L’aria che tira.
Il concerto di Antony è andato “oltre Frontiere”, traghettandoci in un mondo lontano dagli affanni e ricolmo di emozioni. Fortuna che esistono queste soddisfazioni nella vita, perché a volte ti chiedi perché son qua? A quale superiore forza devo fare appello per superare anche questa prova?
Ma poi nel nostro mestiere a volte succede che riesci a trovare il bandolo e dipanare la tua tela per spiegarla al vento e issarla come una bandiera. Forte dei tuoi valori. Ben piazzato sulle gambe della tua morale.
Alla ricerca di un motivo per riportare il centro della mia vita sulle cose che contano veramente, ho scoperto di non dover andare troppo lontano e l’occasione giusta me la regala un nostro consigliere di amministrazione, che scrive in modo sublime e dice cose sempre intelligenti. Che io condivido. E allora grazie Enrico.
“Un collega con il quale, malgrado la rispettiva veneranda età, mi capita di avere bisticci, in quel modo un po’ puerile e un po’ astioso che caratterizza tanta parte della vita cittadina, mi diceva l’altro giorno di sentirsi dispiaciuto del mio odio. È chiaro che ciascuno di noi è responsabile non solo di ciò che fa, ma anche delle inferenze non irragionevoli che possono essere tratte da ciò che fa; quindi non posso che rammaricarmi e rimproverare me stesso se un eccesso di irruenza o di animosità hanno potuto lasciare questa impressione. Ma in realtà l’odio è un sentimento che mi è estraneo; più precisamente è un sentimento che mi sono proibito, perché lo considero un vizio peggiore di quello del fumo, una dipendenza più nefasta di quella dall’eroina o dal gioco. L’odio è l’oscura cella in cui andiamo a rinchiuderci quando diventiamo schiavi (non è un caso che la parola “cattivo” venga dal termine latino “captivus”, che vuol dire prigioniero). Ora, è molto difficile, a chiunque non ne sia immune per indole, non cedere ogni tanto alla rancorosa recriminazione, sia dettata da invidia o ingiustizia; e capita che un torto vero o presunto generi una furia difficile a trattenersi. Ma si tratta di cadute momentanee, di emergenze provvisorie ed insignificanti come il prurito: per fastidiose che siano, non assurgono al cupo spessore dell’odio, a questo disperato e drammatico vizio dell’anima. È un vizio a cui si può rinunciare, normalmente con fatica e disagio ancora minori di quanti ne occorrano per liberarsi delle sigarette o della cocaina: si tratta di agganciarsi alle molte opportunità che ti offre in questo senso la vita. L’antidoto migliore all’odio è naturalmente la felicità, ed io sono stato in questo senso un privilegiato, perché ho fatto il lavoro più bello del mondo, unito il mio destino ad una persona meravigliosa e via discorrendo. Ma la felicità, come insegna Montale, è teso ghiaccio che si incrina; le avversità sono sempre in agguato per turbarla o frangerla, e noi stessi ne siamo spesso infedeli custodi. Ma per quel che può valere la mia personale esperienza, c’è qualcosa che libera dall’odio, solo che lo si voglia, in modo definitivo: per me è stata la nascita di mio figlio. Felicità pura, indicibile, ma anche di qualità diversa ed inusuale, starei per dire inquietante. Perché in ogni nascita c’è un senso di trapasso: è il testimone della vita che passa da una mano ad un’altra. In questa cessione irreversibile, per cui la tua vita resta tua, ma in qualche modo non ti appartiene più del tutto, tuo figlio diventa la sintesi di tutto ciò che hai trasmesso, delle impronte e dei codici che, in modo volontario o casuale, hanno accompagnato il tuo cammino. Capisci allora che sei stato tramandato, e che questo ti ha reso, qualunque cosa accada, incancellabile. Sei stato affrancato dall’incubo di una vita priva di senso e di seguito, e non importa se durerà ancora molti anni o pochi giorni. Hai l’impareggiabile opportunità di non essere più un irripetibile e lievemente insulso atomo elettrizzato, cui le cariche magnetiche conferiscano la casuale vitalità di una pallina da flipper; riesci a vederti, finalmente, come punto di una rete, stazione di arrivo e di partenza di infinite diramazioni e scambi, memorie, progetti. Riesci a comprendere, allora, che sei un’onda in vasto lago, nel quale le acque dei fiumi del male e del bene, della fortuna e della sventura, sono compresenti e indistinguibili. Chi ha visto questo spettacolo non è salvo dal dolore, e nemmeno dalla disperazione; ma è guarito per sempre, purché lo voglia, dall’odio, è scampato per sempre alla sua oppressione. Se sei stato attraversato dalla libertà, non consentirai a niente e nessuno di imprigionarti nuovamente. Per questo, comunque vadano le cose, morirò da uomo libero. E ne sarò grato per l’eternità.”
Fonte: Facebook