Diario
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26/08/2010

Nord contro sud

L’accordo siglato ieri tra Bossi e Berlusconi ricorda davvero molto da vicino le riunioni nelle roulotte fuori dai congressi del PSI o della DC degli anni ottanta. Il peggio della politica sta andando in mostra in questi caldi giorni agostani. Compagni di partito che si prendono a pesci in faccia, in totale spregio della Costituzione e delle più elementari norme di civiltà.

In tutto questo nessuno parla della crisi morale che stringe d’assedio il Paese (tranne i Paolini e pochi altri esponenti cattolici, visto che i politici che si appellano ai valori della Chiesa in Italia sono tutti pluri divorziati, quando parlano non credo nemmeno alla metà delle cose che dicono). Nè tampoco della crisi economica e, soprattutto, di identità del Paese.

Da un decennio non sento parole chiare sul punto, nè da sinistra, tantomeno da destra.
Voterò i politici che mi faranno capire dove vorranno portare il Paese nel 2020. Dell’oggi so solo che non si va a votare perché Bossi vuol salvare la sua secessione mascherata da federalismo, Berlusconi vuol salvarsi dai processi e mi vergogno sempre più d’esser italiano, proprio quando nei festeggiamenti del centocinquantesimo anniversario dell’Unità, sarebbe bello scoprirsi italiani degli anni duemila, alle prese con le meravigliose nuove sfide di questo millennio.

Macché. Il Premier ha 74 anni, il dante causa della maggioranza, dopo una emiparesi, quando parla quasi non lo capisci e pertanto si esprime a diti medi alzati in faccia alle telecamere e una folla plaudente spera con questi leader di continuare ad avere un ruolo nel mondo nuovo. Mi fanno pena.

Forse inizia finalmente ad avvicinarsi per tanti e tante il tempo in cui, come recita il detto arabo, “gli uomini coraggiosi fanno politica, gli altri ne parlano”.

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23/08/2010

La duesettecinque

Come non facevo da anni ho trascorso le mie vacanze estive in Puglia. Ho letto tanto, ho osservato tanto, ho lavorato su di me e su chi mi è caro, perché quando corri non vedi più te stesso e ti perdi ogni giorno un po’ di più.
Cammin facendo però, l’urgenza dell’attualità mi ha incrociato e non posso non dire come la penso su una strada fisica, reale, vera, impellente e attuale. La 275.

Il fatto.
Alcuni politici locali, evidentemente scambiando l’aggettivo locale per un sostantivo più becero, lottano da anni per avere una strada che tagli a metà il capo di Leuca per congiungere la cittadina più meridionale di Puglia a Maglie. Dicono, questi signori, che serve allo sviluppo locale (e sono magari in parte gli stessi che militano a favore della follia di una regione Salento). Dicono che per rilanciare l’economia del capo servono infrastrutture.
Una strada che costa 287 milioni di euro (!) di cui 135 di fondi Fas (ricordate cosa sono?) e 152 della regione per costruire in totale ben 7 chilometri (sic!).

E lottano, questi signori, contro una bella proposta alternativa della Regione Puglia di trasformare l’iniziale e vecchissimo progetto che prevede un ponte di centinaia di metri steso su piloni in calcestruzzo a tagliare le serre salentine, ferendole a morte, in una strada parco che farebbe scorrere l’asfalto tra alberi secolari e dune, senza tagliare alcun arbusto e facendo perdere in totale solo qualche minuto in più a chi, ansioso, cerca di raggiungere la “fine della terra”.

La distanza di posizioni, certificata da una brutta decisione dei tribunali amministrativi, si misura, dunque, in pochi chilometri di differenza. Ma, in cambio, se fosse accettato il progetto regionale, i salentini guadagnerebbero in qualità della vita.

Potrei raccontare la stessa storia parlando della cosiddetta strada dei trulli, progettata dagli amministratori di Cisternino (Br) per tagliare a metà i monti cistranesi e velocizzare non si sa bene quale traffico.

Cosa spinge politici, amministratori e cittadini a scegliere di correre più veloci tagliando alberi e pezzi di identità, piuttosto che la bellezza dell’andar lenti, della tutela del paesaggio e della scoperta?

Queste sono le battaglie di un nuovo umanesimo cui dobbiamo lavorare.

Lo dico da tecnico, se me lo si passa: è ingiustificabile dire che se Lecce si classifica al 4 posto tra le dieci località italiane scelte dai turisti (e ce ne sono ben altre due tra le prime dieci italiane, Viste all’ottavo e Gallipoli al nono posto, fonte: www.trivago.it) uno dei motivi principali è l’aver ospitato uno dei film di maggiore qualità e successo dell’ultima stagione cinematografica italiana (Mine vaganti)? E che se iniziassimo a rendere meno affascinante e unica la nostra terra, registi e autori non si lascerebbero più abbacinare dalle nostre pietre e dalle nostre storie? E la nostra modernità quanto poggia sul riuso sapiente e innovativo della tradizione, sulla forza di una identità che ha saputo proteggersi dall’annessione culturale di un nord che vive il moderno come devastazione del passato senza però saper prefigurare un vero futuro (leggere e rileggere sempre “Il pensiero meridiano” e “Mal di Levante” di Franco Cassano), che per competere nella globalizzazione dei mercati occorre mantenere forte la propria identità per non essere travolti dal pensiero unico che vede nella finanza la vera ricchezza e non – invece –  nella qualità dei manufatti e dei servizi, nei legami tra esseri umani e nel rispetto di ogni forma vivente?

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23/08/2010

Il giorno di dolore che uno ha.

Uno dice sanità e pensa agli affari, alle cricche, ai concorsi per primario truccati, ad ospedali fatiscenti, al tentativo disperato della buona politica di far funzionare le cose secondo criteri di efficienza e giustizia, alle liste d’attesa, alla politica fellona che si mangia tutto, ai ferri in pancia, ai nosocomi, ai manicomi, alle Asl,  ai consultori, ai ticket, ai direttori generali, ai baroni, ai policlinici, ai donverzè o ai veronesi, alle malattie più assurde, al dolore muto che ci rifiutiamo di ascoltare, alla sofferenza come espiazione di colpe globali, all’infermità da donare al dio in cui ciascuno crede, alle strutture fatiscenti, alle cappelle, ai centri diagnostici, alle analisi del sangue, ai centri di eccellenza.

Io non ho avuto ancora la fortuna di credere nella trascendenza, in un ordine superiore che tutto vede e ascolta e accompagna. Da quando, diciassettenne, scelsi di fare il volontario soccorritore, prima di maturare l’idea che dev’essere la politica a occuparsi degli ultimi e a garantire tutti con l’organizzazione di uno stato sociale universalistico, per qull’età ho visto troppo dolore, ho seguito troppi incidenti, ho perso per sempre amici accompagnandoli sino all’ultimo istante, ho cercato di sorridere a troppi bambini malati; ho accompagnato troppi innocenti sull’altare di un Signore la cui cupidigia di sangue mi pareva ingiustificata e le parole di un parroco buono insignificanti dinanzi al mistero del completamento della vita, che chiamiamo morte. Vita, gioia, dolore, morte sono consustanziali all’essenza stessa dell’umanità perché si possa dare spazio a un’idea razionale, cioè umanistica, di trascendenza.

E tutto, purtroppo, si riduce al dogma del “prendere o lasciare”, credere o non credere. Per questo so di essere solo nel mondo, di camminare sulle spalle dei giganti, sapendo che Dio è dentro di noi, che il senso dell’etica si matura nelle convinzioni sociali, nel confronto con l’altro da sé, che non esiste una legge di natura immodificabile, che ogni valore ha un suo contrario e la costruzione di una società avviene per successive stratificazioni di valori condivisi, per i quali uomini e donne sono disposti a lottare.

L’umanesimo in cui credo delega all’Uomo i diritti e i doveri, che non possono essere mai disaccoppiati o demandati a una fede esterna alla natura degli uomini che son fatti di materia e di bisogni.

Per questo oggi, che mi sento grande e affaticato, sì, affaticato dalle cose della vita, se parlo di sanità mi impongo di parlare di quel che vedo.

In questi ultimi giorni ho visto l’eccellenza nelle persone che la fanno, ciascuno come sa e come può. Ho sentito le parole risolute e dure di chi deve annunciarti cattive notizie e procurarti dolori non marginabili. Ho visto la faccia apprensiva della dottoressa di turno all’accettazione nel pronto soccorso di un piccolo ospedale pugliese, uno di quelli salvati dal nuovo piano sanitario regionale. Ho visto il prodigarsi e il sorriso della chirurgo. Ho visto il lindore dei reparti, l’attenzione premurosa delle infermiere dinanzi alla emergenza. Scoglionate da stipendi miserrimi, ma sempre lì, con la stessa lena di sempre a lottare per fare presto, per dare riparo ai sofferenti, per donare un sorriso ai parenti, per dire ch’è andato tutto bene, che non c’è più da preoccuparsi, che ci si può tornare ad occuparsi delle cose della vita; che la morte è ancora lontana eppure, sempre vicinissima.

Da oggi dirò sanità e penserò agli sguardi di quei professionisti del dramma, che si sono dati la missione dell’eccellenza perché, al di là di ogni patimento, frustrazione, durezza, la sanità vive di chi la fa.

E, ogni volta che dirò Dio, penserò alle migliaia di medici che provano a curare, ai ricercatori che provano a innovare, ai missionari che provano a tamponare, agli insegnanti che provano a migliorare, agli artisti che provano a creare, ai politici che provano a cambiare, agli architetti che provano a inventare, ai lavoratori che provano a campare. Penserò a tutti quelli che provano, cioè, lasciando un segno nel proprio tempo e creando filamenti di solidarietà, certezza di società.

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23/08/2010

Ermanno Olmi


Ermanno Olmi porta nel cognome il senso della sua vita. Come un albero fiero e tremante, conduce la sua battaglia quotidiana facendo un grande cinema di pensiero e di terra, in attesa del lucore delle cose che verranno.
Sarà un’emozione grande, una di quelle cose per cui benedici sempre il lavoro che hai scelto di fare ancora ragazzo, quando in famiglia ti guardavano strano per la scelta di negarsi alle gioie e alle ricchezze della professione liberale, assisterlo durante le riprese pugliesi del suo nuovo film la cui sceneggiatura annuncia il capolavoro, la summa narrativa, la parola definitiva che riassume una poetica.

Mentre eravamo a cena, per chiudere l’accordo che lo sta portando a girare il suo “Villaggio di cartone” in regione, insistendo nel chiamarlo “Maestro”, Ermanno mi ha fermato e mi ha detto una cosa che voglio imbrigliare qui, dentro questo diario.
Ha detto “ti prego, Silvio, dammi del tu perché se continui a chiamarmi maestro, mi convincerò che non ho più nulla da imparare”.

Adesso, dunque, ho imparato anche questo. Voglio imparare ancora e stare sempre accanto alle persone migliori di me. Grazie Ermanno.

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06/08/2010

Attori e attrici

Quando siamo nati tre anni fa, cioè quando sono stato scelto e nominato per mettere su la film commission della Puglia, avevo molte idee. La gran parte di queste sono riuscito a realizzarle.
Altre, invece, proprio non le ho mai coltivate, trovando piena condivisione nel Consiglio di Amministrazione.
Una delle cose che non abbiamo mai voluto fare è intermediare gli attori. Ponendoci cioè, in mezzo, tra attori e registi, nel tentativo di condizionare le scelte artistiche di registi e casting director.
Sono tutt’ora convinto che se avessimo fatto quella scelta, avremmo commesso un gravissimo errore strategico.

Non c’è nulla di più prezioso per un regista, infatti, che la scelta degli attori. Insieme alle location e all’impianto narrativo, la scelta del cast artistico è la grande prerogativa dei registi. Per questo motivo spesso i film che registi non pugliesi girano qui da noi,
arrivano in Puglia con il cast dei ruoli principali già fatto. Perché tutti i registi vorrebbero la grande star sui propri film.

E poi c’è una considerazione che riguarda il mercato. Esistono in Puglia diverse società, alcune molto serie e competenti, altre purtroppo meno (e noi vigiliamo su di queste), che si occupano proprio di selezionare talenti per avviarli ai casting delle produzioni.
Non occorre pagare in anticipo queste agenzie per iscriversi nei loro data base. Loro guadagnano dalla mera intermediazione: se l’attore viene scritturato per un film, dovrà loro una percentuale dell’incarico.

In altri casi, invece, queste agenzie lavorano direttamente per conto delle produzioni facendo il casting e sono pagate dalla medesima produzione.

Nell’uno e nell’altro caso attori e attrici dovrebbero comprendere che l’Apulia Film Commission ha previsto una regola nel proprio film fund che impone alle produzioni di assumere almeno il 30% di troupe e/o cast pugliese. E che se avessimo previsto il 30% di cast pugliese avremmo imposto una nostra scelta, diventando da sostenitori e attrattori dei nemici da evitare.

Per cui il mio invito ad attori e attrici è a crederci sino in fondo e, insieme, di comprendere che il loro orizzonte è il mondo, non la sola Puglia, perché hanno scelto un lavoro nomade per definizione. Noi come film commission ce la mettiamo tutta per aiutarli a rimanere a casa costruendo una scena artistica locale, ma non basta. Questo è sicuro.

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05/08/2010

C’è un unico grande partito di opposizione.

C’è un unico grande partito di opposizione nel mondo da me conosciuto che, dinanzi alla crisi del governo in carica, invece di invocare le elezioni anticipate e di organizzare grandi manifestazioni di piazza con tale richiesta, propone di fare un governo tecnico guidato dal principale responsabile del declino economico del Paese. Il Ministro che tre mesi fa annunciava che i conti erano apposto e non c’era bisogno di una manovra correttiva e, tre mesi dopo, ha fatto quella che per me, è la peggiore finanziaria dai tempi di Amato. Incapace di creare sviluppo, progettata per spezzare le gambe agli enti locali e al nostro Sud.

I dirigenti di questo grande partito di opposizione sono davvero utili. A Berlusconi.

Ora io dico, ma come diavolo si fa a essere così inutili?

Fonte: La Repubblica

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05/08/2010

La nuova regione?

Leggo da più parti interventi di (pochi) politici e molti opinionisti simil politici favorevoli alla nascita di una nuova regione.
La regione Salento.

Complimenti a questi signori!

Penso da un decennio che le province vadano abolite, delegando le loro missioni ai comuni. Figurati cosa penso della nascita di una nuova regione.
Il Salento senza la Puglia è morto. La Puglia senza il Salento è morta.

Ma perché arriva l’estate e, insieme ai suicidi, aumentano le fesserie?

Fonte: Affari Italiani

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02/08/2010

Suso Cecchi D’Amico

La Fondazione Apulia Film Commission s’inchina alla memoria di Suso Cecchi D’Amico e si stringe a Caterina e alla famiglia nel dolore. Scompare una protagonista della cultura italiana ed europea, legata da amicizie ed esperienze didattiche alla Puglia, dove ha guidato numerosi giovani nella scrittura cinematografica. Addio Suso.

 

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27/07/2010

Una bella notizia. Qualcuno la spieghi al dott. Veronesi.

Ho sempre amato la tecnologia, considerandola una delle espressioni umane più utili, se eticamente corrette, alla soluzione dei problemi che angustiano l’umanità. Non la temo, ma la osservo con dovuta accortezza.

Quando si parla di tecnologia nucleare, però, non ammetto ragioni per un semplicissimo motivo: le centrali potranno anche essere sicure al 100%, ma le scorie poi, dove le mettiamo? La risposta di qualche tedesco o dei leghisti è “not in my backyard”, mandiamole al sud!
E poi, mentre le energie alternative, al netto degli aiuti pubblici, sono investimenti privati, le centrali nucleari (che hanno un costo medio unitario di circa dieci, si ho scritto bene, DIECI miliardi) sono usualmente finanziate dagli stati.

Ora uno studio pubblicato sull’autorevole New York Times (http://www.nytimes.com/2010/07/27/business/global/27iht-renuke.html?_r=1&src=busln) che si trova tradotto in sintesi qui (http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/energia_e_ambiente/10_luglio_27/solare-costi-nucleare_6c3ac74a-998b-11df-882f-00144f02aabe.shtml) spiega anche che i costi medi per KW prodotti da una centrale nucleare sono più alti di quelli derivanti da fonti alternative e rinnovabili come eolico e solare, magari usati in tandem.

Bene. Anzi, benissimo.

Qualcuno, per cortesia, lo spiega a Berlusconi, all’ex Ministro Scajola, a Chicco Testa e, che dolore dirlo, al dott. Umberto Veronesi?

Grazie. Siete molto gentili.

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26/07/2010

Illuminazione 4

Leggo sull’utile blog di Pippo Civati e riporto fedelmente tra virgolette.

“Scoppia il “caso Granata”. Cavoli. Che B e i suoi facciano un processo è di per sé una notizia sensazionale. “Il processo ai finiani spacca il Pdl”, leggo sui giornali. E penso che in effetti, paragonato a quello che sta succedendo tra le file della destra – tra correnti, fondazioni e Berlusconi – in questi mesi, il congresso del Pd era Disneyland, al confronto.

Quello che mi chiedo, però, in tutta sincerità e al di là dell’enfasi giornalistica, è molto semplice: ma prima, dico in tutti questi anni, Fini e la sua élite di legalitari irriducibili non si erano mai accorti di quello che pensano B e quasi tutti i principali esponenti della sua maggioranza di legalità, di mafia e di corruzione (mettiamoci anche un po’ di evasione fiscale, già che ci siamo).

Dovevano farci un’alleanza lunga vent’anni, dopo la stagione dei cappi dell’Msi, e addirittura fondare un partito insieme per capire che c’era qualcosa di strano, in quel gruppo che si andava formando tra Previti e Dell’Utri? La domanda, certo, vale anche per la Lega, ma almeno i leghisti sono coerenti: continuano a far finta di niente e a ribadire la loro stima sconfinata per il premier. Viene da pensare che, dal punto di vista della legalità, ci sia una zona franca, quella del premier e dei suoi fedeli alleati, e una zona gianfranca, che rappresenterebbe la novità: legalitari sì, ma con qualche decennio di ritardo. Un po’ troppo in ritardo e un po’ troppo vistosi per essere credibili.”

Fonte: Peeplo