vacanza sempre nello stesso posto, perché da questi comportamenti reiterati si soddisfano diverse necessità psicologiche.

Il fenomeno è stato analizzato da Cristel Russell, professore di marketing alla American University di Washington, che lo ha chiamato ’re-consumption’, ’fruizione ripetuta’. I dettagli della sua ricerca saranno pubblicati nel numero di agosto di Journal of Consumer Research, ma i risultati preliminari sono già disponibili. Il consumo reiterato di un’opera musicale o cinematografica si motiva con la garanzia dei risultati di azioni ripetute e la soddisfazione delle repliche deriva da una migliore visione. Inoltre, le persone continuano a guardare con interesse anche film già visti nella prospettiva di riscoprire piccoli dettagli che potrebbero aver dimenticato. “I comportamenti basati sul re-consumption ’soddisfano’ cinque necessità: regressiva, progressiva, ricostruttiva, relazionale e riflessiva”, ha detto la Russell.

Lo stesso vale per la rilettura dei libri e il ritorno nelle solite località di vacanza: secondo la ricercatrice la ragione è molto più complessa della semplice nostalgia. Le motivazioni per cui le persone si prendono del tempo libero per ripetere sempre la stessa attività sono “profonde e toccanti”, ha detto la ricercatrice, che ha condotto lo studio insieme a Sidney Levy. Naturalmente, dietro il reconsumption si celano anche risvolti economici. “Comprendendo questo fenomeno – ha concluso – le imprese potranno capire meglio i propri clienti e creare prodotti che saranno usati infinite volte”.”

Fonte: La Stampa

Thanks to Daniela.

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11/06/2012

Nella crisi i consumi culturali non calano

La crisi in Italia si fa sentire in tutti i campi, ma non spaventa la cultura. Nel 2011nel nostro Paese la spesa delle famiglie in questo settore ha raggiunto 70,9 miliardi di euro, con un incremento del 2,6% rispetto al 2010. Lo rivelano i dati contenuti nel Rapporto annuale Federculture 2012 ‘Cultura e sviluppo. La scelta per salvare l’Italia’, che sottolineano come musei e teatri vincano la sfida con vestiario, calzature e generi alimentari, per i quali la spesa è cresciuta nell’ultimo anno dell’1,3% per le prime due voci e 1,2% per la terza. In uno scenario di crisi in campo economico, politico e sociale senza precedenti per l’Italia, il settore della cultura dimostra ancora vitalità e grandi potenzialità di sviluppo, anche in un periodo così difficile. Nel volume presentato all’Auditorium del Museo MAXXI a Roma, si evidenzia tra l’altro che fra il 2008 e il 2011 la spesa per la cultura ha registrato un incremento del 7,2%. Ancora più evidente l’incremento nel decennio 2001-2011: ricreazione e cultura hanno registrato un +26,3%. Bene teatri e musei. Gli italiani amano sempre di più gli intrattenimenti culturali, secondo il Rapporto. Negli ultimi dieci anni sono andati di più a teatro (+17,7%), hanno ascoltato più concerti di musica classica (+11%) e visitato più monumenti e siti archeologici (+6%), anche se bisogna considerare che nel complesso la fruizione teatrale nell’ultimo anno è calata del 2,7% e quella dei concerti del 2,8%. Ma i dati sui siti culturali statali spingono all’ottimismo: i visitatori nel 2011 sono stati oltre 40 milioni (+7,5%), per 110,4 milioni di euro di introiti lordi (+5,7%), un trend di crescita quasi costante negli ultimi 15 anni e che ha visto gli ingressi a musei e aree archeologiche passare dai 25 milioni del 1996 ai 40 di oggi (+60,2%). “Il nostro patrimonio di arti e di saperi è un vero capitale, non solo culturale, ma economico – afferma Roberto Grossi, Presidente di Federculture nel suo saggio di introduzione al volume – Ma il punto è che la ricchezza economica non è generata dalla quantità o dall’importanza dei beni culturali. Magari bastasse essere il Paese che ha il maggior numero di siti Unesco (47 su 936), la maggior quantità di aree archeologiche, musei, chiese, archivi storici rispetto a ogni altro Paese al mondo. La domanda culturale cresce in relazione allo sviluppo delle politiche culturali e a quello del sistema di produzione e di offerta. Per questo serve una politica pubblica”. Positivo anche l’andamento del turismo, con il 5,4% in più di arrivi di viaggiatori stranieri rispetto al 2010. Investimenti in calo. Sempre più evidente è la riduzione del finanziamento pubblico alla cultura: negli ultimi dieci anni il bilancio del MIBAC è diminuito del 36,4%, arrivando nel 2011 a 1.425 milioni di euro contro i 2.120 del 2001. In rapporto al bilancio totale dello Stato lo stanziamento per la cultura ne rappresenta solo lo 0,19%, mentre è appena lo 0,11% del Pil. Cifre cui si è giunti dopo un lungo declino della spesa pubblica per la cultura. Basta pensare che dopo la guerra, quando il Paese doveva essere ricostruito e i cittadini avevano bisogno di ritrovare speranza per il futuro, lo Stato destinava alla cultura lo 0,8% della spesa totale (1955), cioè il quadruplo di quanto investe oggi. Stessa sorte ha avuto il Fondo Unico per lo Spettacolo, che dai 501 milioni di euro del 2002 è stato ridotto ai 411 milioni di euro del 2012, diminuendo in un decennio del 17,9%. A questo si aggiunge il venire meno delle risorse investite dagli Enti Locali, in particolare dai Comuni. Una ricerca contenuta nel Rapporto su un campione di 15 Comuni (tra cui Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Roma, Torino) dimostra come tra il 2008 e il 2011 la spesa culturale delle amministrazioni comunali, in particolare per la parte relativa agli investimenti, sia diminuita mediamente del 35%. L’incidenza della voce cultura sui bilancio comunali, nelle amministrazioni considerate, scende al 2,6%. Proiettando questi valori sul totale della spesa in cultura dei Comuni (circa 2,3 miliardi di euro fino al 2009) si può parlare di una perdita per il settore di circa 500 milioni di euro. Sul fronte dei privati le sponsorizzazioni, verso tutti i settori, negli ultimi tre anni sono andate progressivamente diminuendo. Dal 2008 si registra un calo del 25,8%. Per il 2012 si prevede un’ulteriore contrazione del 5%. Ma ben più penalizzate sono le sponsorizzazioni destinate alla cultura che nel 2011 sono state pari a 166 milioni di euro, l’8,3% in meno rispetto al 2010, mentre dal 2008 al 2011 hanno subito un crollo del 38,3%. Una drastica discesa dovuta non solo per la minore disponibilità economica delle imprese, ma anche allo scenario di incertezza e al calo dell’intervento pubblico che scoraggia l’impegno dei privati. Restano, invece, praticamente invariate le erogazioni alla cultura da parte delle fondazioni bancarie. Un valore da difendere. Il nostro Paese, stando alla classifica del Country Brand Index, è al primo posto per l’attrattiva legata alla cultura. Stando ai più recenti dati UNCTAD (United Nation Conference on Trade and Development), nel 2010 il valore dell’export italiano di beni creativi è stato di oltre 23 miliardi di dollari, in crescita dell’11,3% rispetto al 2009. In questo settore abbiamo ancora quote di mercato significative: 17% dell’export europeo e il 6% di quello mondiale. L’Italia mantiene una posizione di leadership: siamo il quarto Paese al mondo per esportazioni di beni creativi, mentre in particolare per il design siamo primo Paese esportatore tra le economie del G8. “La cultura è, insomma, una grande industria capace di produrre beni e servizi made in Italy che originano anzitutto da un’esperienza che si sviluppa in un contesto unico e originale – dice Grossi – Il settore delle industrie culturali e creative, oggi stimato valere il 4,5% del Pil europeo e il 3,8% degli occupati totali, sarà nei prossimi anni in grande espansione. Ma mentre gli altri Paesi, nostri concorrenti, hanno già fatto delle scelte, noi non abbiamo ancora cominciato a discutere”. Emergenza educazione. C’è, però, un’emergenza a cui, stando al Rapporto, bisogna fare fronte al più presto. Il nostro sistema formativo, infatti, sembra perdere capacità di attrarre giovani. Dall’anno accademico 2003/2004 a quello 2009/2010 gli iscritti all’Accademia Nazionale di Arte e all’Accademia Nazionale di Danza sono diminuiti rispettivamente del 7,5% e del 23%. Nell’ultimo anno sono crollate le immatricolazioni negli atenei italiani, i nuovi iscritti sono il 60% dei diplomati. Erano il 70% dieci anni fa. Nella classifica internazionale delle migliori università al mondo, per l’anno accademico 2011/2012, nessuno dei nostri istituti è tra i primi 100: l’Università di Bologna compare, prima tra le italiane, in 183ma posizione; solo 210ma la “Sapienza” di Roma. Siamo tra gli ultimi in Europa per spesa nell’istruzione pubblica: investiamo nel settore il 4,8% del Pil, contro l’8% della Danimarca, il 6,9 dell’Inghilterra, o il 6,2% della Francia. “Il tema della formazione è cruciale. L’istruzione è una chiave dello sviluppo, anche di quello economico – conclude Grossi – Serve una rivoluzione culturale a partire dalla diffusione della conoscenza e dei valori della nostra tradizione per superare il naufragio delle idee e delle risorse creative. Ma soprattutto per risalire la china e affermare un modello di sviluppo che faccia stare meglio gli italiani, premi la qualità e il lavoro, ridia l’orgoglio alla nazione rafforzando il senso d’appartenenza dei cittadini”.

Fonte: La Repubblica

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10/06/2012

Evviva la concorrenza

I signori che governano la SIAE han deciso di trasformarsi in società per azioni e come SpA cercano di aumentare il peso degli azionisti principali, gli editori. Tutto il contrario di quel che andrebbe fatto, ma anche l’anticamera per una completa liberalizzazione degli enti che si occupano di tutelare il diritto d’autore e di distribuirne gli eventuali utili. Mercato in evoluzione. Teniamolo d’occhio.

Fonte: Dagospia

A una prima lettura appare lampante come nel nuovo statuto l’assemblea, eletta da tutti gli iscritti, sia ridotta a organo puramente formale, mentre il potere passa nelle mani del “Consiglio di gestione”, né più né meno che un CdA. Viene poi accresciuto il potere del voto pesante, per cui all’iscritto – editore o autore – che incassa di più corrisponde un voto che vale di più rispetto agli altri. Il modello, ben noto, è quello delle SpA, con gli iscritti trasformati in azionisti: una scelta per molti versi singolare. Infatti, la Società italiana degli autori e degli editori nasce non per spacchettare dei proventi del diritto d’autore, ma per tutelare il diritto d’autore e gli aventi diritto, ovvero gli autori e in seconda battuta gli editori, per la parte di diritto d’autore che gli autori cedono loro. Le ripartizioni economiche sono quindi solo un compito, ancorché importante, di Siae. 

Il nuovo statuto è invece favorevole agli editori, tant’è che negli organi elettivi i rappresentanti restano divisi a metà, mentre nel resto d’Europa sono per due terzi appannaggio degli autori e solo per un terzo degli editori. Tuttavia per la sua missione istituzionale e non solo economica, Siae gode, unica in Europa, di un regime di monopolio. Se ridotta a una SpA distributrice di soldi, si spalancherebbero le porte alla richiesta, avanzata già da tempo, di cessazione del monopolio e di creazione di analoghe società in regime di concorrenza.

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10/06/2012

Due tendenze

Le agenzie oggi parlano di queste due tendenze che ci portano al nanismo industriale. Perché se è vero che occorre far costare meno un film, è parimenti chiaro che il progetto di Rai Cinema di finanziare opere prime da 200mila euro abbasserà drammaticamente la qualità (dallo script al cast) e la distribuzione alternativa non è detto aiuti il cinema “minore” a emergere sino al punto da far nascere nuovi autori e produttori. Un film nano avrà una audience nana. Tuttavia è questa la tendenza e con essa dobbiamo fare i conti. “Mentre i numeri degli spettatori in sala tornano a scendere, il 2012 registra due fenomeni in controtendenza per il cinema italiano. Il numero crescente di opere prime e seconde in produzione e lo spazio che si stanno conquistando, fra circuito off, rete e tecnologie digitali e satellitari, le distribuzioni alternative. Una crescita confermata anche dalle richieste di finanziamento al Ministero: 143 nelle tre sessioni del 2010, 172 nel 2011 e 72 nella sola prima sessione del 2012″

Fonte: Ansa

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07/06/2012

Cambiamenti

Ci sono piccoli ma essenziali cambiamenti come l’ingresso in ANICA degli esportatori di film riuniti sotto la sigla “Unefa” che fanno sperare per il futuro. Certo però non dev’essere facile la vita di Riccardo Tozzi. Fonte: e-duesse “La Giunta dell’Anica, ha approvato l’adesione all’Associazione da parte degli esportatori Unefa, con l’obiettivo di costituire una nuova Sezione all’interno dell’ Anica composta dalle imprese che operano nel settore dell’esportazione del cinema italiano. Nella stessa riunione, l’organo di governo dell’Associazione ha designato il presidente Riccardo Tozzi a ricoprire la carica di presidente del Consiglio di Amministrazione della controllata Anica Servizi, al posto di Paolo Ferrari, nominato presidente della Fondazione Cinema per Roma. La Giunta ha infine ringraziato calorosamente Lamberto Mancini, che ha lasciato la carica di segretario generale dell’Anica a seguito della sua nomina a direttore generale della stessa Fondazione, per la proficua attività svolta nel processo di riorganizzazione dell’associazione. Le funzioni di segretario generale sono state assegnate ai vicepresidenti Angelo Barbagallo, presidente della sezione produttori, e Richard Borg, presidente della sezione distributori.”