Approfondire, studiare, capire la realtà è il compito primo di chi ama i beni pubblici. Di chi ama il prossimo come se stesso, si potrebbe dire.
Sull’onda dell’emozione qualche giorno fa ho scritto della difficoltà che incontrano i cittadini del meridione, per spostarsi – anche di pochi chilometri – per lavoro. Cioè per la vita.
Il giorno dopo Michele Santoro ha dedicato un’intera trasmissione ai temi dello spostamento su rotaia, raccontando come il nostro paese sia spezzato in due. Nord ricco e connesso, Sud disperatamente alla deriva.
Tuttavia si è trattato di due approcci, appunto, emozionali e non razionali.
L’assenza nella trasmissione dell’AD di Ferrovie dello Stato Italiane SpA ha impedito un approfondimento oggettivo e dunque, anche grazie ad uno dei miei più cari amici, ingegnere ferroviario, con il quale disquisisco spesso di storie su rotaie (la mia passione di bambino: costruir binari e collezionare trenini elettrici!), ho approfondito un po’ di più il tema, complici le ferie natalizie.
La domanda è: perché un’azienda controllata al 100% dal Tesoro, cioè dallo Stato Italiano, si rifiuta di gestire tratte ritenute sconvenienti economicamente, al punto da cancellare treni storici (il Palermo – Milano, il Lecce – Roma), o di ridimensionare pesantemente le tratte locali, scaricando sulla società un costo inaccettabile in termini di maggiore inquinamento, difficoltà drammatiche negli spostamenti, inenarrabili sacrifici dei pendolari?
E perché una società per azioni pubblica fa tutto questo senza che altri concorrenti privati (Montezemolo con la sua NTV, per esempio o il gruppo Toto) investano in quelle tratte, sostituendosi quindi al monopolio ex pubblico? Che fine ha fatto la tanto acclamata concorrenza, di cui la mia generazione ha subìto l’ossessiva narrazione negli anni novanta e duemila?
La risposta è semplicissima e la dico così: perché il pesce puzza sempre dalla testa!
Io non trovo simpatico il signor Mauro Moretti: il suo sorriso beffardo, il suo presenzialismo, le inaugurazioni dei treni veloci a favore di camera accanto all’ex Premier miliardario. No, Moretti non è mai riuscito a convincermi.
Tuttavia non penso che sia un sadico pazzo.
Egli risponde alla logica delle regole impostegli dalla legge e dal suo CdA, nel quale siedono Lamberto Cardia (quale Presidente), Clemente Carta, Stefano Scalera e Paolo Baratta.
Tralascio ogni puntuale descrizione di ciascuno dei componenti il CdA e mi soffermo solo su quello di Baratta, conoscenza diretta degli amici del cinema, essendo il Presidente della Fondazione Biennale di Venezia, ma anche consigliere di amministrazione di Telecom Italia (si rifletta a lungo sul punto, soprattutto in considerazione dell’assenza in Italia di una legge che costringa le aziende dei comparti TLC e ICT a sostenere l’audiovisivo quale “eccezione culturale”, se vorrete ci ritorneremo) ed ex Ministro nei governi Amato (con delega alle Privatizzazioni, sic!), Ciampi (Commercio estero e poi Industria), Dini (Ambiente e Lavori Pubblici). Insomma uno dei tanti collezionatori di consigli d’amministrazione del nostro sciagurato paese.
E’ alla legge, allora, che occorre guardare per capirci qualcosa.
Le Ferrovie italiane statali nacquero ufficialmente nel 1905 durante l’era giolittiana. Subito dopo il crollo del regime fascista e la fine della guerra, nel 1945 divennero un’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato, controllata dai Trasporti e, dal primo gennaio del 1986, venne poi trasformata in “ente pubblico economico”.
L’ente pubblico economico è un ente pubblico dotato di propria personalità giuridica, proprio patrimonio e personale dipendente, inquadrato tramite contratti di diritto privato ed è separato dall’apparato burocratico della PA per avere maggiore flessibilità al cambiamento e svolgere attività commerciali. Il vincolo con la PA rimane perché gli organi di governo sono nominati in tutto o in parte dai Ministeri (o dalle PA competenti) e agli stessi spetta un compito d’indirizzo e vigilanza.
Il passaggio successivo, prevedibile e meccanico è alla società per azioni, avvenuta nell’agosto del 1992.
Oggi le Ferrovie dello Stato Italiane SpA sono proprietarie di Rete ferroviaria italiana (RFI, cioè i binari e le infrastrutture su e grazie a cui viaggiano i treni di tutte le compagnie); Trenitalia che gestisce il trasporto merci e passeggeri; Grandi Stazioni che gestisce le 13 principali stazioni nazionali; Centostazioni che ha il compito di ristrutturare e gestire 103 stazioni e di molte altre società, anche estere!
Si capisce allora l’operazione che ha fatto la politica italiana negli anni ’90, sull’onda dell’emozione (ah, quanti danni fa l’emozione!) per “mani pulite”?
L’ente pubblico economico era ritenuto troppo opaco: le assunzioni, pur dovendo avvenire tramite bando pubblico, erano guidate dalle correnti della DC, del PSI e degli altri partiti che riuscivano a partecipare alla spartizione. Le FS dei primi anni ’90 erano un ente pubblico da ben 200.000 dipendenti, una torta enorme da dividersi.
E allora che fece la politica? E cosa fa oggi?
Inventa un gioco formalmente pulito, sostanzialmente inquietante: le Società per Azioni pubbliche cui trasferire ogni potere e risorsa, da controllare tramite i CdA lottizzati e i “contratti di servizio pubblici”, libere di assumere senza concorso pubblico (e dunque ancora più facilmente utilizzabili per clientele sordide e nascoste) e assetate di accordi con le regioni italiane alla ricerca di un business del bisogno che fa orrore.
Sono le privatizzazioni italiane. Attenzione: non liberalizzazioni, ma privatizzazioni. Fittizie oppure strumenti nelle mani della politica per dominare interi pezzi di consenso e di sostegno finanziario (vedasi la vicenda Alitalia con la “bad company” affidata allo Stato e la “good company” regalata a francesi e imprenditori vicini, troppo vicini a Berlusconi).
Ritenete sia la mia personale opinione vero? Un punto di vista partigiano e di sinistra?
Analizziamo insieme le entrate del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane SpA che nel complesso sono di 8,06 miliardi di euro nel 2010 come si può leggere sul loro sito nel “Rapporto annuale di Bilancio 2010″:
- 2,86 MLD: traffico viaggiatori
- 1,94 MLD: contratti di servizio con le regioni
- 1,04 MLD: servizi di infrastruttura
- 790 Mln: traffico merci
- 770 Mln: altri proventi
- 546 Mln: contratto di servizio pubblico con lo Stato
- 99 Mln altri ricavi da servizi.
Capite ora qual è il loro gioco?
Le Ferrovie dello Stato vivono di soldi delle regioni (ben il 25% delle entrate). Se queste ultime vedono ridotti i trasferimenti dallo Stato centrale, come avviene ormai da tre anni, non possono sostenere i costi del contratto di servizio per il TPL, il trasporto pubblico locale, che in teoria – ripeto, in teoria – andrebbe affidato tramite gara pubblica, sì che possa vincerlo anche un competitor delle FSI e allargare la platea dei soggetti che offrono servizi pubblici sostenuti da risorse pubbliche.
Il dubbio mi è venuto quando Moretti ha quasi letteralmente detto che cancellava i treni sulle tratte coperte dai voli “low cost” di compagnie aeree private. Inizialmente m’è sembrata una frase assurda, da aspettarlo sotto casa per riempirlo d’improperi.
Ma poi non è sfuggito a nessuno, per esempio, che nel bilancio della Regione Puglia approvato ieri in Consiglio, figurano 12 milioni di euro per la Ryan Air e 1 milione per garantire “la sopravvivenza dell’aeroporto di Foggia”.
Tradotto: le compagnie aeree non vengono in Puglia se non dietro lauti pagamenti. Solo così si sostiene la domanda turistica in Puglia, come altrove nel mondo, ai tempi del low cost.
Costo basso per chi vola, altissimo per la collettività. E come Ryan Air guadagna due volte, dallo scalo di partenza e da quello di arrivo, così le Ferrovie dello Stato prendono da Stato e Regioni…
Lo schema delle Società per Azioni è, dunque, identico alla Ryan Air, con la differenza che la governance di quest’ultimi è decisa da azionisti veri, in carne e ossa, non da qualche politico nominato dal segretario del partito, grazie ad una legge elettorale infame e a-democratica.
Inoltre i manager delle SpA pubbliche non prendono decisioni a tutela del bene pubblico e dei cittadini, ma del verbo superiore “merkeliano” del pareggio di bilancio. Fesseria suprema, anti keynesiana, scioccamente rigorista che ci conduce, dritti dritti alla stagflazione nell’area euro.
Certo, non era bello che i debiti delle vecchie ferrovie (in avanzo di bilancio da due anni) fossero pagati da tutti noi.
Ma non è parimenti bello che gli avanzi di gestione vengano effettuati sulla pelle dei cittadini che pagando le tasse attendono di vedersele restituite in servizi.
Cosa fare per cambiare davvero?
Mi sono convinto e qualche amico storcerà il naso: affidare, anche i servizi pubblici locali, tramite gare pubbliche trasparenti, efficaci e periodiche a chi è in grado di garantire l’erogazione di servizi essenziali con standard di qualità minima indefettibili (come la tratta notturna Lecce – Roma o la frequenza quotidiana del Foggia – Bari e del Lecce – Bari) e favorire la concorrenza vera tra operatori concorrenti.
Rompere ogni monopolio e trasformare le Ferrovie dello Stato in Ente pubblico che eserciti, con qualità, le tratte che il mercato abbandona.
NTV potrà fare utili a valanga sul Milano – Roma o la Torino – Lione. Chi se ne frega.
A me interessa che, con le mie tasse, si ottenga un riequilibrio e che anche i siciliani o i pugliesi viaggino su e giù per il Paese senza barriere.
Tanto più che, a parità di tratta, il costo del biglietto Trenitalia è a volte, più caro di un aereo.
E mai venga dato anche un solo euro ai privati per la propria attività che non sarebbe più di pubblica utilità e servizio, ma solo di privato profitto.
Non trovate sarebbe un Paese migliore?
Ce la farà la politica a stare lontano dai Consigli di Amministrazione delle società pubbliche sino a quando ne controlla budget e obiettivi di performance a pareggio?
Un giorno parleremo anche di Rai. E ne vedremo delle belle.