Diario
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Torno a casa, torno alla film commission.
Dieci giorni di ferie posson bastare, se hai cinque film in preparazione e una serie tv lunga, impegnativa e decisiva. Due cineporti da completare. E se insieme devi far partire progetti per milioni di euro sul Por pugliese, oltre a portare tre progetti a Venezia (Honeymoons di Goran Paskaljevic, Il Grande sogno di Placido, Uerra di Paolo Sassanelli). Ma di questi progetti parlerò a breve, spero e a lungo…

Pensieri di questi giorni di ferie? Moltissimi, in verità.
Due ne segnalo.

La Puglia piace. Piace la ospitalità della sua gente, piace il suo clima culturale, piace il ‘mood’. Ed è la prima volta che ne ho una percezione chiara, avendo incontrato, nell’epicentro della Valle d’Itria dove ho passato le mie vacanze, tanti turismi possibili con la medesima predisposizione alla scoperta di una terra ancora vergine. Qui dentro è la chiave del successo, non dobbiamo mai dimenticarlo.

Due. Il cinema, inteso come esercizio, è in crisi verticale. Noi dobbiamo fermarla, con progetti innovativi, buona volontà e finanziamenti mirati. Questa è l’altra sfida. Per farlo occorre molta intelligenza e, soprattutto, una visione alta, forte, nuova: occorre, cioè, una strategia che in Italia manca del tutto.

Segnalo, come contributo all’analisi, due articoli usciti in questi giorni. Ne riparlerò.

Buona ripresa a tutti.

“Se l´isola reale vive il suo agosto peggiore, la Capri televisiva della fiction non se la passa meglio. Il set volta le spalle alla Campania. È guerra con la Regione. E il marchio sulla serie rischia di evocare un fantasma. Nello slang napoletano, un “pezzotto”.

Una guerra via via più aspra tra la Regione e la produzione di Angelo Rizzoli. Poi i decreti ingiuntivi per un contributo di 650 mila euro che da Palazzo Santa Lucia non è mai arrivato nelle casse del commendatore Angelo Rizzoli, ormai “stanco di queste prese in giro, perché sono convinto che quei soldi non c´erano più a disposizione per noi”.

Mentre, dalla Regione, si continua ad obiettare che “è stata invece la produzione a non esibire mai la corretta rendicontazione delle spese, ma le regole valgono per tutti”. Infine, l´austerity che ha spinto a tagliare su trasferte e voli verso la Campania. E insomma per questi ed altri motivi “Capri 3″ dice ciao non solo a Capri, ma alla costiera e al mare che corre al di sotto di Ostia.

Per quanto a malincuore, produzione e Raifiction non hanno fatto nulla per nasconderlo. La terza serie di successo in lavorazione in questi giorni a Cinecittà – con un cast quasi completamente rinnovato dopo il forfait della coppia Gabriella Pession-Sergio Assisi; Isa Danieli che scompare dopo la prima puntata, la stella emergente di Bianca Guaccero che ne diventa protagonista, come new entry lo stile di Lucia Bosé e la verve di Lando Buzzanca -, il prodotto che due anni fa superò l´originario obiettivo del 26 per cento di share, farà a meno del territorio di cui porta il nome. E non solo.

I set e le trasferte di attori, maestranze, scenografi, costumisti e comparse, hanno voltato le spalle non solo ai Faraglioni e a Marina Piccola, ma anche ad altri scenari suggestivi delle coste campane che pure, nell´immaginario del pubblico, avevano contribuito alla qualità artigianale del prodotto. La famosa “Villa Isabella” della fiction nella realtà era il palazzo nobiliare di Villa Guariglia a Raito, paesino della costiera amalfitana sul promontorio di Vietri sul Mare. Si girava a Punta Carena come a Tramonti. Luoghi ed atmosfere che, oggi, saranno “ricreati” altrove.

Confessa la regista Francesca Marra, che è tornata al ponte di comando dopo aver diretto la macchina da presa nella seconda unità della prima serie: “I nostri scenografi hanno fatto miracoli, hanno realizzato il palazzo di Raito davvero come nell´originale, tutto nei teatri di posa. Come pavimenti, abbiamo dovuto usare le originali e celebri maioliche di Vietri. Quando siamo entrati lì dentro, è stato quasi commovente…”.

Certo, aggiunge la Marra, “toccherà a noi fare qualche salto mortale, e poi si sa il cinema è così. Facciamo un campo a Piazza del Popolo e il controcampo è a Berlino. Il brutto, piuttosto, è che nessuno ti potrà mai dare la luce interiore e l´atmosfera che offre vivere e respirare quel luogo. È vero anche che alcuni esterni, per motivi di budget, dovremo girarli non in costiera ma a Sperlonga, a Gaeta, a Santa Marinella. Sì, per evitare le trasferte fuori del Lazio. Si tratta naturalmente di decisioni che passano sulla nostra testa, che vanno rispettate. E comunque torneremo giù per alcune riprese, di certo. Noi ce la mettiamo tutta perché il prodotto piaccia e trasmetta la passione che ci infondiamo”.

Marra ricorda: “Fin quando ho lavorato io su “Capri”, ricordo la magnifica disponibilità che la Regione Campania e la vostra Film Commission hanno mostrato a tutti i professionisti e i lavoratori coinvolti in questo progetto. Questo posso testimoniarlo perché abbiamo sempre avuto una mano sul territorio, e abbiamo lavorato con grande entusiasmo”.

La polemica non investe, ovviamente, la questione di fedeltà ai luoghi, anche perché il dna di tanti capolavori del cinema è fatto di abili, scontate, persino vistose truffe geografiche. Il tema, piuttosto, è un altro: calano introiti, finisce un complesso indotto. E un altro piccolo pezzo di industria televisiva emigra verso nord, lì dove qualcuno vorrebbe si parlasse sempre meno il romano di Cinecittà (figurarsi il napoletano di Capri e Raito).”

E poi sulla crisi delle sale, da La Stampa di Torino…

EMANUELA MINUCCI
torino

Ciak si chiude. No, non è la solita frase ad effetto, pronunciata magari per far accorrere nelle sale qualche spettatore in più, ansioso di non perdersi l’ultimo spettacolo sul maxischermo. “Qui se non troviamo nuovi fondi a sostegno dei cinema, si va verso la progressiva chiusura: il calo dei biglietti staccati, più le spese indispensabili per passare al digitale (costo: 100 mila euro a impianto, ndr), suonano come campane a morto per le nostre insegne luminose”.

Chi parla è Gaetano Renda, presidente di Arthouse, la neonata associazione di gestori di cinema che a Torino e provincia conta circa 22 sale. Renda approfitta della pausa estiva per fare un appello agli enti locali alla luce del fatto che a metà luglio, per fare solo un esempio nazionale, ha chiuso il cinema President di Milano, il più importante cinema d’Essai della città meneghina da oltre trent’anni: “Giunti a questo punto è necessario un intervento pubblico di Regione, Provincia e Comune, per salvaguardare il patrimonio economico e sociale rappresentato dalle sale cinematografiche”. Incalza: “Abbiamo pronto un progetto che ha come modello Filmcommission, da sottoporre alle istituzioni competenti: si tratta di un nuovo soggetto a difesa e rilancio dell’esercizio tradizionale. Si potrebbe chiamare “Cinema Commission” e dovrebbe essere finanziato dalle istituzioni pubbliche come già accade in Lazio, la cui Regione stanzia 50 milioni di euro per il settore audiovisivo, ritenuto strategico per l’economia tutta: una parte di questi fondi sono destinati al rinnovamento tecnologico delle sale, l’altra a un più generico sostegno dell’attività”.

Secondo Renda, ma anche secondo Luigi Boggio, vicepresidente dell’Agis (l’organizzazione storica di categoria che conta oltre 100 cinema sul territorio di Torino e provincia) anche in Piemonte bisogna andare nella stessa direzione. L’Agis, inoltre, come spiega il presidente Evelina Christillin, ha già avviato contatti con la Regione per ottenere finanziamenti e gestire – magari grazie all’appoggio di nuove strutture come il Cineporto – il delicato passaggio al digitale e comunque il rinnovo tecnologico delle sale. Il progetto di Renda, inoltre, chiede soprattutto che questi benedetti fondi “a sostegno dell’economia delle insegne illuminate” tengano conto della grande ricaduta economica che i cinema hanno sul territorio. “I bar, i ristoranti, i negozi – prosegue il numero uno di Arthouse – chiuderebbero rapidamente se sparissero le sale cinematografiche: un elemento di grande aiuto alla collettività anche in termini di sicurezza e di aggregazione”. Aggiunge: “Perché siamo le uniche strutture ad offrire, a poco prezzo, cultura quotidiana a tutte le fasce sociali comprese quelle più deboli”.

L’associazione Arthouse, dunque, si presenterà a settembre all’incontro con gli enti locali con un appello che è anche un monito: “Se non ci si occuperà in modo deciso, e con consistenti investimenti, delle sale cinematografiche, nel volgere di poco morirà anche la produzione cinematografica e quindi scompariranno anche le Film Commission”. In effetti, e questo è un dato di fatto, anche i produttori, per la prima volta in tantissimi anni, hanno chiesto alle istituzioni un aiuto economico. E quello stesso aiuto per le sale cinematografiche potrebbe essere la famosa “Cinema Commission” per la cui realizzazione è necessaria “una forte azione comune delle imprese, delle associazioni di categoria e di tutte le istituzioni cinematografiche di concerto con quelle pubbliche”.

Siamo in piena fase “di transizione”, il cinema sta passando piano piano dall’analogico al digitale, passaggio che si completerà solo quando anche gli esercenti di tutti i cinema utilizzeranno per proiettare film HD macchine digitali (ovviamente si parla di grande distribuzione commerciale, di piccoli monosala). I vantaggi del digitale sono diversi: l’affitto delle copie è molto meno costoso, il supporto digitale non si usura come quello analogico.

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