Diario
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19/12/2011

No, zero, off.

Oggi è tutto un trionfo di film no budget, zero budget, nu budget, crowdfunding budget.
Tra un po’ i film facciamoli gratis.
Anzi no, non facciamoli proprio e chiudiamo baracca e burattini.
Così qualche ex ministro sarà contento, no?!

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10/12/2011

Dove vorrei essere se fossi in “Midnight in Paris”

L’ultimo film del prolifico Woody Allen è un gioiello sognante che mi riconcilia con il cinema di pura invenzione.
Di solito non mi appassiona questo tipo di cinema: per formazione e ideologia, ho sempre amato del cinema, la sua capacità di stordire lo spettatore con verità imponenti, con scenari avvolgenti, con il punto di vista del suo autore. Kaurismaki, per esempio, come Guédiguian fanno un cinema totalmente schierato dalla parte dei perdenti e questo mi piace. Perché i vincenti sono tutti intorno a noi nella vita sognata della tv, della pubblicità e dei media. E tanto basta.

L’inizio del film di Allen mi stava innervosendo: come possono interessarmi le vicende di ricchi turisti americani nella splendente Parigi ad uso di fotocamera? Ma improvvisamente il film vira verso un onirismo sfrenato e ti getta nella macchina del tempo e dei sogni che solo il grande cinema sa creare per ciascuno di noi, immerso nel silenzio e nel buio della sala.

Tu mi provochi, caro Woody, e allora giochiamo.
Dove mi piacerebbe essere portato da quell’auto d’epoca?

Bè, non ho dubbi: mi piacerebbe essere in due posti, nel cuore di due rivoluzioni culturali che parlavano la lingua inglese.
In una delle 292 (duecento novanta due!) sere in cui i Beatles si esibirono al The Cavern di Liverpool tra il 1961 e il 1963 a sorseggiare una birra con Brian Epstein e sentire pompare nel cuore lo swing di un’epoca mai più ripetibile.

E poi via, in nave sull’oceano Atlantico, verso la New York del Greenwich Village ove nel luglio del 1961 Robert Allen Zimmerman muoveva i suoi primi passi nel folk e nel blues di tradizione goothriana. Non aveva ancora deciso di rivolgersi al tribunale per cambiare il proprio nome nella successiva leggenda vivente che ancora oggi chiamiamo riverenti Bob Dylan.

Stanotte sognerò di essere sulle barricate del maggio francese.
Sognare, infatti, non potrà mai essere tassato.
Per questo sogno ancora che un film, uno spettacolo teatrale, una canzone o un libro possano cambiare il mondo.
O perlomeno renderlo un posto migliore.

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07/12/2011

Paradossi della PA

La Regione Lazio ha appena pubblicato un bando da 15milioni rivolto ai produttori laziali che abbiano girato film nel 2011.
Solo che oggi è 7 dicembre…

Fonte:Cultura Lazio

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05/12/2011

Pauperismo e moralismo. Ma che cinema.

Si è vero, il nuovo film di Aki Kaurismaki (tra i miei autori contemporanei preferiti) pecca di pauperismo e moralismo. Ma che cinema lieve e insieme impegnato!
Il tema, ormai affrontato da tanti cineasti e da angolazioni occidentali molto differenti, è quello della immigrazione cosiddetta clandestina e delle sue origini profonde e dei suoi impatti sulla nostra presunta civiltà.
La storia del regista finlandese è molto semplice e virata nei toni della fiaba contemporanea, ambientata in una città francese che vive il ciclo della crisi economica. Ma sono proprio le persone più umili, quelle abituate a vivere con poco, le prime in grado di condividere la povertà e a interpretare la solidarietà.
Bell’insegnamento per tutti noi, pasciuti europei, spaventati dalla crisi e incapaci di capire che l’esito della crisi dovrebbe essere una potente redistribuzione mondiale di reddito e lavoro. Così da stare tutti meglio, vivendo con poco. Altro che PIL e secessione. Qualcuno lo spieghi ai protervi ipocriti ed egoisti cittadini italiani che amano definirsi leghisti. E lo spieghi anche a chi coltiva ancora il cattivo pensiero di allearvicisi.

Fonte: Wikipedia

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29/11/2011

Certi politici.

Una buona parte dei politici parla senza sapere, nel merito, quel che dice.
A me personalmente piacciono i politici che coniugano la visione prospettica con la capacità di creare soluzioni innovative, di narrare e insieme di costruire le condizioni per dare forza e gambe alle idee che vengono affidate ai tecnici.

Ultimamente ho sentito troppo spesso attaccare, da parte di molti politici locali e nazionali, di sinistra, di destra e di centro l’uso dei fondi strutturali europei nel campo della produzione e diffusione di attività culturali.
Tali politici dicono che con i FESR non si devono sostenere le attività culturali e che tale uso “burocratizza” le sensibilità culturali.

Trovo queste affermazioni devastanti e i politici che le avallano non avranno mai il mio voto.

Perché dico questo?

Perché è la stessa Unione Europea (a proposito, cari politici, si dice Unione Europea, non più Comunità europea, UE non CEE!) a parlare in generale del potenziale delle iniziative culturali che sono appunto vettore d’impatti economici, ovvero le CCIs (per cui le iniziative a sostegno sono tali).
Ed in particolare vanno segnalati:
- Il libro Verde 2010 della Commissione Europea “Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare” in cui si fa esplicito riferimento ai FESR;
- Il parere del CESE (Comitato Economico e Sociale europeo) sulle Iniziative Culturali e Creative e la loro importanza;
- La stessa Strategia Europa 2020 ed, in particolare, alle due Iniziative faro: l’”Unione dell’innovazione” e “Una politica industriale per l’era della globalizzazione” (si riferiscono specificatamente alle industrie creative e alla necessità di un approccio interdisciplinare);
- Il lancio della ECIA da parte della DG Enterprise;
- L’incremento stesso del budget (+37%) messo a disposizione del nuovo programma Creative Europe (che include il programma Cultura, oltre che il MEDIA), rappresenta un passaggio importante.

Che i fondi siano quelli dei programmi a gestione diretta o quelli dei fondi strutturali non cambia, su questi però va considerato tutto il POR e quindi il Quadro Strategico Nazionale (QSN) che ha come priorità, la 5, la “Valorizzazione delle risorse naturali e culturali per l’attrattività e lo sviluppo” e quindi le iniziative culturali.

Può bastare?
Insomma, cari politici, quando parlate di cultura, per cortesia fatevene prima una.

Grazie

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23/11/2011

Un altro punto di vista

Sulle nomine dell’ex MInistro Galan in molti si sono spesi, me compreso, per stigmatizzarle e segnalarne la “televisività”, oltre alla drammatica politicizzazione.
Tuttavia io leggo tutti e mi faccio la mia idea. Per questo amo la democrazia e il pluralismo.
Per questo vi segnalo un articolo più clemente, molto più clemente…

Fonte : Tepsi

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22/11/2011

Io non capisco di cinema, come la signora Mariarosa Mancuso.

E’ davvero avvilente fare la critica cinematografica negli anni dell’uno. Si possono anche vincere i premi assegnati dai colleghi (bella forza direbbe il garante della concorrenza), ma sempre servi di un’ideologia s’appare. Come lo siamo tutti, d’altra parte. E per fortuna. Visto che a me, invece, da quando sono piccolo mi raccontano della morte delle ideologie. Ancor più mortificanti, soprattutto per il lettore, sono gli articoli che, invece di aiutarti a capire, t’introducono all’universo personale del critico della cui sapienza francamente poco m’importa. Un po’ come accadeva a quell’elegante signora fiorentina vecchia, sola e ammalata, scopertasi di destra estrema negli ultimi anni della sua avventurosa esistenza, perché mal sopportava i poveri migranti che insudiciavano le vie della sua bomboniera cittadina. Così succede all’autorevole signora Mariarosa Mancuso, che discetta addirittura per sei colonne (sei!) sul foglio ferrariano di un film sul quale ho espresso un parere, invero scarsamente motivato, menandola alla lunga e inanellando numerose citazioni filmiche e letterarie che uno pensa l’argomento sia davvero serio, ultimativo, decisivo per le sorti intellettuali del Paese. E invece no, l’articolessa ci parla dell’ultimo film made in Tao Due – Medusa dal titolo profetico “I soliti idioti”, il cui incasso del primo weekend mi aveva fatto arrabbiare. E sapete perché? Perché a differenza di un’autorevole critica cinematografica, io vivo la mia vita professionale in trincea. A contatto quotidiano con le decine di produttori cosiddetti indipendenti di cinema e televisione che mi raccontano sempre e soltanto una storia: quella della difficoltà di arrivare al mercato, in un settore malato di scarsi finanziamenti e della quasi impossibilità di trattare a pari livello con i broadcaster per diritti d’antenna degni di un civile scambio di valore (moneta vs. prodotto che crea valore per il broadcaster che vende pubblicità). Si certo, il mercato nel nostro settore è stato introdotto dagli amici governativi della Mancuso, anni or sono, con le magnifiche sorti e progressive del tax credit e con la diffusione estrema dei multiplex che hanno fagocitato le monosale di città. Ma, insieme al tax credit, il signor Tremonti e il signor Bondi hanno massacrato il fondo unico dello spettacolo e allora, per vedere il cinema italiano, non ci resta che assistere alla solita commedia. Ai “soliti idioti”. Oppure operazioni faraoniche e meravigliosamente “altre”, come l’ultimo Sorrentino americano o il prossimo Vicari, il cui produttore i soldi ha dovuto trovarli all’estero. Perché tanto qui in patria né commissioni né televisioni hanno il coraggio di rischiare di prendere le sculacciate dal padrone politico del momento. Fatte alcune lodevoli eccezioni. Dunque questo è il nodo: io non discuto solo del valore intrinseco di un film. Da quando esiste questa macchina meravigliosa del cinema, esistono anche i film di cassetta, pensati per un pubblico popolare, che cerca al cinema solo svago dalle fatiche quotidiane e dai pensieri ossessivi. Non tutti amano Bergman o Kieslowski. Ma difendo il diritto anche di questi ultimi autori (e dei loro produttori) d’arrivare a un pubblico. Per questo abbiamo inventato il circuito delle sale di qualità “D’Autore”. Per rispetto, innanzitutto nei confronti del pubblico. Io discuto, invece, dei meccanismi distributivi che stanno massacrando il cinema di qualità, fatto da gente di qualità. Cinema che si continua a fare con molto coraggio produttivo e pochissimo spazio nelle sale. E che il prossimo anno non vedremo quasi più in giro. Sappiamo infatti da tempo che per la riuscita commerciale di un film, la sala è lo spazio decisivo. In Italia, invece, la Medusa ha integrato verticalmente la filiera e, tramite la venture con Warner, possiede il circuito The Space che occupa oltre un quinto della quota di mercato complessiva. La Rai, controllata politicamente dalle forze politiche di maggioranza, gestisce sia la produzione che i diritti d’antenna che la distribuzione tramite la sua 01. E se il film non piace a uno di questi due attori del piccolo mercato nazionale, con chi lo fa il produttore? Ma veniamo al cuore della sua infinita prolusione. La sua è una critica alla critica e dice grosso modo le cose che dicono da vent’anni le destre intellettuali italiane: critica, cioè, chi dice che il film “I soliti idioti” è inguardabile perché chi lo dice è snob e legge la Repubblica. Questa, in estrema sintesi, è l’altissimo pensiero della Mancuso. Però poi la suddetta fa la medesima cosa sostenendo che la comicità è lo specchio dei tempi e, in quanto tale, va difesa sempre. E, nello specifico, questo film, meglio di altri, rappresenta la nostra società. Appunto, rappresenta. Non critica. E lo fa a partire da un format britannico – “Little Britain” scritto e interpretato da Matt Lucas e David Walliams – che viene imitato quasi pedissequamente. Solo che l’originale della BBC è uno spaccato fortemente critico della società britannica e i suoi autori non hanno mai pensato di trasferire in un lungometraggio l’insieme dei loro sketch, rispettosi di un linguaggio differente da quello televisivo. Sebbene sia davvero facile arrivare al grande schermo, forti della presenza televisiva. Questa è, per me, la principale responsabilità dei produttori e distributori italiani, ammalati di commedia (cfr. http://vintage2.apuliafilmcommission.it/blog/riconciliarsi-con-la-lettura-dei-critici.html). Vale per tutti, certo. Anche per il nostro amato Checco Zalone. Che costruisce due film di narrazione, però, non dei siparietti che, visti su you tube o facendo zapping, poco cambia.

Ma io, evidentemente, non capisco di cinema come la signora Mariarosa Mancuso.

Articolo Mancuso

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21/11/2011

Il trinomio perfetto: imprese, fisco e territorio

Il trinomio perfetto comprende le imprese, il Fisco e il territorio. La cinematografia può agire da incubatore delle interrelazioni tra questi elementi, a condizione di sviluppare il talento nella creatività in misura almeno pari alla capacità di attrazione degli investimenti. È stata questa la tesi, ancora poco frequentata nella pubblicistica fiscale, che ha tenuto banco al workshop “Tax credit. Sviluppo dei rapporti tra le cinematografie italiana e straniera e investimenti proficui per l’imprenditoria nazionale”, organizzato a Bari dalla Camera di Commercio Italo Orientale.
Il seminario si è tenuto il 17 novembre, con il contributo di enti territoriali, associazioni di categoria, ordini professionali e con il patrocinio dell’Apulia Film Commission. Anche l’Agenzia delle Entrate ha partecipato ai lavori, con l’intervento di Pasquale Ferrante, funzionario dell’Ufficio Fiscalità delle Imprese e finanziaria, in rappresentanza del direttore regionale della Puglia, Aldo Polito.

La Camera di Commercio Italo Orientale – Il filo rosso che tiene insieme il cinema e il Fisco è stato dipanato, in apertura del workshop, dal presidente della CCIO, Antonio Barile: i consulenti delle imprese e i rappresentanti delle Istituzioni possono agevolare il rapporto fluido tra produttori e finanziatori dell’audiovisivo cinematografico. Barile ha, quindi, assicurato che la Camera di Commercio intende proporsi quale vettore dell’economia delle relazioni, in grado di favorire la raccolta delle risorse territoriali utili alla crescita del settore cinematografico. Infine, il presidente ha formulato un ringraziamento all’Agenzia delle Entrate per aver testimoniato, con la propria presenza al seminario, sensibilità istituzionale alla vita culturale della Puglia, oltre che agli aspetti economici, direttamente connessi alla funzione propria dell’Amministrazione finanziaria.

Il punto di vista delle imprese e dei consulenti – Sul versante delle imprese, hanno preso la parola Paolo Bevilacqua, coordinatore del Club delle Imprese per la cultura (Confindustria) e Giorgio Treglia, presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Bari. Il primo ha raccontato l’esperienza del suo Club, al quale aderiscono 15 aziende delle province di Bari e Barletta-Andria-Trani, unite dallo scopo di promuovere iniziative di impatto culturale, sociale ed economico, dalla fase dell’ideazione a quella della realizzazione.
Giorgio Treglia ha inquadrato il tema da un angolo di visuale complementare, ovvero quello dei professionisti della consulenza fiscale. Secondo il presidente dei commercialisti baresi, infatti, la remunerazione degli investimenti è condizione imprescindibile della vita di un’impresa. Saper guardare ai bilanci con attitudine professionale e specialistica, ricercando percorsi di corretto e lecito ritorno degli investimenti è la prerogativa dei professionisti.
Il giro di tavolo tra rappresentanti del mondo imprenditoriale si è chiuso con la riflessione di Sergio Ventricelli, consigliere Dialogoi, distretto produttivo pugliese della comunicazione. La Puglia si è avviata, negli ultimi anni, verso una svolta epocale sul fronte della comunicazione. È vero, secondo Ventricelli, che le eccellenze del territorio sono il turismo, l’agroindustria e le energie rinnovabili, ma è anche necessario dire che le eccellenze, per essere tali, devono essere comunicate e richiedono competenza culturale per essere rappresentate in modo efficace.

Cosa ne pensano gli enti locali – Silvio Maselli è il direttore generale dell’Apulia Film Commission, organismo al quale si deve il forte dinamismo pugliese nel campo cinematografico. Maselli ha sottolineato che, sì, il compito della AFC è quello di attrarre e sostenere le produzioni nella regione, ma l’obiettivo non è semplicemente quello di comunicare il territorio. Una produzione cinematografica, infatti, ha un budget medio di 4-4,5 milioni di euro e rappresenta, dunque, un’occasione formidabile per la crescita locale. I costi di produzione cosiddetti sotto la linea, infatti, vengono sostenuti sul territorio con effetti positivi sul lavoro delle maestranze e sull’indotto ad esse collegato. L’audiovisivo, insomma, è una leva di sviluppo locale e non solo uno strumento di marketing territoriale e il Fisco, in questa dinamica virtuosa, è un apparato amico, in quanto il meccanismo del tax credit vanifica l’arbitrio nell’assegnazione dei fondi pubblici a sostegno delle produzioni.
Alle potenzialità del settore cinematografico in Puglia ha creduto la Regione, come primo attore in scena, ma anche il Comune di Bari vuole dare il suo contributo. Lo ha dichiarato Gianluca Paparesta, assessore comunale al Marketing territoriale. Il ruolo della città nel contesto cinematografico è cresciuto in modo visibile negli ultimi anni, grazie all’ambientazione di film, festival, eventi. Il Comune guarda con disponibilità e sostiene le iniziative in grado di promuovere la qualità della vita e l’immagine di Bari, anche in vista della candidatura a Città europea della Cultura nel 2019.

Il ruolo dell’Amministrazione finanziaria – L’Agenzia delle Entrate è intervenuta nel dibattito con un contributo di caratura tecnica. Pasquale Ferrante, funzionario della Direzione regionale della Puglia, è partito dalla Costituzione (articolo 9) e ha tracciato lo sfondo giuridico nel quale si muove la promozione della cultura e, in particolare, del cinema. Si tratta di un’arte che vive in contesti globalizzati e molto competitivi, bisognosi di continui e dispendiosi investimenti tecnologici. A partire dal d. lgs n. 28/04, il legislatore ha manifestato attenzione alle fonti di finanziamento del cinema, oggetto di specifiche agevolazioni. Ferrante, quindi, ha proposto alla platea una rassegna di norme fiscali rilevanti per l’impresa cinematografica e ne ha illustrato l’iter attuativo, spesso travagliato, con fughe in avanti e arresti. Uno degli aspetti che ha segnato il percorso del pacchetto agevolativo basato sul credito d’imposta (l. n. 244/2007) è stata la disciplina europea sugli aiuti di Stato, che pone limiti al finanziamento delle imprese nazionali, in nome della concorrenza e del libero mercato. La seconda parte della relazione ha avuto ad argomento le condizioni che le imprese devono rispettare per accedere al credito d’imposta, la procedura amministrativa da seguire e il ruolo di controllo attribuito all’Agenzia delle Entrate. La gestione delle agevolazioni, in sede istruttoria, è riservata invece alla competenza del Mibac (Ministero per i Beni e le Attività culturali).

Il contributo di Anica – Dall’ufficio Tax credit dell’Anica sono intervenuti, infine, Andrea Pietra e Ludovica Baldan per trattare il rapporto tra capitali privati e benefici fiscali. Pietra ha illustrato l’andamento delle prime tappe del roadshow Anica, in corso in tutto il Paese, mirato ad identificare potenziali investitori interessati al settore cinematografico da mettere in contatto con le imprese produttrici. Ludovica Baldan, a seguire, ha descritto le fasi della produzione cinematografica con agganci ai momenti di innesto dell’agevolazione fiscale. Un film presenta una filiera dotata di caratteristiche tipiche e chi opera in questo settore non può ignorarle, soprattutto se agisce in veste di consulente. Anche il quadro statistico delle imprese attive nel settore aiuta a comprendere la dinamica specifica del mercato, per ricavarne aspettative razionali.

Daniela Lopedote
pubblicato Venerdì 18 Novembre 2011

 

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21/11/2011

Riconciliarsi con la lettura dei critici

Leggo sul Sole24Ore e condivido.

Quando, la scorsa primavera, si fecero salti di gioia commentando gli incassi record del cinema italiano (Checco Zalone, Benvenuti al Sud, Aldo Giovanni e Giacomo), molti misero già in guardia contro i rischi del trionfalismo. La “monocultura della commedia” può inaridire il terreno del cinema italiano, già provato da un decennio di “cinema medio d’autore” che non ha innalzato il cinema medio e ha reso più difficile la vita al cinema d’autore.
“La gente vuole le commedie”, è l’atterrita parola d’ordine che serpeggia da qualche tempo nel mondo del cinema romano. E il rischio è che, nel giro di poco tempo, il cinema italiano diventi una forma residuale e parassitaria della tv, come certi teatri, in cui il pubblico va a vedere una volta l’anno i comici che vede ogni settimana sul piccolo schermo.
In questi giorni si trovano in sala due tipi di film. Intanto, quelli del filone vintage (La kryptonite nella borsa, Il paese delle spose infelici, I primi della lista, in parte Bar Sport): titoli ambientati negli anni Settanta, tra la piccola borghesia magari di provincia, con uno sguardo benevolo e atmosfere che un tempo si sarebbero dette di neorealismo rosa. Il cuore di queste operazioni sembra essere soprattutto l’effetto evocativo di vestiti, auto d’epoca, canzoni. Ma i film che davvero dominano il botteghino sono pur sempre i film comici puri.
L’enorme successo di I soliti idioti ha spinto gli editorialisti a considerazioni sull’Italia e la volgarità. Eppure ciò che si può obiettare al film non è la sua volgarità, ma (oltre ai due monocordi protagonisti, che non hanno né fisicità né tempi comici) una certa meccanicità e auto-referenzialità delle gag, tipica della tv. La volgarità non è questione di parolacce: I soliti idioti non è più misogino e qualunquista, per dire, dell’ultimo film di Pupi Avati, Il cuore grande delle ragazze.
Il difetto principale del nostro cinema comico, in fondo, è proprio la sua assenza di curiosità, oltre che di cattiveria. Un altro successo di questi giorni, La peggiore settimana della mia vita con Fabio De Luigi potrebbe essere ambientato in Ungheria negli anni Trenta senza cambiare molto (come altre commedie in sala, da Ex: amici come prima a Lezioni di cioccolato 2, e come erano i tre campioni di incassi citati all’inizio). Questi film, più che figli della commedia all’italiana, sembrano nipoti delle commedie del ventennio fascista. Che però avevano spesso ben altra grazia e professionalità, e motivazioni certo più forti per il proprio “parlar d’altro”.

Fonte:Il Sole 24 Ore

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17/11/2011

Quattro notizie.

Tra ieri e oggi quattro notizie hanno coinvolto il nostro settore.
Le riporto di seguito. Per chi conosce i contenuti di questo blog, dunque, ometterò ogni mio commento.

In qualità di Direttore della Apulia film commission, però, saluto con affetto il neo Presidente Anec, Lionello Cerri, produttore ed esercente leale e intelligente. Saremo al suo fianco per aiutarlo a orientarsi nel mondo del sostegno locale all’esercizio, legittimamente orgogliosi di quanto stiamo dimostrando con il nostro circuito di sale di qualità.
Insieme a lui altre nomine sono state somministrate ultimamente. La più importante è quella al Prof. Lorenzo Ornaghi, il nostro neo Ministro al Mibac. A lui auguriamo ogni necessaria lucidità nell’affrontare temi ed emergenze irrinviabili. E a Fabrizio Barca, invece, oltre gli auguri, va il pensiero più forte: il Sud è risorsa inestimabile. Non lo dimentichi mai.

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È stato reso noto dal Ministero dei Beni Culturali l’elenco dei nuovi membri delle commissioni per il cinema, nominati con il decreto ministeriale del 2 novembre 2011. Sono le ultime nomine del ministero di Giancarlo Galan, uscente dopo le dimissioni del governo Berlusconi.
La Sottocommissione per il riconoscimento dell’interesse culturale, sezione lungometraggi, è composta da Valeria Licastro Scardino, Enrico Magrelli, Rosaria Marchese e Antonia Postorivo più, scelti dalla Conferenza Stato-regioni, Dario Viganò e Alessandro Voglino; mentre la sezione delle opere prime e cortometraggi sono Carlo Cozzi, Anselma Dell’Olio, Antonio Ferraro, oltre a Gianvito Casadonte scelto della Conferenza Stato-regioni. La Sottocomissione per la promozione e i film d’essai è ora composta, per la sezione promozione, da Valerio Caprara, Luigi Marzullo, Carlo Puca, oltre a Ivo Rapa (Conferenza-Stato regioni; per la sezione film d’essai Laura Delli Coli, Paola Poli e, scelti dalla Conferenza Stato-regioni, Sara Cortellazzo e Maria Teresa De Gregorio.

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Lorenzo Ornaghi è il nuovo ministro per i beni e le Attività Culturali. Nato nel 1948 a Villasanta (Milano) e laureato in Scienze Politiche, Ornaghi è dal 2002 rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Oltre a ruolo di rettore Ornaghi ha rivestito diversi incarichi in enti pubblici e privati, è inoltre direttore della rivista ‘Vita e Pensiero’ e vicepresidente del quotidiano ‘Avvenire’, oltre che direttore dell’Alta scuola di Economia e relazioni internazionali (Aseri), destinata alla formazione post-universitaria di esperti di sistemi economici e politici globali. Dal 2001 al 2006 è stato presidente dell’Agenzia per le Onlus. Nel 2006 ha ricevuto la medaglia d’oro di benemerenza civica dal Comune di Milano. Autore di numerosi saggi si è occupato in modo particolare dello Stato e delle sue trasformazioni, di rappresentanza e organizzazione degli interessi, di linguaggio politico. Ornaghi, nominato da nuovo governo presieduto da Mario Monti, succede a Giancarlo Galan.

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Come ormai nell’aria da tempo, Lionello Cerri è il nuovo presidente Anec (Associazione nazione Esercenti Cinematografici). Lo ha eletto il Congresso nazionale dell’associazione, che si è riunito oggi a Roma
Sostituisce Paolo Protti, che ha mantenuto la carica per due mandati e sei anni complessivi e rimane presidente Agis.
Cerri, milanese, nel 1979 ha fondato insieme ad altri soci il cinema Anteo (oggi multisala); con la sua società Spazio Cinema gestisce e programma altri cinema, tra cui l’Apollo di Milano, un multiplex a Cremona e alcuni cinema a Monza. Inoltre è anche un produttore, con la sua Lumière & Co.: tra i film prodotti, Fuori dal mondo di Giuseppe Piccioni, Il cerchio di Jafar Panahi e Giorni e nuvole di Silvio Soldini.
“È fondamentale rivendicare la centralità della sala non solo all’interno della filiera, ma anche nella vita culturale ed economica del Paese”. Sono le prime dichiarazioni di Lionello Cerri, eletto oggi a larghissima maggioranza dal congresso nazionale dell’Anec come nuovo presidente dell’associazione degli esercenti cinematografici per il triennio 2011-2014.
”Le sale cinematografiche – ha dichiarato Cerri all’atto del suo insediamento – rappresentano, con la loro attività, dei centri di aggregazione importanti, ovunque si trovino, e rafforzano, con la loro funzione sociale, la capacità dell’associazione di confrontarsi con le istituzioni e con le altre componenti dell’industria cinema”. Secondo Cerri, bisogna puntare al risultato di pubblico registrato nel 2010 (120 milioni di spettatori) e consolidarlo, per poi cercare di superarlo. 
Tra le prime proposte del neo presidente, la creazione di un centro studi per approfondite analisi del mercato e degli spettatori, la costituzione di un tavolo con tutti i rappresentanti della filiera per lavorare a un progetto comune volto ad “avere un prodotto migliore che sia disponibile tutti i mesi dell’anno e che venga promosso in modo più efficace, anche attraverso campagne pubblicitarie mirate” e lo studio di nuove opportunità di reperire risorse che vadano oltre il Fondo unico per lo spettacolo, puntando sugli enti territoriali e sugli investimenti dei privati.

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In un incontro tra la direzione generale di viale Mazzini e l’Anica, Lorenza Lei ha ribadito l’importanza del cinema italiano all’interno dei palinsesti Rai e l’intenzione dell’azienda di continuare a sostenere l’industria del nostro cinema. Tuttavia ha sottolineato che, qualora permanesse la sofferenza economica e finanziaria della Rai, potrebbe essere molto difficile mantenere gli stessi livelli di investimento nella produzione cinematografica. L’Anica ha ribadito che, nella situazione attuale, ogni riduzione dell’investimento della tv pubblica, peraltro obbligato da una legge dello Stato, genererebbe un collasso del sistema cinematografico. Le parti hanno concluso che è necessario intraprendere iniziative forti per ridurre l’evasione del canone, che ammonterebbe a circa 800mln di euro.

Fonte: E-duesse