La fine di un’epoca. Ma del futur non v’è certezza.
In un sistema industriale maturo, un luogo di formazione nazionale per i quadri artistici e tecnici del cinema è decisivo. In questo il fascismo, fase odiosa della nostra storia contemporanea, ma pur sempre ricca di innovazioni come tutti i regimi politici obbligati a lasciare il segno; aveva visto giusto, coltivando la propria idea macchiettistica di grandeur e puntando sul cinema come formidabile occasione di visibilità del talento italico.
Poi sono arrivati gli anni bui di Alberoni, un inerme distruttore, secondo molti allievi e “insider” del Centro sperimentale. Oggi il Ministro Ornaghi ha finalmente deciso governance e riforma del Centro. Come sempre tutto dipenderà da chi lo guiderà in futuro. Speriamo lo mettano nelle mani giuste.
“Finisce, dopo dieci anni di regno assoluto, l’era Alberoni al Centro sperimentale di cinematografia. E vengono liquidati il direttore generale, i dieci dirigenti della scuola, i quattro componenti del Consiglio d’amministrazione, i tre del Collegio dei revisori dei conti e i sei membri del Comitato scientifico. La notizia era nell’aria, ma solo oggi, con un comunicato che si riferisce al decreto legge “Disposizioni urgenti per la riduzione della spesa pubblica a servizi invariati (spending review)”, il ministero ai Beni culturali ha dato il via alla riforma.
In pratica, la Fondazione di diritto privato Centro sperimentale di cinematografia diventerà Istituto centrale del Mibac, sul modello dell’Istituto centrale del restauro, quindi strettamente legato al ministero, con l’idea «di razionalizzare, concentrare e rafforzare le risorse». Il ministro Ornaghi ha temporeggiato, com’è suo costume, ma alla fine ha dovuto prendere una decisione. Per questo bisogna leggere con cura la frase centrale del comunicato, laddove si dice: «La dotazione economica della Scuola – che non verrà diminuita – sarà focalizzata sulla didattica ancor più che nel recente passato.
In questa nuova fase saranno individuati, quali nuovi e unici organi dell’Istituto, un direttore di indiscussa professionalità e autonomia e un Comitato tecnico-scientifico di altissimo profilo, i cui componenti saranno scelti tra personalità di riconosciuta autorevolezza nel settore cinematografico e nella formazione specialistica».
Inutile dire che Francesco Alberoni, il cui mandato scade il 22 luglio, è furibondo. Pensava di poter nominare il nuovo preside del Centro, invece viene praticamente “congelato”. E con lui il direttore generale Marcello Foti. Dai prossimi giorni, in vista degli adempimenti tecnici che porteranno alla nomina del nuovo direttore-presidente, sarà il direttore generale per il cinema presso il Mibac, Nicola Borrelli, a pilotare l’istituzione. Sarebbe bello fare in fretta, ben prima della fine dell’anno; e ci si augura, soprattutto, che non si punti né su un dinosauro del cinema a riposo né su manager-banchiere della Cattolica che nulla c’entra col cinema. Che Foti fosse preoccupato riguardo al proprio destino, anche legittimamente, si sapeva. Da settimane tempestava amici cineasti di mail, sms, telefonate, temendo che al ministero dei Beni culturali volessero ripensare la governance dell’augusta e celebrata cine-istituzione situata al numero 1524 della Tuscolana, quasi di fronte a Cinecittà. Il Centro, nato nel 1935 per volere del Duce, riunisce le attività della Scuola nazionale di cinema e della Cineteca nazionale, per un costo annuale, al quale provvede il ministero tramite Fus, di circa 11 milioni e 300 mila euro. Dei quali, però, circa 9 milioni e 800 mila se ne vanno in stipendi: 7 per personale e dirigenti, 2 milioni e 800 mila per insegnanti e collaboratori di spicco.
Foti, la cui retribuzione annua è di 150 mila euro, parlava di «manovre tese a smembrare il Centro», era convinto che «dividere il Csc mettendo la Scuola dentro il ministero ai Beni culturali significa chiudere la più antica scuola di cinema del mondo e vanificare quasi 80 anni di storia e di tradizione». Per questo informò i 155 dipendenti e i 10 dirigenti che il Centro era sotto attacco», vittima di un’operazione volta a dividere, tagliare, scorporare, intaccare il prestigio dell’istituzione onusta di gloria. Non che a Foti manchino doti e piglio manageriali. C’è chi ricorda, però, che la proliferazioni dei direttori, per l’esattezza otto, il cui stipendio varia tra i 64 mila e i 114 mila euro all’anno, e dei responsabili delle tre sedi regionali (Lombardia, Piemonte, Sicilia), due dei quali sopra i 100 mila, ha fatto schizzare in alto la voce dei compensi.
Con la decisione di ieri i dipendenti non peseranno più sul Fus alla voce cinema ma sul bilancio dello Stato, mentre i dirigenti, salvo ripescaggi anche augurabili, dovranno trovarsi un altro lavoro. Sul modello di quanto realizzato accorpando Cinecittà e Istituto Luce con trasferimento di 54 dei 130 dipendenti al ministero dei Beni culturali, si riduce in sostanza la struttura pletorica del Centro sperimentale di cinematografia, naturalmente senza licenziare nessuno, ma facendo in modo di destinare più fondi alla didattica e alle attività della Cineteca, che ora lavorerà in sinergia con l’archivio di Cinecittà Luce.
Fisicamente resterà tutto nella sede storica, ma agendo, appunto, solo sull’apparato burocratico. E cioè: un presidente, Francesco Alberoni, nominato dal ministro Urbani nel 2002, tra aspre polemiche, al posto di Lino Micciché; un direttore generale, appunto Foti; un cda composto da Pupi Avati, Giancarlo Giannini, Giorgio Tino e Dario Edoardo Viganò; un Collegio dei revisori dei conti con tre membri; un Comitato scientifico con sei esperti, tra cui Renzo Martinelli, regista molto caro alla Lega; otto direttori, di cui uno è Foti, con delega alla Cineteca; tre responsabili di sedi. In effetti troppe persone al timone. Essendo una Scuola d’eccellenza, si può capire il contenuto numero di studenti su scala triennale, circa 250 per le quattro sedi, ma ha senso un rapporto tra allievi e dipendenti così squilibrato?
Andrea Purgatori l’anno scorso ha pilotato un corso di sceneggiatura, durato tre mesi, per il quale ha percepito 3 mila euro lordi. In media il compenso annuo degli insegnanti, tra i quali Daniele Luchetti, Piero Tosi, Roberto Perpignani, Giuseppe Rotunno, si aggira sui 34 mila euro. «Non c’era neanche il toner per le fotocopie, ho dovuto farle fare fuori» rivelò qualche mese fa al “Riformista”. E aggiunse: «Il Centro ha una grande storia alle spalle che tutti riconosciamo, ma credo che nulla sia intoccabile. Se ci sono sprechi da sanare, posizioni personali da ridimensionare, strutture da asciugare, allora si intervenga. Se possibile coinvolgendo anche chi fa cinema in Italia, perché la riforma del Csc, che si smembri o meno, non sia una roba calata dall’alto, senza alcuna discussione».
In effetti il comunicato di ieri sottolinea che «il direttore e il Comitato verranno nominati acquisendo anche il parere delle associazioni di settore». Altra notizia: viene finalmente messa in liquidazione la società Arcus Spa, che fu tanta cara a Urbani e ai suoi successori di centrodestra.”
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