Gustoso e triste, dice una mia amica.
FULVIA CAPRARA
ROMA
Un tempo la colpa era tutta della tv commerciale. Solo sul piccolo schermo, soprattutto quello privato, era permesso “spezzare le emozioni”, torturare il telespettatore di film con l’orrida punizione dello spot pubblicitario inserito tra capo e collo, nel bel mezzo della più appassionante delle storie. Adesso, nel 2012, dopo le battaglie e le leggi, dopo le videocassette, i dvd, il satellite, la tv-fai-date, il palinsesto autogestito, lo spot torna a farla da padrone nel posto dove non avremmo mai pensato potesse accadere. Quale? La sala, luogo principe della visione, tempio, ancora per tanti, del cinema doc. Lo stratagemma è furbo, tecnico, e molto criptato nel senso che, nell’ambiente, quasi tutti lo conoscono, ma nessuno ne parla. Si basa sull’uso dei proiettori che possono essere leggermente velocizzati, ovvero mandati “a passo 25 invece che a 24″. Cioè? Il ritmo con cui i fotogrammi si susseguono viene leggermente aumentato: “Ogni 25 se ne può rubare uno, il che vuol dire che su un film di due ore si guadagnano 5-6 minuti”. E a che può servire quella manciata di attimi? A inserire gli spot pubblicitari che, per contratto, i proprietari delle sale sono tenuti a programmare, visto che le inserzioni costano, si vendono, e quindi devono necessariamente raggiungere il pubblico. Risultato: “I film in sala si vedono proprio come in tv, dove vanno già in onda a passo 25″.
L’accelerazione è ovviamente contenuta, non stiamo parlando di pellicole trasformate in farse alla Ridolini, però si fa, e succede che ogni tanto qualcuno se ne accorga: “Tecnicamente – ammette il presidente dell’Anec Lionello Cerri – è possibile, anche se un orecchio e un occhio capaci se ne accorgono subito. Non credo sia una pratica così diffusa e riconosciuta, magari è solo episodica, voglio dire non scientificamente organizzata, magari è solo il proiezionista di quella certa sala che una sera ha più fretta di andarsene a casa”. Oltre che agli inserimenti pubblicitari, la velocizzazione può essere utile quando si ha a che fare con film-fiume. In quel caso risparmiare tempo può servire a inserire nella programmazione uno spettacolo in più, la leggenda dei cinematografari dice che, ai tempi del primo Titanic, erano in tanti gli esercenti che premevano sull’acceleratore: “Non credo – ribatte Cerri – non è che se si risparmiano 5 minuti, puoi guadagnare una proiezione in più”.
Le opinioni, però, sono diverse, e, se si fa attenzione, anche un briciolo di secondo può tornare utile: “Su quattro programmazioni – spiega Paolo Pozzi, direttore della distribuzione della super-major Medusa – si potrebbero recuperare quasi 40 minuti”. Minuti che servono a tante cose, perché, in sala, prima che parta la pellicola per cui si è pagato il biglietto, devono susseguirsi diversi avvenimenti, quella famosa ritualità che rende così speciale l’esperienza del film visto in platea: “Bisogna calcolare la durata del film, i 12 minuti di pubblicità regolarmente acquistati, i 5 di intervallo, quelli per i trailer. Alla fine si fa un conto, si vede quanti spettacoli possono essere organizzati e in quali orari, se non è possibile far rientrare tutto, allora si decide di velocizzare”. Che, poi, dice Pozzi, lucido e pragmatico come il premier Monti cui somiglia, “significa vedere i film come poi li vedremo in tv”. L’unica salvezza è il digitale: “Lì non si può fare, almeno che non sia stato fatto in origine”.
Sulla sala, l’altare, per antonomasia, della fruizione cinematografica, quello per la cui sopravvivenza ci si spende, in tempi di scarico selvaggio, cala, inevitabile, un velo di tristezza. Anche perché, gratta gratta, le cattive abitudini sono anche altre. Per esempio? Far saltare i trailer “in testa ai film”. Ovvero, sulla copia del film da proiettare il distributore ha attaccato il trailer di un altro film del suo listino, nella speranza di far venire al pubblico la voglia di vedere anche quello: “Più volte accade che il trailer salti, cioè venga tagliato”. Il pubblico sente solo una specie di curioso singhiozzo (gli esperti parlano di “sgancio audio” e “fuori-sinc”), ma la sensazione è quella. Il punto, e viene da riflettere, è che il metodo televisivo ha contagiato quello cinematografico. Gli spezzoni pubblicitari delle pellicole sono a pagamento da pochi anni, quindi esistono regole, tariffe, norme, e non è pensabile che, se un film è più lungo, salti un pezzettino di immagini profumatamente pagate. Insomma, i tempi sono cambiati. Basta pensare che nella vecchia legge sul cinema (1213, del 1965), c’era scritto che i messaggi promozionali dovevano essere proiettati nelle sale con le luci accese, dispositivo che permetteva allo spettatore di occupare il tempo in altre attività. Oggi è tutto il contrario. Meglio un consiglio per gli acquisti in più che una briciola d’attore in meno.
Fonte: La Stampa