Meraviglioso
Stamattina venendo al Cineporto ho ascoltato a tutto volume la versione dei Negramaro della splendida canzone “Meraviglioso” di Domenico Modugno.
Oh, che commozione!
Stamattina venendo al Cineporto ho ascoltato a tutto volume la versione dei Negramaro della splendida canzone “Meraviglioso” di Domenico Modugno.
Oh, che commozione!
Occorre sempre studiare e aggiornare le proprie concezioni quando si fa il nostro mestiere.
Così in qualità di Responsabile del procedimento ho deciso di affidare anche per il 2011 la valutazione degli impatti del Bif&st all’Agenzia regionale per la tecnologia e l’innovazione (Arti) che, lo scorso anno, aggiornando lo studio sulla filiera della multimedialità ha compiuto un’analoga valutazione sul festival, a corredo del più generale e approfondito studio.
Ecco le conclusioni di policy dello scorso anno che io trovo molto argute:
Questa ricerca si è focalizzata sulle principali caratteristiche della filiera audiovisiva e cinematografica pugliese. L‟obiettivo era infatti quello di delineare i profili di sviluppo di questa filiera, anche tenendo conto delle azioni/interventi posti in essere dalle istituzioni pubbliche – in particolare, dalla Regione Puglia e dalla Apulia Film Commission – a sostegno e governo di tale fondamentale comparto dell‟industria culturale regionale.
Il quadro che emerge dalla ricerca appare, in questo senso, più che positivo. L‟industria cinematografica e audiovisiva pugliese e le diverse realtà che le gravitano attorno (si pensi al ruolo del sistema dei festival) appaiono ormai come una realtà affermata capace di collocare il sistema pugliese in una posizione di preminenza anche a livello nazionale. In questo processo, un ruolo fondamentale è stato giocato da istituzioni come la AFC che sono state capaci, in un quadro strategico di priorità definite, di convogliare significative risorse finanziarie (ma non solo) ai fine di stimolare lo sviluppo di tale comparto. Le risorse dedicate al sostegno di film e documentari, nonché i numeri relativi sia all‟affluenza sia all‟impatto economico del recente Bari International Film&Tv Festival confermano tale affermazione.
Naturalmente, questo non significa che non sia necessario identificare anche sulla base dell‟esperienza passata e di quelle che sono le best practice sia a livello italiano (prima fra tutte l‟esperienza piemontese) che a livello internazionale (in questo senso nel rapporto vengono esaminate alcune tra le più significative esperienze internazionali di film funding) nuove potenziali aree sulle quali intervenire.
Dalla ricerca ne sembrano emergere almeno quattro.
La prima fa riferimento alla governance del sistema. Occorre rafforzare ulteriormente il ruolo della AFC quale attore centrale del sistema in modo tale che questa struttura sia sempre più in grado di offrirsi come soggetto capace di coordinare sia a livello strategico sia a livello operativo l‟attività dei diversi attori del sistema. La razionalizzazione del sistema dei festival pugliesi potrebbe rientrare a pieno titolo nell‟ambito di questa tipologia di iniziative.
La seconda implicazione riguarda il rapporto con i privati. Le politiche pubbliche in questo settore devono infatti muoversi in una direzione che da un lato privilegi la sperimentazione e la ricerca e dall‟altro sappia dare una soluzione sostenibile ai possibili fallimenti del mercato. Ciò significa che laddove vi sia una presenza di iniziative private l‟azione pubblica deve riposizionarsi in una rapporto di forte complementarietà e sinergia con queste iniziative. Quello dei cineporti (strutture pubbliche) e degli studi di registrazione (strutture private) costituisce un esempio lampante di questo tipo di complementarietà/integrazione pubblico-privato. Occorre quindi escludere che le politiche pubbliche „spiazzino‟ l‟iniziativa privata.
La terza implicazione riguarda le ricadute economico-produttive di questi interventi. Le politiche pubbliche in questo settore devono essere sempre più pensate come politiche per lo sviluppo. Questo significa che occorre individuare e implementare quelle politiche che, oltre ad avere una valenza culturale, siano anche in grado di attivare il maggior volume di risorse locali. In questa prospettiva, potrebbe essere utile condizionare alcune delle scelte in tema di politiche culturali alla identificazione di quei „bacini‟ capaci di generare il maggior impatto economico dell‟azione pubblica. In altre parole, si tratta di coniugare i contenuti delle politiche con le loro potenziali ricadute economiche.
Il quarto e ultimo aspetto riguarda lo sviluppo di un sistema di monitoraggio e valutazione dei principali eventi che si realizzano all‟interno della filiera capace di offrire, non soltanto indicazioni circa l‟effettivo impatto socio-economico degli stessi, ma anche utili informazioni da poter utilizzare in sede di definizione, progettazione e implementazione degli interventi/politiche a favore del comparto. La valutazione d‟impatto che è stata condotta da ARTI nel corso del primo Bari International Film&Tv Festival tenutosi a Bari nel gennaio del 2010 rappresenta una prima esperienza, non soltanto da ripetere, ma anche da estendere ad altri eventi del comparto. La possibilità di una migliore identificazione del bacino degli utenti, nonché la valutazione dei punti di forza e di debolezza di un singolo evento rappresentano infatti elementi fondamentali sia per una 91
sua migliore programmazione sia per una più efficace definizione di servizi “accessori” come il sistema di vendita dei biglietti, l‟organizzazione dei trasporti, ecc. Servizi per loro natura richiedono una notevole capacità di coordinamento tra diverse strutture/istituzioni.
In conclusione, il cinema e l‟audiovisivo, come più in generale la cultura, rappresentano – e questo è il principale messaggio di questo lavoro – un‟eccezionale opportunità non soltanto per sviluppare le capacità creative di un territorio, ma anche per imboccare un modello di sviluppo capace di coniugare „buona‟ occupazione, con la tutela e la valorizzazione delle tradizioni e del patrimonio artistico, culturale ed ambientale di un territorio. E questa ci sembra un‟opportunità da non perdere per un sistema territoriale come quello pugliese riccamente dotato di queste risorse.
Oggi mi sento di appartenere a questa bellissima frase di Ezio Mauro che insegna quanto preziosa sia, a volte e sempre più raramente, la lettura delle firme davvero autorevoli sui quotidiani. Mi sento così, perché spesso vedo attorno a me persone il cui alito olezza di potere disgustoso e maleodorante. E l’uso della “carica” è solo un pretesto per farsi i fatti propri e riprendersi nel ruolo, quel che non s’è riusciti a prendere dalla vita.
Fonte: La Repubblica
“L’UNICA cosa su cui vale la pena ragionare, nell’attacco furibondo di Giuliano Ferrara a Gustavo Zagrebelsky, dopo la manifestazione di “Libertà e Giustizia” 1 di sabato scorso a Milano, non sono gli insulti – di tipo addirittura fisico, antropologico – e nemmeno la rabbia evidente per il successo di quell’appuntamento pubblico che chiedeva le dimissioni di Berlusconi: piuttosto, è l’ossessione permanente ed ormai eterna della nuova destra nei confronti della cultura azionista, anzi dell’”azionismo torinese”, come si dice da anni con sospetto e con dispetto, quasi la torinesità fosse un’aggravante politica misteriosa, una tara culturale e una malattia ideologica invece di essere semplicemente e per chi lo comprende, come ripeteva Franco Antonicelli, una “condizione condizionante”.
Eppure la storia breve del Partito d’Azione è una storia di fallimenti, che nel sistema politico ha lasciato una traccia ormai indistinguibile. Gli ultimi eredi di quell’avventura, nata prima nella Resistenza e proseguita poi più nelle università e nelle professioni che nella politica, sono ormai molto vecchi, o se ne sono andati, appartati com’erano vissuti, in case piene di libri più che di potere. Ma l’idea dev’essere davvero formidabile se ha attraversato sessant’anni di storia repubblicana diventando il bersaglio dell’intolleranza di tutte le destre che il Paese ha conosciuto, vecchie e nuove, mascherate
e trionfanti, intellettuali e padronali: fino ad oggi, quando si conferma come il fantasma d’elezione, fisso e ossessivo, persino di questa variante tardo-berlusconiana normalmente occupata in faccende ben più impegnative, personali ed urgenti.
È un’ossessione che ritorna, periodicamente: la stessa destra si era già segnalata nel rifiutare pochi anni fa il sigillo civico di Torino ad Alessandro Galante Garrone, uno dei pochi che non aveva mai giurato fedeltà al fascismo, come se questa fosse una colpa nell’Italia berlusconiana. Oppure nel trasformare la lettera di supplica al Duce firmata da Norberto Bobbio in gioventù in un banchetto politico, moralista, soprattutto ideologico: tentando, dopo che il filosofo rifece pubblicamente i conti della sua esistenza (proprio sul “Foglio” di Ferrara) di rovesciarne la figura nel suo contrario, annullando la testimonianza di una vita per quell’errore iniziale, in modo da poter affermare una visione del fascismo come orizzonte condiviso o almeno accettato da tutti, salvo pochi fanatici, una sorta di natura debole italiana, nulla più.
Oggi, Zagrebelsky, e si capisce benissimo perché. Quando la cultura si avvicina alla politica e la arricchisce di valori e di ideali, cerca il nesso tra politica e morale, si rivolge allo spirito pubblico, invita alla prevalenza dell’interesse comune sul particolare, scatta il vero pericolo, in un’Italia che si sta adattando al peggio per disinformazione, per convenienza o per pavidità. Quando ritorna la cifra intellettuale dell’azionismo, che è il tono della democrazia classica, e si avverte che quell’impronta culturale forte, quasi materiale, non si è dissolta con la piccola e velleitaria organizzazione nel ’47, ecco l’allarme ideologico. Parte l’invettiva contro il “gramsciazionismo” torinese, considerato due volte colpevole perché troppo severo a destra, nel suo antifascismo intransigente, troppo debole a sinistra, nei suoi rapporti con il comunismo.
Anche questa destra è in qualche modo una rivelazione degli italiani agli italiani, con un patto sociale ridotto ai minimi termini e la tolleranza che diventa connivenza, purché la leadership carismatica possa contare su una vibrazione di consenso, assumendo in sé tutto il discorso pubblico, mentre il cittadino è ridotto a spettatore delegante, ma liberato dall’impaccio di regole e leggi. Un’Italia dove il peggio non è poi tanto male, dove si relativizza il fascismo, un’Italia in cui tutti sono uguali nei vizi e devono tacere perché hanno comunque qualcosa da nascondere, mentre le virtù civiche sono fuori corso e insospettiscono perché lo Stato è un estraneo se non un nemico da cui guardarsi, le istituzioni si possono abitare da alieni, guidare con il sentimento dell’abusivo. Un Paese abituato e anche divertito ad ascoltare l’elogio del malandrino, in cui l’avversario viene schernito, il suo tono di voce deriso, il suo accento additato come una macchia, il suo aspetto fisico denunciato come una colpa, o una vergogna. Mentre gli ideali sono abitualmente messi alla berlina, e la delegittimazione diventa una cifra della politica attraverso un giornalismo compiacente di partito: una delegittimazione insieme politica, morale, estetica, camuffata da goliardia quando serve, da avvertimento – nel vero senso della parola – quando è il caso. Fino al punto, come diceva già una volta Moravia, di “vantare come qualità i difetti e le manchevolezze della nazione”.
Bobbio non si spiegava perché nei suoi ultimi anni avesse ricevuto più attacchi che in tutta la sua vita. Ma non era cambiato lui, era cambiata la destra. E per questa nuova destra che cresceva tra reazione di classe e crisi morale, quell’azionismo residuale e tuttavia irriducibile nella sua testimonianza nuda e antica, disarmata, rappresentava il vero ultimo ostacolo per realizzare il cambio di egemonia culturale di quest’epoca, attraverso la destrutturazione del sistema di valori civili su cui si è retta la repubblica per sessant’anni. Un sistema coerente con il patto di cultura politica che sta alla base della Costituzione, con le istituzioni che ne discendono, con quel poco di antifascismo italiano organizzato nella Resistenza che ne rappresenta la fonte di legittimazione, e rende la nostra libertà democratica almeno in parte riconquistata, e non octroyée, concessa dagli alleati.
Un obiettivo tutto politico, anzi ideologico, che doveva per forza attaccare tre punti fermi della cultura repubblicana: l’antifascismo (Vittorio Foa diceva che la Resistenza era la vera “matrice” della repubblica), il Risorgimento, nella lettura di Piero Gobetti, il “civismo”, come lo chiamava Ferruccio Parri, cioè un impegno morale e politico a vincere lo scetticismo e il cinismo nazionale. È chiaro che l’azionismo era il crocevia teorico di questi tre aspetti, soprattutto la variante torinese così intrisa di gobettismo, e che tradisce la presunta neutralità liberale, anzi compie il sacrilegio di coniugare il metodo e i valori liberali con la sinistra italiana, rifiutando l’anticomunismo.
Proprio per questo, gli azionisti sono pericolosi due volte. Perché non portano in sé il peccato originale del comunismo, che contrassegna gran parte della sinistra italiana, e perché non scelgono l’anticomunismo, come dovrebbe fare ogni buon liberale. Anzi, questo liberalismo di sinistra rifiuta l’equidistanza tra fascismo e comunismo, che porta il partito del Premier e i suoi giornali addirittura a proporre la cancellazione della festa della Liberazione, come se il 25 aprile non fosse la data che celebra un accadimento nazionale concreto e storico, la fine della dittatura, ma solo una sovrastruttura simbolica a fini ideologici. Così, Bobbio denuncia come la nuova equidistanza tra antifascismo e anticomunismo finisca spesso ormai per portare ad un’altra equidistanza, “abominevole”: quella tra fascismo e antifascismo.
Ce n’è abbastanza per capire. Debole e lontana, la cultura azionista è ancora il nemico ideologico, se propone un’Italia di minoranza intransigente, laica, insofferente al clericalismo cattolico e comunista, praticante della religione civile che predica una “democrazia di alto stile”. Si capisce che nell’Italia di oggi, dove prevale una politica che quando trova “un Paese gobbo – come diceva Giolitti – gli confeziona un abito da gobbo”, quella cultura sia considerata “miserabile”. Guglielmo Giannini, d’altra parte, sull’”Uomo Qualunque” derideva gli azionisti come “visi pallidi”, Togliatti chiamava Parri “quel fesso”. Ottima compagnia, dunque. Soltanto, converrebbe lasciar perdere Gobetti. Perché a rileggerlo, si scoprirebbe che sembra parlare di oggi quando scrive degli “intona-rumori, della grancassa, di un codazzo di adulatori pacchiani e di servi zelanti che facciano da coro”, che diano “garanzia di continuità nella mistificazione”, “armati gregari” che sostituiscono “la fede assente”, perché “corte e pretoriani furono sempre consolatori e custodi dei regimi improvvisati con arte e difesi contro i pretendenti”.
Ezio Mauro
Ho conosciuto tanti anni fa il patron dell’allora Arezzo Wave, Mauro Valenti.
Infaticabile e poderoso organizzatore del più grande festival rock del sud Europa.
Ne rimasi impressionato per talento, competenza, passione e capacità di coinvolgere uno staff largo e ramificato in tante “antenne” regionali in Italia e all’estero.
Curai allora, credo fosse il 2003, in collaborazione con il grande Emiliano Coraretti, la sezione videoclip e cinema di Arezzo wave per conto della Fandango. Una esperienza, come si dice, memorabile.
Ho incontrato e sentito spesso in questi ultimi mesi Mauro nel tentativo di offrire loro le necessarie alleanze e conoscenze territoriali per attrarre in Puglia e in particolare nel Salento la loro Italia Wave. Grazie alla bravura di Antonio Princigalli, direttore artistico di Puglia Sounds e all’intelligenza di tutti gli amministratori locali coinvolti, i pugliesi hanno adesso un attrattore in più per incrementare i flussi turistici estivi nel mese di luglio. E sono felice che le persone belle, gira e volta, prima o poi si incontrano nuovamente.
Buon rock a tutti e tutte!
“La Puglia si prende Italia Wave: la notizia, un terremoto nel panorama dei festival estivi italiani, è stata ufficializzata negli scorsi giorni. Questa mattina una conferenza stampa a Roma, presente Nichi Vendola, ha ulteriormente chiarito i termini dell’operazione. Italia Wave, organizzato dal 1987 dalla Fondazione Arezzo Wave, si era spostato a Livorno tre anni fa, per problemi con la giunta locale di Arezzo. Da mesi si attendevano lumi sull’edizione 2011, essendo scaduto l’accordo triennale con Livorno e per i prevedibili problemi economici che hanno investito i vari enti in gioco. Il festival dunque, uno dei più importanti in Italia, cambia radicalmente sede e si sposta a Lecce, diventando parte del progetto Puglia Sounds. Il main stage sarà allo Stadio Comunale, ma sono previsti eventi sulle spiagge del Salento, nel centro storico di Lecce e all’Aereoporto di Lepore, dove si esibiranno i dj di Elettrowave. Un’ulteriore dimostrazione di come il modello Vendola riesca ad attrarre eventi di grande valore e a creare ricchezza, anche sfruttando momenti di “debolezza” di altri enti locali: ricordiamo il caso recente del Rototom Sunsplash, costretto da problemi di varia natura a trasferirsi dal Friuli in Spagna. In questo caso, almeno, il trasloco rimane in Italia.”
Fonte : Il Giornale della Musica
Tanti ragazzi e ragazze (e non solo) ci scrivono per chiederci informazioni relative ai corsi di formazione e alle opportunità di lavoro presso i nascenti “studios” cinematografici di Castellaneta in provincia di Taranto, di cui qualche giorno fa ha parlato, in una conferenza stampa romana, l’On. Gabriella Carlucci.
Purtroppo non abbiamo informazioni da rendere, perché non siamo noi i titolari di tale iniziativa privata.
Quando ne avremo, come sempre, ne daremo ampia pubblicità e comunicazione tramite i nostri usuali strumenti (sito, newsletter, facebook, twitter e comunicati stampa).
Grazie a tutti e tutte.
Rileggo periodicamente la Costituzione della Repubblica italiana.
Lo faccio perché sono riconoscente nei confronti dei miei studi universitari.
Perché non esiste bibbia civile più avanzata della nostra Costituzione.
Le cui pagine trasudano l’impegno che i Costituenti vi hanno messo per proiettare il Paese in una traiettoria post fascista e finalmente democratica.
So quanto sia difficile crederlo, ma ogni volta che la rileggo, mi commuovo.
Penso a quell’aula fumosa di Montecitorio in cui i nostri Padri costituenti hanno trascorso lunghi mesi di discussioni alate e di compromessi tra le matrici della nostra cultura repubblicana: quella cattolica democratica, quella laica e socialista e quella comunista, facendone una sintesi progressiva, capace di scrivere regole che durassero nei secoli futuri.
E quando leggo passaggi come “la scuola è aperta a tutti”, “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, “la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”, “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”, “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”, “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”; penso viviamo in un Paese meraviglioso cui manca solo una vera, autonoma e forte classe dirigente diffusa per garantire ai propri cittadini un po’ di prospettiva e felicità.
Per questo mi rattrista molto leggere delle difficoltà del nostro settore industriale dell’audiovisivo e, più in generale, della produzione culturale. Ma non smarrisco l’ottimismo, perché ovunque vada, e chiunque senta in Italia, percepisco un desiderio forte di cambiamento e la necessità di investire davvero nella più importante delle risorse che abbiamo: il nostro territorio, la nostra cultura e coscienza civile.
Suggerisco di leggere la sezione Millecanali de Il sole 24 ore per seguire il dibattito e aggiornarsi sulle novità e di consultare il portale tafter. Due ottimi modi per capire come va il nostro mondo.
Mi sveglio presto la mattina, perché amo da sempre leggere i giornali, accompagnare il cane, prendere l’aria buona delle 7. I pensieri si fanno più lucidi e gli obiettivi più chiari.
Quel che ho imparato in questi primi 43 mesi di vita della Apulia film commission, è che puoi fare ogni sforzo logico organizzativo, ma i processi culturali procedono lentamente e per progressivi sedimenti.
In queste due ultime mattine ho capito, leggendo i quotidiani, che il nostro lavoro, qui in Puglia, ha sfondato il muro dei semplici operatori culturali e industriali della nostra filiera.
Lo penso perché ieri ho appreso che l’amica Onorevole Gabriella Carlucci ha annunciato in conferenza stampa a Roma la nascita degli studios cinematografici pugliesi a Castellaneta marina, intitolati al divo per eccellenza, Rodolfo Valentino. Top.
Fonte: La Repubblica
E stamattina ho letto divertito la pubblicità di un ipermercato pugliese che regala ai propri clienti due biglietti per il cinema, sotto il titolo urlato di ciak e qualcosa…down.
Questi sono segnali che l’interesse dei pugliesi per quel che stiamo provando a fare con una logica sistemica è reale e s’é, appunto, sedimentato, stratificato al livello delle coscienze collettive.
E’ la soddisfazione più grande, che travalica il nostro stesso lavoro tecnico, per assurgere alla dimensione di fenomeno sociale di riconoscimento e identità.
Ancora una volta sono costretto a investire parte del mio tempo per leggere il (e rispondere al) giornale web locale che mi dedica tanta attenzione e foga inquisitoria. Evidentemente perché a corto di altri argomenti o perché oggi non c’è giunta regionale e allora di che altro parlare?
Rispondo all’autorevole firma della sig.ra Mintrone, direttrice del giornale. Sono dunque emozionato e soppeserò le parole come un vecchio doroteo.
Uno: nessuno ha mai chiesto di leggere il diario on line della Apulia Film Commission. Chi lo fa, può scegliere in piena libertà. Dunque se i signori de “L’ira del tacco” lo fanno, è perché vogliono farlo e per creare polemica e aumentare (così evidentemente sperano) il numero di connessioni e farne così più felice l’editore che, a proposito di trasparenza, non si capisce bene chi sia.
Due: l’autostima dei moralisti è tanta che, la formula retorica con la quale presentavo il mio punto di vista circa la distanza siderale che c’è tra Report e un giornale locale, viene scambiata per complimento. E allora così sia, se volete crederlo: siete bravissimi, continuate così! Tanto per voi son tutti uguali, è tutto un magna magna, sò tutti ladri e poco importa che se vado fuori dai confini regionali senta complimenti, stupore e incoraggiamenti e solo qui in Puglia, debba leggere e ascoltare i commenti negativi e critici di chi continua a non dire nel merito, ripeto, nel merito, qualcosa di vagamente utile a migliorare il nostro lavoro. E’ solo gossip bellezza.
Tre: se non me lo impedisse la mole di lavoro che c’è ancora da fare qui, farei volentieri l’addetto stampa della sig.ra Mintrone e, come primo consiglio, le suggerirei di dire a tutti chi le paga lo stipendio e perché, visto che non si conosce altro portale di informazione che non abbia pubblicità (a meno di non considerare tale, con tutto il sommo rispetto, il Vigneri group…). E poi, come noto, costo troppo.
Quattro: quella giuridica della Fondazione è una natura privatistica, dunque il CdA individua il proprio direttore sulla base del cosiddetto intuitu personae, sulla base della garanzia di un’aderenza alle proprie linee guida e degli obiettivi da raggiungere. Di tal guisa che, scegliendo il direttore, gli amministratori si giocano la faccia insieme a lui. Tale rapporto fiduciario per i ruoli apicali consente di scegliere senza gara. Così tre anni e mezzo fa sono stato scelto io, si badi bene, non da Vendola, ma da un CdA composto da consiglieri di centro destra e di centro sinistra, all’unanimità. Mi si giudica su questo o sui risultati che ho portato: questa è la differenza tra chi fa giornalismo e chi rimesta nel fango per cavarne autostima.
Cinque: in sede di CdA fu stabilito anche il compenso del direttore, pari a 65.000 oltre incombenti fiscali e cassa, che, in quanto tale, costituisce un costo per l’azienda, ma non certamente l’emolumento del collaboratore.
Sei: il mio è un diario, non ho la pretesa di farlo passare per un giornale on line. Dunque non c’è nessun pulpito da cui fare prediche, ma solo un punto di vista da affermare.
Sette: devo ripeterlo al sig. Sangerardi, che non capisce: il diario non comporta alcuna spesa per la Fondazione Apulia Film Commission.
Otto: se il suddetto giornalista avesse partecipato alla conferenza stampa di chiusura del Bif&st o se la sua testata avesse un semplice abbonamento all’Ansa, avrebbe scoperto che proprio il direttore della film commission ha consegnato alla stampa i costi puntuali e precisi del Bif&st. Ma evidentemente erano impegnati a cercare la polemica con noi.
Nove: tutto questo è tempo sprecato. Perché non c’è peggior tonto di chi non vuol capire. E per non fare più perdere tempo nemmeno a loro, smetterò di leggere “L’ira del tacco” perché sto regalando loro sin troppa gratuita pubblicità.
Fonte:L’ira del Tacco
Ecco, se proprio devo leggere un diario, preferisco quello di Anna Frank piuttosto che quello di Silvio Maselli. Quello della Frank l’ho letto da bambina e l’ho riletto spesso da adulta, quello di Maselli non l’avevo mai letto prima d’ora. Ma visto che sono stata allertata che sul suo ” Diario”, pubblicato sul sito ufficiale dell’Apulia Film Commission, era stata recitata un’arringa contro di me, contro la testata on line che dirigo e contro il lavoro di un pignolo ed eccellente collega qual è Nino Sangerardi, finalmente mi sono imbattuta per la prima volta in questo diario. Bene, continuo a preferire quello di Anna Frank e, in alternativa, quello di Bridget Jones, ma questo proprio non mi acchiappa.
Ma il punto non è questo, de gustibus non est disputandum. Nella sua arringa il direttore dell’ Apulia Film Commission definisce l’Ira del Tacco un ” portale specializzato in campagne moralizzatrici”. Resto estasiata.
Mai complimento più bello mi è stato rivolto finora. Grazie, direttore Maselli, anche se avrei preferito che lei parlasse di etica più che di morale. Senza etica il mondo sarebbe peggio di quello che è, ed io l’etica la esigo da tutti, da me(semplice cittadina), da lei ( direttore di una Fondazione pubblica), da Silvio Berlusconi( Presidente del Consiglio). Senza fare sconti a nessuno per campanilismo, convenienza o circostanza.
Non so se siamo riusciti finora a fare quelle che lei definisce ” campagne moralizzatrici”, ma è encomiabile averci comunque provato con grande fatica, grande impegno e tanta, tanta passione.
Ma le devo dire grazie anche per avermi inconsciamente accostata alla seria, pignola e bravissima Milena Gabanelli. Freud direbbe che il suo è stato un lapsus ed io, manco a farlo apposta, sono proprio della corrente freudiana.
Lei, o meglio, il suo inconscio, fa un parallelismo tra “L’ira del Tacco” e “Report”. Come le è venuto? Lei non ci ha mica paragonati al ” Graffio” o a ” Kalispéra” ma al programma giornalisticamente più serio e ben fatto della televisione italiana!. Resto ancora una volta estasiata.
Lei , con la sua arringa, senza volerlo, mi ha riempito di complimenti. Anche quando dice che la differenza tra noi e la Gabanelli consiste nel fatto che l’esimia collega ” sa scavare nel fango per trovare le belle notizie mentre a queste latitudini ( leggi l’Ira del Tacco) no, il giornalismo piace farlo così, a prezzi d’occasione”.
Direttore, posso osare chiederle se sarebbe disposto a farmi da ufficio stampa? Mi creda, risolverei gran parte dei miei problemi con un supporter come lei.
Concludo, perché davvero sono commossa da tanta benevolenza nei miei confronti. Alla fine della sua arringa, caro direttore, lei si chiede se ” scrivendo su un suo blog, noi dell’Ira del Tacco non approfitteremmo per criticare le idee del Maselli medesimo, additandolo come pericoloso estremista amico di Vendola e dunque inabile a gestire una pubblica Fondazione?”.
Vede, direttore, lei nella foga della sua arringa, a me favorevole, si è definito un “amico di Vendola dunque inabile a gestire una pubblica Fondazione “. Innanzitutto complimenti, il presidente Vendola è persona squisita e ha tutta la mia stima e considerazione come politico e come uomo.
Ma a lei, caro direttore, per evitare che qualcuno possa malignare, consiglierei di spiegare una volta per tutte se la sua carica all’Apulia Film Commission è di tipo fiduciario o se ha partecipato regolarmente ad una selezione pubblica. Ad maiora.
Leggo divertito il pezzo che il signor Nino Sangerardi, ha pubblicato su un portale di informazione regionale dal titolo “L’ira del tacco”, specializzato in campagne moralizzatrici.
Questa volta se la prende con il mio diario, piccolo e modesto spazio di riflessione che unico nel suo genere, la apulia film commission ha deciso di avere all’interno del proprio portale senza alcun costo aggiuntivo per l’ente gestito, come può capire chiunque sappia come si fa un sito web.
E se la prende perché secondo lui (loro, evidentemente), un direttore di una struttura pubblica non deve esprimere le proprie idee all’interno del proprio strumento di comunicazione, bensì fuori di esso.
Come se la mia personalità potesse scindersi tra la funzione e le proprie idee.
Ma quel che mi sembra sempre più incomprensibile di quel portale, è che pervicacemente eviti di entrare nel merito.
Riportano sempre, infatti, il mio compenso (sbagliandolo di diecimila euro in eccesso, ogni santa volta, perché nessuno di loro evidentemente ha studiato economia aziendale e dunque non sanno leggere bene i bilanci); ma mai una volta che analizzino i risultati del nostro lavoro! Forse perché lì non troverebbero la notizia pruriginosa. Ma in questo risiede la differenza tra “L’ira del tacco” e “Report”. La Gabanelli, infatti, sa scavare nel fango per trovare le belle notizie. A queste latitudini no, il giornalismo piace farlo così, a prezzi d’occasione.
Sicché se il Bif&st si annuncia come una iniziativa culturale di successo (per la grande mole di pubblico e la calorosa accoglienza della critica), loro criticano il budget; se noi portiamo in Puglia una media di trenta produzioni l’anno, loro parlano di quella tal delibera che ci assegna risorse per fare il nostro lavoro; se il direttore va in Cina con la delegazione istituzionale della Regione Puglia, loro ricordano lo stipendio del direttore medesimo.
Un modo di fare giornalismo che, francamente, trovo raccapricciante. Perché siamo stati i primi (e ancora tra i pochi) a pubblicare i nostri bilanci e le determine e dunque quel che facciamo è trasparente e noto a chiunque.
Mi piacerebbe leggere una volta almeno una critica di merito. Qualcosa che dica, per esempio, il Bif&st fa schifo perché chi lo organizza non ha pensato ai transfert oppure ha scelto fornitori amici suoi. Ma questo non possono scriverlo, perché verrebbero sbugiardati dalle carte e dagli oltre 350 ospiti che hanno amato la nostra ospitalità e apprezzato – anche pubblicamente – la qualità del nostro lavoro.
E allora sono condannato a leggere ancora, in futuro, che quella tal delibera è sbagliata, che Iarussi fa il giornalista, De Luca è amico di Winspeare perché salentino e che Maselli potrebbe essere più basso di qualche centimetro.
Mai qualcosa che veramente aiuti a migliorare il nostro lavoro. Solo un giornalismo fatto di gossip e di condanna moralistica, buono per le rassegne stampa, pessimo per capirci veramente qualcosa.
In ultimo un sillogismo in forma di domanda: se Maselli scrivesse le stesse cose che scrive su questo diario su un proprio blog, chi giurerebbe che “L’ira del tacco” non ne approfitterebbe per criticare le idee del Maselli medesimo, additandolo come pericoloso estremista amico di Vendola e dunque inabile a gestire una pubblica Fondazione?
Ai posteri l’ardua sentenza.
Fonte:
Il dr. Silvio Maselli è stato nominato, da Presidente Nichi Vendola e assessori di centrosinistra, direttore della Fondazione Apulia Film Commission.Ente giuridico che ha per oggetto “… La promozione e valorizzazione del patrimonio artistico ambientale della Puglia, al fine di incentivare le produzioni mediatiche su tale territorio anche in coordinamento con altre Film Commission… diffondendo l’immagine e la conoscenza della Puglia in Italia e all’estero”.La Regione ha finanziato–anno 2009– Apulia Film Commission con 1.500.000,00 euro, l’indennità annuale per il dr. Maselli è di 75mila euro.
La Fondazione AFC ha un sito internet.Cliccando in home page sul link “Diario” è possibile leggere pensieri e stati d’animo del direttore Silvio Maselli.Per esempio: il 19 gennaio 2011 scrive ” Dedicato a Silvio Berlusconi” con accluso il testo in lingua inglese della canzone “The show must go on” del gruppo musicale The Queen;il 18 gennaio 2011 Silvio punto Maselli verga ” Medioevo” a proposito delle dichiarazioni rilasciate da Papa Benedetto XIII sulle forme di unione che “ snaturano l’essenza e il fine della famiglia”.
Il Maselli si esprime così: ” Non condivido nemmeno una delle cose che va dicendo da quando è stato eletto al soglio pontificio(ed anche prima:essendo stato uno dei più retrivi conservatori)”; il 22 dicembre 2010 Maselli direttore di AFC parla di ” La vostra cultura è la forza. La nostra forza è la cultura” riguardo “L’anno politico nazionale che sta per chiudersi con i cento cortei di studenti medi e universitari che inondano le piazze contro la vituperata cosiddetta riforma Gelmini… La politica diventa più bella quando si fa lotta collettiva,quando unisce le vertenze e le riassume in uno slogan intelligente che rende nudo il re”.
Lo spazio internet di Apulia Film Commission nasce e vegeta grazie al pubblico denaro, il dr. Silvio Maselli è pagato con soldi di un ente pubblico.Che c’entrano le considerazioni ideologiche e politiche postate sul Diario in merito a Ratzinger, Berlusconi e la Riforma Gelmini? Il ruolo del dr. Maselli nella struttura di natura pubblica non dovrebbe essere quello di organizzatore di ” produzioni mediatiche”?
Se il direttore Silvio Maselli intende esprimere le sue legittime convinzioni può e deve farlo a sue spese: c’è Facebook,il Blog di sè medesimo,il portale nichivendola.it, il forum permanente delle Fabbriche di Nichi o di SEL o chi sa quale altro mezzo di comunicazione.
La Regione Puglia ( le sue società e fondazioni) è dei pugliesi: di sinistra e centrosinistra, destra e centrodestra, centro e sinistra critica. Insomma, una pubblica Istituzione.
Fonte: L’ira del Tacco
In down da fine Bif&st domenica pomeriggio sono andato a cinema a vedere “Qualunquemente” di Giulio Manfredonia, aspettandomi uno spettacolo di sketch televisivi.
Invece quello scritto e interpretato da Antonio Albanese è un film vero e amarissimo, che racconta il nostro paese quasi quanto la cronaca di queste settimane e fa venire una rabbia atroce.
Lo scempio del territorio, la furbizia degli italiani che si lasciano convincere a votare la persona sbagliata da un buono benzina, il disprezzo per l’arte e la cultura, l’uso strumentale della religione, i consulenti di immagine del tutto disinteressati dei contenuti, l’insensibilità ambientale, l’amico sempre pronto ad aiutare il potente che altro sono se non le caratteristiche più profonde di un paese che, nella cattiva politica, trova solo il proprio specchio?
La fine del film è atroce, almeno quanto la sua parte centrale. I tanti italiani che lo stanno andando a vedere si riconosceranno? Sapremo cambiare tutto per cambiare veramente e in meglio?