Aprire le porte, fare entrare aria fresca
Spesso mi trovo a pensare che Italia sarebbe, la nostra, con poche decisive riforme di sistema. Riforme del paradigma culturale innanzitutto. Vent’anni di berlusconismo e di leghismo ci hanno ridotto in brandelli il cervello, rendendoci incapaci di progettare il futuro e di sognarlo diverso dall’oggi. Per questo la crisi economica che attraversiamo è, se possibile, ancora più grave di quanto non appaia. Perché nel ciclo neoliberista e conservatore che forse finirà nel 2013 (?!!), siamo cresciuti credendo vere le storielle che ci hanno raccontato media supini e politici ignorantissimi. Tra queste leggende ve n’è una davvero devastante: quella secondo la quale gli immigrati ci rubano il lavoro e ci rendono meno sicuri. E’ un “fake” clamorosamente gettato nei cervelli italici per aumentare il tasso di paura, che genera reazioni scomposte e produce desiderio di sicurezza, facendo aumentare nei sondaggi i partiti d’ordine. Ma è un errore duplice. Perché a spesa pubblica immutata, appare evidente come il PIL italiano non riuscirà a crescere senza una politica industriale che investa in maggiore efficienza energetica, in maggiore innovazione di prodotto e di processo, in manifatture di qualità e in servizi avanzati basati sul web a banda larga. E per fare tutto questo occorre che il numero dei lavoratori attivi sia superiore a quello dei pensionati, altrimenti il saldo pensioni/salari sarà negativo per i secondi. A questo problema una donna intelligente, ma profondamente conservatrice in politica come Elsa Fornero, ha già fornito la sua risposta tranchant: aumentare sino a 73 anni l’età pensionabile. Sicché io, nato nel 1975, smetterò di lavorare all’età in cui mio padre sarà in pensione da quindici anni, sia pure con 40 anni di contributi. Evidentemente è la risposta sbagliata perché non tiene conto della qualità della vita e perché non vuole aggredire il tema più importante: l’Italia ha bisogno di aria fresca, di nuove energie intellettuali e manuali, di nuove culture che arrivino da paesi emergenti nei quali non esiste la decrescita demografica come da noi, dove cresciamo a tassi zero. Per fare questo occorre renderci simili agli Stati Uniti, un grande e contraddittorio Paese, certo, ma pur sempre il luogo dove un cecoslovacco di nome Robert Kyncl, un russo di nome Sergey Brin, un cinese come Steve Chen, un iraniano come Salar Kamangar possono incontrarsi all’università in anni e classi diverse e, nel chiuso dei garage dei propri genitori, o magari dopo essersi licenziati da PayPal, inventare aziende rivoluzionarie come Google o You Tube. Aprire le porte, fare entrare aria fresca è una necessità impellente e non rinviabile per l’Italia. Ma io credo anche non si possa fare le cose a metà, come nostro solito. I figli nati in Italia da migranti, indipendentemente dalla etnia dei propri genitori, devono assumere la nazionalità italiana in automatico. E ai migranti che risiedono in Italia da più di cinque anni, se dimostrano di aver lavorato almeno per un anno, concederei la cittadinanza e la residenza senza indugio. Non possiamo aprire le porte a metà. In Italia nessuno si senta straniero. E allora vedi come cambia il Paese.