Elio Germano e il cinema italiano
Riporto di seguito l’intervista apparsa quest’oggi su repubblica.it a Elio Germano.
ROMA – Per chi si fosse affidato solo al Tg1 ecco che cosa ha detto Elio Germano quando lo hanno premiato a Cannes: “Siccome i nostri governanti in Italia rimproverano sempre al cinema di parlare male della nostra nazione, io volevo dedicare questo premio all’Italia e agli italiani, che fanno di tutto per rendere l’Italia un paese migliore nonostante la loro classe dirigente”.
Elio Germano: incidente o censura?
“La cosa grave, che racconta il clima di questo periodo, è che venga spontaneo sospettare che non sia stato un incidente, come probabilmente è stato. A dirla lunga è che dubitiamo della libertà dei giornalisti e dell’informazione”.
Temere tanto un film e un attore sarebbe proprio grave.
“Infatti. Il dispiacere è che il mio venga interpretato in modo distorto come un attacco ai politici. Io ce l’ho con qualsiasi potere distante dai cittadini, dal Parlamento ai sindacati (purtroppo). Una distanza che dobbiamo colmare, maturando una coscienza di società civile che ci manca. La vera notizia è che l’Italia ha portato a casa un riconoscimento importante. Perché si dà tanto peso alle parole di un povero attore, invece di gioire per un successo italiano?”.
Perché La nostra vita, e in particolare il suo personaggio, comunicano una sensazione speciale, di novità e di verità?
“Non posso fare a meno di sottolineare l’aspetto tecnico. Invece che ricostruire un mondo dentro l’inquadratura, il regista Daniele Luchetti ha fatto l’opposto. Ha creato un mondo che vive e dove le cose accadono, la macchina da presa deve inseguirlo e spiarlo. Come se fosse un documentario. È molto faticoso ed è possibile solo con la forte partecipazione e condivisione da parte di tutti. Ecco perché “passa” allo spettatore una così forte vitalità”.
Il film rappresenta un ambiente sociale senza tesi precostituite: autentico, nel bene e nel male.
“Questo è stato lo sforzo. Senza prendere posizione, facendo parlare da soli ambiente e personaggi. Senza forzature, senza la pretesa di far aderire le situazioni ai pregiudizi che ciascuno porta con sé, o alla rigidità ad ogni costo della sceneggiatura. Niente, a partire dall’edilizia con i suoi cinismi e le sue illegalità, è inventato”.
Disorienta una rappresentazione della classe operaia così spoglia di luoghi comuni di sinistra?
“Forse. È un film che sta vicino al mondo che racconta e non gli sta sopra, non lo osserva dall’alto. Si offre allo spettatore valorizzando la grande possibilità che ha il cinema: l’emotività, l’essere qualcosa che ci riguarda. E non un giudizio”.
L’apice è nella scena in cui il suo Claudio, al funerale della moglie, canta a squarciagola, singhiozzando disperatamente, Anima fragile di Vasco Rossi.
“Quella scena è indicativa del “recitare il meno possibile”. Non era previsto che io cantassi. È successo, si è creato un clima. La vita, l’espressione emotiva – non parole, non concetti – è entrata nel set. Qualcosa di raro che può succedere solo se tutti sentono davvero quello che si sta facendo insieme. Già l’esperienza vissuta sul set mi sarebbe bastata come premio”.
Ancora non si è capito se lei è un attore molto tecnico o al contrario molto “naturale”.
“Non è così importante stabilirlo. Il mestiere deve esserci ma diventa interessante quando si sposa con la vita e le emozioni personali. Almeno per me. E non vale solo per gli attori”.
Tutti i suoi personaggi sono unificati dalla rabbia. Sono aspri, incazzati e carichi di sofferenza.
“Forse la linea che li collega è la schizofrenia dell’uomo moderno tra l’essere e l’essere pubblico, la differenza tra come si è fuori e come si è a casa”.
Elio Germano da dove viene?
“Sono il primo nato a Roma, a settembre compio 30 anni. La famiglia è arrivata dal Molise dopo la guerra con mio nonno. Uno zio missionario del Bangladesh. Sono cresciuto a Monteverde, liceo scientifico, ma già a 14 anni ho iniziato a frequentare una scuola di teatro. Poi l’hobby è diventato passione. E anche la sola cosa che ho imparato a fare. A parte suonare con il mio gruppo Le bestie rare”.
Gli attori italiani che hanno ricevuto lo stesso premio si chiamano Tognazzi, Mastroianni, Volonté, Gassman ma tutti quando erano già più che maturi. Lei non ha ancora trent’anni.
“È cambiata l’attenzione dei festival nel cercare e scoprire le novità. Quindi è merito mio fino a un certo punto. Ma soprattutto credo che il premio sia al film più che a me. E voglio anche sentirlo come incoraggiamento al cinema italiano. Un altro passo dopo Il divo e Gomorra. Da accogliere con orgoglio. Basta, anche tra noi che il cinema lo facciamo, di sentirci fratelli minori. Un’iniezione di fiducia: la cosa più importante al di là delle polemiche, al di là della mia personale carriera. Che non esisterebbe se intorno ci fosse il vuoto”. (25 maggio 2010)