La Grecia, la Germania, l’Europa
Vorrei dire molte cose sulla vicenda greca che, in queste ore, ci rende così apprensivi sulle sorti dell’Europa e del nostro futuro, (im)possibile benessere. Penso che uno dei miei cari maestri lo faccia meglio di come potrei mai fare io. Da leggere e meditare. “Come era nella logica delle cose, la Grecia è sempre più vicina al default e, di conseguenza all’uscita dall’Euro. La Grecia ha un debito di oltre 320 miliardi di Euro ed interessi che si mangiano intorno ai 30 miliardi l’anno, vale a dire circa il 10% del Pil. Messa in termini di debito pro capite significa circa 3.000 euro per ciascun cittadino, compresi lattanti, carcerati e moribondi e senza per questo intaccare il capitale da restituire. Questo in un paese in cui il reddito pro capite è di 23.000 Euro all’anno. Dunque, gli interessi si mangiano circa 1/7 del reddito pro capite, andandosi ad aggiungere al prelievo fiscale ordinario. In queste condizioni, quale persona sana di mente può pensare che il debito sarà mai restituito e, più semplicemente, che la Grecia possa sopportare a lungo anche solo il pagamento di questi interessi, considerando che la politica di rigore ha stremato il paese facendo calare il Pil di quasi il 15%? Anche l’ haircut concordato con i creditori non ha risolto il problema, perché il debito resta non restituibile ed il prelievo degli interessi pregiudica qualsiasi possibile ripresa. Il popolo greco è ormai sotto la soglia di povertà e la “troika” Bce, Ue Fmi può anche pensare di spremere sangue da una rapa, ma sinora nessuno è riuscito nell’impresa. Proseguire sulla strada indicata dalla troika è solo una inutile agonia che lascia i greci più poveri e disperati di prima. Dunque, la via del default non è una scelta, ma una strada obbligata. Ma, qualcuno obbietta, così la Grecia resterà di nuovo esclusa dai mercati finanziari internazionali, perché nessuno investirà più 1 solo euro nei titoli di un debitore che ha dichiarato fallimento. Si, però anche la scelta dell’haircut dà lo stesso risultato: quale risparmiatore investe nei titoli di un debitore che, comunque, ha rinnegato una parte del proprio debito e non rispetta le scadenze fissate? Da questo punto di vista, tanto un disconoscimento integrale del debito, tanto uno parziale hanno lo stessissimo risultato di emarginare il debitore dai mercati finanziari; tanto vale rinnegare per intero il debito. Ma in questo caso, la Grecia dovrebbe rinunciare ai fondi strutturali dati dalla Ue. Giustissimo, ma tanto non coprono nemmeno in parte degli interessi che annualmente la Grecia è costretta a dare nonostante l’haircut. Ma, si obietta ancora, non potendo approvvigionarsi sul mercato finanziario, la Grecia avrebbe solo le entrate fiscali per pagare stipendi pubblici e pensioni. Verissimo e, infatti, a questo punto la Grecia già è arrivata e va saltabeccando da una scadenza all’altra (ieri quella di 450 milioni di Euro che, per ora, sembra superata) in attesa di andare a sbattere, prima o poi, contro lo scoglio decisivo. Diciamoci la verità: l’ haircut e la pressione politica sulla Grecia perché non dichiari default è solo un espediente della Ue per guadagnare tempo: impedire per ora la crisi dell’Euro sperando che nel frattempo la tempesta passi e poi che la Grecia vada all’inferno non ce ne potrebbe importare di meno. Aim paesi dell’eurozona fa comodo guadagnare tempo ma questo deve essere pagato dai greci ridotti alla miseria. Come la si rigiri, alla Grecia resta un’unica soluzione per pagare le spese statali: uscire dall’Euro, tornare alla Dracma che è una moneta nazionale ed, in quanto tale è manovrabile. Ovviamente questo significa una moneta svalutata (probabilmente oltre il 30% di quel rapporto 1 a 340 che c’era al momento dell’infausto ingresso della Grecia nella moneta comune) e questo significa costi proibitivi per gli acquisti sul mercato internazionale (a cominciare dal petrolio). Però consentirebbe di riprendere all’interno e, dopo poco, darebbe un forte vantaggio competitivo alle merci greche ed al turismo. Il cambio favorevole renderebbe conveniente investire in Grecia che diventerebbe una sorta di “Cina a due passi da casa”. Per i greci non ci sarebbe da scialare, ma, alla fine sarebbe un modo per iniziare a venirne fuori. E’ probabile che la Ue (soprattutto dietro sollecitazione italiana e spagnola) penserebbe a dazi protezionistici, questo, però, aprirebbe problemi di diritto internazionale di non poco conto: a parte le regole del Wto, come farebbe la Ue ad applicare norme protezionistiche contro un suo membro? Prima occorrerebbe espellere la Grecia dalla Ue, ma nessun trattato prevede l’espulsione di un paese membro. E resterebbero sempre i vincoli Wto. Qualche pateracchio lo troveranno, ma non sarà semplicissimo uscirne. Ma cosa succederà agli altri in caso di uscita della Grecia dall’Euro? Si sprecano gli scenari catastrofici che prevedono una impennata degli spread a spese dei paesi europei più deboli (Portogallo, Spagna, Italia, Irlanda) ma che, in misura minore, colpirebbero anche la Francia. C’è chi stima in 11.000 euro annui il costo pro capite per tutti gli europei. Di sfuggita notiamo che se i costi fossero davvero così elevati (11.000 euro pro capite), considerando che la popolazione dell’Eurozona senza la Grecia assomma a 318 milioni di abitanti, significa che il costo complessivo corrisponderebbe a circa 3.500 miliardi di euro ) più di 10 volte dell’ammontare dell’intero debito greco: se così fosse, non sarebbe più conveniente comperare l’intero debito greco e metterlo in cassa “a babbo morto” con interessi puramente simbolici? Anche perché, in caso di default il capitale sarebbe comunque perso e ci si risparmierebbero gli effetti “collaterali”. In realtà nessuno sa cosa in concreto potrebbe accadere e non è realistico fare stime quantitative attendibili ma, se è realistico pensare che la cosa non sarebbe indolore. In primo luogo, questo appesantirebbe immediatamente la posizione dei paesi più esposti come il Portogallo, avviando un possibile “effetto domino”. In secondo luogo non è grande profezia sostenere che ci sarebbe immediatamente una manovra speculativa contro l’Euro -a cominciare da un’ esplosione di cd-swap su titoli portoghesi, spagnoli ed italiani- che ne indebolirebbe ulteriormente la posizione sui mercati mondiali. Non c’è dubbio che l’uscita di un solo membro dall’eurozona sarebbe la rottura di un tabù che farebbe calare l’apprezzamento della moneta –e dei titoli di stato ad essa collegati- ben al di là del peso del singolo paese defezionista. Ma, se il costo dell’uscita greca andasse al di là di una certa soglia, questo determinerebbe un effetto perverso per il quale ogni ulteriore fuoriuscita comporterebbe danni di immagine ed equilibrio crescenti, con l’ulteriore effetto di rafforzare il potere contrattuale dei paesi più esposti: una sorta di “ricatto del debitore” al quadrato che renderebbe ingovernabile l’Unione. Non siamo mai stati sostenitori dell’Euro e riteniamo tutt’ora del tutto irrazionale separare la moneta dallo Stato. Per di più non crediamo neppure nella favola della prossima unificazione politica d’Europa; per cui pensiamo ragionevole l’idea di tornare ad una unità di conto comune, ma articolata in monete nazionali a cambio reciproco variabile, ma c’è modo e modo di farlo: si può uscire da un palazzo pericolante cercando di guadagnare le scale e lo si può fare gettandosi dal sesto piano. Di solito il primo modo è più comodo. Le stesse considerazioni si possono fare a proposito del caso greco che rischia realmente di essere l’avvio dell’intero processo. Che Atene debba rinnegare il debito ed uscire dall’Euro è nell’ordine naturale delle cose, ma c’è modo e modo di farlo. In primo luogo: che senso avrebbe tagliare i fondi Ue alla Grecia se non quello di una misura punitiva? Splendido esempio di teutonica stupidità, assolutamente inutile sul piano economico. E che senso avrebbero dazi protezionistici? Sarebbe molto più sensato sostenere la nuova moneta greca (e proprio gli aiuti in Euro, ad un paese che passa ad una moneta come la dracma, potrebbero avere un notevole effetto riequilibratore) e trattare sui prezzi delle esportazioni (ad esempio attraverso di dazi in uscita che, oltre che calmierare l’effetto concorrenziale verso i paesi vicini, avrebbero l’effetto di sostenere il gettito fiscale dello stato greco). Insomma, anche in questa occasione possiamo cercare di scendere dalle scale, ma i tedeschi sono sempre irresistibilmente attratti dalla finestra del sesto piano… Lo hanno fatto già due volte in un secolo, ma non imparano mai. Peccato che questa volta si portano dietro anche noi.”
Fonte: Aldo Giannullli