Analisi sull’esistente
Raccolgo in creative commons questa lunga riflessione di Luca Scandale e ve la inoltro. Va letta.
“Ieri per la prima volta ho visto il Grande Fratello. Ho twettato e seguito su facebook le evoluzioni. Immerso nel nulla cosmico dei social media, ho tradito il talk show a cui sono fedele “L’Infedele”. Una trasmissione anni ‘70. Non guardo più Ballarò, tantomeno Santoro. E confesso neanche Fiorello, né X-factor. Sky, il calcio, il cinema (anche in streaming), non mi fanno sentire la mancanza della politica-pop. Né della tv generalista. Che guardo, come il 90% degli italiani, formando le mie opinioni. Perchè mentre inseguiamo la “coda lunga”, il contagio culturale di massa è ancora in tv.
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E il GF è stato “la tv” del 2000. Il tele-voto, il pathos dell’eliminazione, l’affermazione dell’estetica del nulla. In Italia è stato la rappresentazione plastica dell’ “egemonia sotto-culturale” che ha sbattuto Gramsci in soffitta. I reality sono un fenomeno global, ma in Italia la tv pubblica ha inseguito il privato. Avendo –unici al mondo- 7/8 talk-show insieme. Che con “Amici” e “Uomini e Donne” sono la base culturale di una generazione.
L’offerta ha generato domanda nel mercato e nei processi culturali. E il consumo ha provocato addiction (dipendenza). Affetti dal learning by doing, si è appreso consumando e la dipendenza è aumentata. Il consumo di prodotti semifori come il GF ha generato contagio di opinioni. La matrice delle interazioni sociali si è permeata nella visione individuale. E si è trasformata in coscienza collettiva. Il Grande Fratello così ha veicolato un “modello”. In un processo di auto-legittimazione culturale.
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Ora però, ascolti alla mano, il GF è in crisi.
Ma è in crisi il “modello”? Si va affermando un modello alternativo di successo nella giovane Italia dei “neet” (not in education, employment or training)? O è in crisi il “mezzo” (la tv)? E quindi il “messaggio”? Ammesso che sia così, non per questo è in crisi il “modello” che sta dietro al messaggio. Oppure banalmente il Grande Fratello è diventato lento? Non genera pathos. Il televoto è stato superato dalla logica “mi piace”. E il GF non mi piace. Perché è cool dirlo. Che non mi piace. Sui social media. Quindi parafrasando una vecchia canzone: facebook killed the tv stars?
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No, non è certo la rete che potrà generare dal basso una rivoluzione culturale pari a quella dei reality. Non in Italia perlomeno. Se pensassimo questo dovremmo credere che i prosumer (i consumatori che si fanno produttori) siano meglio dei broadcaster. Ed è qui la trappola della presunta “saggezza della folla”. Se la folla è stata mandata al macello culturale per dieci anni, cosa vi aspettate che produca? Un #occupysticazzi che si squaglia con l’arrivo del primo freddo. O un Teatro Valle con Guzzanti e Germano. I neuroni ora sono a specchio sul web: riflettono quel “modello” anche tra gli indignati contro il GF.
Infatti, come recenti ricerche dimostrano, la rete tende ad appiattire, conformare, semplificare. Quando invece oggi occorre complessità. In rete la saggezza della folla non vale perché ci si omologa. E il contagio delle opinioni è basato sugli “amici”. Se non la pensi come me, alla fine ti cancello. E se voglio dire “non mi piace” non posso dirlo con un tasto. Se “mi piace” invece si.
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Le rivoluzioni culturali, perché di questo ci sarebbe bisogno, invece, la fanno le idee, non i tweet. Le rivoluzioni sono coscienze collettive in movimento, mosse dalle idee. Nelle reti sociali si vive di “esperienze”. Che hanno una forza debole rispetto dalle “idee”. Quelli che guardano il GF sono una comunità. Hanno legami forti, dei valori condivisi. Invece dall’altra parte, in rete, vincono i pensieri e i legami deboli. C’è molta più appartenenza nella community del GF, c’è vera empatia col successo di chi entra nella casa. Che non nella massa informe in rete che contemporaneamente guarda la tv (appunto) o è intenta a fare self-marketing postando qua e là foto, video e altre amenità.
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Per questo gli indigados de noiartri invece che inseguire il “modello” GF, dovrebbero provare a creare una “coscienza collettiva”, puntare al trasferimento di conoscenza e di valori, alla costruzione di pensieri forti e di coscienza di “classe”. Anche perché se è vero che una generazione non è una classe per definizione. E’ altrettanto vero che in questa fase storica in parte lo è, e certamente non è solo un target da aggredire nel mercato della politica, parlando un linguaggio che sia comprensibile. Cioè semplice, rapido, banale, al più divertente, purchè frutti nell’immediato un risultato. Perchè altrimenti anche quelli che si oppongono culturalmente al GF rischiano di diventarne lo specchio, in una nemesi tra politica-pop, tv, cinema e star system, che scimmiotta l’originale senza averne la forza evocativa e il pensiero forte.
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Ed è questo il limite della forma liquida della politica e dei partiti che oggi non a caso godono della fiducia di 4 italiani su 100. E ci scommetterei di 0 su 100 nei giovani che guardano il GF o che si indignano. Perché sussumendo i valori “estetici” dominanti, li hanno fatti propri nel leaderismo o nel parlare facile, nello “smacchiare i giaguari” o nel “che c’azzecca”. Se fa così, la politica si butta all’inseguimento di una generazione senza coglierne la portata culturale. Dentro le prime crepe del Movimento 5 Stelle, sul danaro e sulla rappresentanza (sic!), c’è uno spazio nuovo per chi vuol parlare a questa generazione. La retorica anti-casta infatti è destinata a sfiorire con la vittoria stessa di questi movimenti. Per questo nutro ancora una speranza: basta riprendere con forza le trame di un pensiero forte. Purchè non sia come filare e non tessere. Inseguire cioè una generazione banalizzando i messaggi, sarebbe come avere e non essere.
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Occorre invece tessere una trama intra-generazionale e inter-generazionale, per evitare che in Italia anche fra vent’anni vinca la “peggiocrazia”. Tra gli eredi del GF e i satiri delle tv, saranno classe dirigente solo quelli che avevano un posto garantito dai genitori. E gli altri che non studiano né cercano lavoro, resteranno per sempre a guardare il dito e non la luna. Saranno il loro pubblico pagante, pronti a votare per un leader forte, fortissimo, purchè telegenico e social-mediatico. Se in questa aporia, nessuno sarà in grado di produrre un nuovo “modello” di successo. Allora i “peggiocrati” avranno ancora la meglio. Sono già qui, dietro l’angolo pronti a governare tra qualche anno. Quelli che si sono salvati al momento, sono i 2 milioni di Italiani di under 35 che se sono andati dall’Italia, dal 2000 ad oggi. Loro il Grande Fratello se lo sono scansato. E hanno lasciato a noi, il gusto amaro della lotta in salita contro i mulini a vento.”
Fonte:Go Bari