Come evolve il mercato.
Come evolve il mercato delle televisioni e come le nuove tecnologie incidono sui consumi futuri di contenuti audiovisivi?
Di questo s’è parlato al CNEL il cui report riporto qui sotto. Buona lettura:
CONSIGLIO NAZIONALE DELL’ECONOMIA E DEL LAVORO
L’industria dei contenuti digitali. Gli ostacoli e le condizioni di sviluppo
Osservazioni e proposte
Assemblea
26 febbraio 2009
INDICE
ITER DELLA PRONUNCIA
1 PREMESSA
2 OSSERVAZIONI
3 PROPOSTE
Iter della pronuncia.
Il presente schema di Osservazioni e proposte è approvato dal CNEL in
ottemperanza all’art. 10 della legge n. 936/1986 recante “Norme sul
Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro”.
L’istruttoria dello schema di osservazioni e proposte è stata curata dalla
Commissione per le grandi opere e le reti infrastrutturali le politiche
energetiche e i servizi a rete (V) nelle riunioni del 26 novembre 2008, 17
dicembre 2008 e 27 gennaio 2009.
Nel corso dell’istruttoria la Commissione V ha tenuto conto dei risultati del
ciclo di audizioni indette al Cnel nei mesi di ottobre e novembre 2008 con i
soggetti appartenenti a tutti i segmenti del sistema delle comunicazioni
elettroniche e dell’industria dei contenuti: produttori di contenuti,
assemblatori, operatori di telecomunicazioni, soggetti dell’IT, intermediari
dei diritti d’autore (SIAE), sindacati ed associazioni dei consumatori.
La Commissione V ha concluso l’istruttoria nella riunione del 27 gennaio
2009.
Il documento è stato esaminato nel Comitato di Presidenza dell’11 febbraio
ed approvato all’unanimità nella Assemblea del 26 febbraio 2009
1 Premessa
È ormai diffusa la consapevolezza che dall’ attuale crisi finanziaria ed economica
si esce soltanto con una profonda revisione dell’attuale modello produttivo. Molti
dei beni che costituiscono il nucleo portante delle economie occidentali possono
ormai considerarsi maturi, e si riduce sempre più la loro capacità di creare
ricchezza. È quindi necessario investire nella produzione di nuovi beni e servizi,
che siano in grado di rimettere in moto ricerca di base ed applicata,
industrializzazione dei processi, produzione, distribuzione e consumo.
Di questi nuovi beni e servizi una buona parte è costituita dalla economia
digitale, che a partire dagli anni ‘80 è stata in grado di attrarre investimenti,
dare vita a nuovi prodotti, creare nuovi modelli di consumo. Tuttavia anche
questo settore, ampiamente inteso (Information Technology, telecomunicazioni,
servizi e contenuti digitali) sta rallentando il suo sviluppo a causa non solo di
carenza di investimenti (basti pensare alla difficoltà di realizzare le nuove reti a
larghissima banda) ma anche a causa di regole ereditate da altre stagioni, che
bloccano la circolazione dei beni immateriali (o che cercano invano di bloccarla
come nel caso di Internet), che non tengono conto né della dematerializzazione
di questa economia né della sua globalizzazione.
Occorre pertanto una riflessione larga (a livello internazionale) e condivisa (tra
tutti i soggetti di questa economia), sul nuovo modo di produrre, distribuire e
consumare quello che qualcuno ha definito i “neobeni”, e un insieme di decisioni
che consentano a questa nuova economia di realizzare al massimo le sue
potenzialità di creazione di ricchezza, di nuova e qualificata occupazione, di
accesso ampio alle conoscenze, di coesione sociale.
Sono queste le ragioni che hanno motivato, in questa Consigliatura, l’interesse
della V Commissione al tema delle infrastrutture digitali, quali strumenti di una
complessiva rivitalizzazione dell’economia del nostro Paese verso produzioni
immateriali a più alto valore aggiunto, in grado di migliorare la produttività e la
competitività del nostro sistema produttivo.
Il presente Schema di Osservazio ni e Proposte , infatti, completa un’analisi
svolta fin dal 2006 dalla V Commissione, che negli anni passati si è concentrata
dapprima sullo sviluppo delle reti a banda larga (2006) e successivamente sulla
disponibilità in rete di servizi per le piccole e medie imprese (2007). Con questo
lavoro, risalendo la catena del valore delle produzioni digitali, si analizza
l’industria dei contenuti digitali e i suoi elementi di freno e di sviluppo,
avanzando anche delle proposte. Lo Schema di Osservazioni e Proposte è
completato da un esteso Rapporto (Allegato) redatto per il CNEL dalla società
Between.
Il rapporto descrive le principali caratteristiche dell’industria dei contenuti digitali
a livello europeo e internazionale, mettendo in risalto la struttura della catena
del valore e i principali modelli di offerta adottati dalle imprese. Vengono
analizzati i vari segmenti che formano l’industria dei contenuti digitali e
precisamente: l’industria discografica; quella dei contenuti video; quella
televisiva; quella dei videogiochi; quella radiofonica e infine quella dell’editoria.
Dopo aver analizzato il ruolo dei dispositivi elettronici e delle piattaforme di distribuzione nell’ambito del processo di diffusione dei contenuti digitali,
vengono evidenziate le principali problematiche che affliggono l’industria italiana
dei contenuti digitali e le possibili azioni da intraprendere al fine della loro
risoluzione. Queste ultime due analisi sono state redatte sulla base delle
informazioni raccolte nel corso delle audizioni, che hanno visto partecipare i
principali attori della filiera produttiva dell’industria italiana dei contenuti digitali
nonché gli organismi deputati alla loro regolamentazione e promozione.
Dalle analisi svolte nel Rapporto si evince che negli ultimi anni, l’industria dei
contenuti digitali (intendendo con questo termine le opere dell’ingegno come la
musica, le immagini, i videogiochi, dematerializzate e distribuite sulle diverse
piattaforme digitali) ha subito una forte espansione grazie soprattutto agli
elevati tassi di crescita registrati in alcuni segmenti, tra cui quello televisivo e
quello della musica online. Tuttavia, nel complesso l’industria dei contenuti
digitali si trova ancora in una fase di crescita iniziale. Infatti, per alcuni segmenti,
il ruolo che tale industria assume nei confronti dell’industria dei contenuti
tradizionali, dalla quale essa stessa trae origine, è ancora marginale.
Per quanto riguarda il contesto italiano, le prospettive di crescita di questa
industria sono abbastanza promettenti, visto il ruolo sempre più cruciale che le
piattaforme digitali stanno assumendo nell’ambito dello sviluppo economico e
sociale del Paese. Tra il 2006 e il 2007, il valore dell’industria italiana dei
contenuti digitali è passato da poco più di 4 miliardi di euro a oltre 5 miliardi
euro facendo registrare una crescita di circa il 20%. Stando alle ultime stime, il
mercato nazionale dei contenuti digitali raggiungerà nel 2009 il valore di 7,3
miliardi di euro1. Anche se non si hanno dati precisi sull’occupazione, poiché la
creazione di contenuti è spesso parte di attività più ampie, è opportuno
sottolineare che in questo specifico segmento l’occupazione è per definizione
qualificata, giovane, spesso non stabilizzata, ma ricca di esperienze e di
competenze e quindi meno esposta al vento della precarietà. Nonostante questi
aspetti positivi, tuttavia, la presenza, sia a livello internazionale che nazionale,
di alcuni ostacoli di natura tecnica ed economica, potrebbero compromettere lo
sviluppo futuro di questa industria.
Lista dei soggetti auditi
§ Istituzioni: Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), Garante per la Protezione
dei Dati Personali, Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE), Guardia di
Finanza.
§ Associazioni di categoria: Aitech-Assinform, Confindustria Servizi
Innovativi e Tecnologici, Associazione Nazionale Imprese Servizi Informatica
Telematica Robotica Eidomatica (Assintel), Andec Confcommercio, Asstel.
§ Produttori di contenuti: Dada, Mediacoop, Warner Bros Italia, Italia News,
Mondadori online, Mondadori Digital Publishing, Associazione dei fonografici
Italiani (AFI), Associazione Produttori Televisivi (APT), Federazione Italiana
Industrie Musicali (FIMI), Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG), Istituto
1 e-Content, 2008.
4
Mutualistico per la tutela degli Artisti Interpreti ed Esecutori (IMAIE),
Associazione Editori Software Videoludico (AESVI).
§ Distributori di contenuti: Mediaset, Aeranti corallo, Associazione Nazionale
Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali (ANICA).
§ Operatori TLC e ISP: Fastweb, Telecom Italia, Tiscali, Assoprovider,
Associazione Italiana Internet Providers (AIIP), International Webmasters
Association (IWA), Microsoft Italia, Philips Italia.
§ Associazioni: Adiconsum, Altroconsumo, Fistel CISL, Unione Generale del
Lavoro.
2 Osservazioni
I nodi critici che ostacolano uno sviluppo più ampio dell’industria dei contenuti
digitali possono essere così riassunti:
a)
Limitatezza del mercato dovuta al dato linguistico: un nodo non
superabile, che rende però difficile la competizione con mercati linguistici
assai più estesi del nostro (inglese, spagnolo). In Italia, come negli altri paesi
europei, nonostante siano presenti adeguate infrastrutture di rete e siano
stati sviluppati nuovi ed efficaci modelli di business, l’industria dei contenuti
digitali si presenta ancora fortemente frammentata e circoscritta ai confini
geografici dei singoli paesi membri. Tale situazione non consente alla stessa
di esprimere al meglio le sue potenzialità, costituendo una delle ragioni per
cui il valore del mercato di questa industria è di gran lunga inferiore a quello
di altri contesti, primo fra tutti quello statunitense.
b) Circolazione bloccata dei contenuti. È questo un nodo assai importante,
consistente nel fatto che l’insieme degli attori della filiera (produttori di
contenuti, assemblatori, distributori sulle diverse piattaforme) vede alcuni
soggetti in posizione monopolistica o oligopolistica. Di conseguenza,
meccanismi come l’acquisto in blocco di contenuti di un produttore da parte
di un distributore in posizione di monopsonio (tipicamente un broadcaster
televisivo), oppure l’acquisto in esclusiva per alcuni anni, o l’acquisto in
blocco per tutte le piattaforme, impedisce ad altri distributori, in particolare a
quelli da poco entrati sul mercato, come le TV su Internet (IPTV) o via
telefono mobile, di affermarsi sul mercato diffondendo contenuti pregiati, che
vengono di fatto tolti dal mercato. Questa problematica (ampiamente trattata
nel par 4.2.1. del Rapporto) è molto sentita dai gestori delle piattaforme
emergenti, ma anche dagli stessi produttori, che si vedono artificiosamente
restringere il mercato e non possono, ad esempio, riutilizzare i diritti delle
loro opere dopo un certo numero di anni, dando così vita ad un mercato
secondario dei diritti che potrebbe utilmente remunerarli. Questo problema
(difficile accesso ai contenuti da parte di alcune piattaforme di distribuzione)
ha il suo simmetrico nel difficile accesso dei produttori di contenuti ad alcune
piattaforme. Anche se la concorrenza ha aumentato il numero di piattaforme
di distribuzione disponibili (TV satellitare, TV digitale terrestre, TV via cavo,
Internet, reti di telecomunicazioni fisse e mobili) la limitatezza di capacità
trasmissiva di alcune di esse limita la possibilità di trasmettere tutti i
potenziali contenuti. Poiché alcune di queste piattaforme (broadcaster,
operatori di telecomunicazioni) sono verticalmente integrate, cioè hanno
nello stesso gruppo industriale fornitori di contenuti e reti di distribuzione, è
evidente che si crea una situazione di privilegio per la trasmissione di
contenuti in possesso dello stesso gestore della piattaforma.
c)
Difficile valorizzazione del diritto d ’ autore. Questo problema,
comunemente definito con il riduttivo termine di “pirateria”, ha delle
conseguenze importanti nella circolazione dei contenuti digitali. Come è facile
intuire, una volta che l’opera d’autore (musica, film, gioco) è stata
digitalizzata ed immessa nella rete, è anche possibile la sua circolazione sotto
forma di scambio tra gli utenti, pratica ritenuta illegale proprio perché viola la
normativa sul diritto d’autore. Questa pratica nuoce infatti sia alla
distribuzione fisica delle opere dell’ingegno (negli Stati Uniti è fallito il più
grande negozio di dischi) sia alla distribuzione online con pagamento dei
relativi diritti. Sono state elaborate diverse procedure per ridurre il fenomeno.
Si va da una procedura di “marchiatura digitale” dei contenuti (DRM, cfr. par
4.2.3.. del Rapporto) a pratiche repressive, come quella messa in atto in
Francia, che prevede che dopo tre accessi illegali l’utente sia disconnesso
dalla rete, a pratiche incentivanti consistenti nell’offrire gratuitamente
all’utente un assaggio di ciò che vorrebbe ascoltare per incentivarlo
all’acquisto regolare, fino a forme di abbonamento a costi molto ridotti che
remunerano forfettariamente un certo numero di accessi. Si tratta tuttavia di
misure che stanno dimostrando tutta la loro inefficacia, poiché è difficile
sradicare una pratica sociale come quella dello scambio, che ormai in rete ha
assunto lo status di vero paradigma.
Sottocapitalizzazione dell’industria. Così come l’industria del cinema,
anche quella dei contenuti digitali soffre di sottocapitalizzazione. Manca. ad
esempio. l’apporto di risorse da altri settori, che potrebbero investire se
fossero assicurate condizioni migliori di redditività.
Se questi sono i problemi che affliggono l’offerta di contenuti digitali, altri
possono essere individuati sul lato della domanda. In particolare:
Difficile accesso degli utenti ai contenuti digitali. Questo problema
nasce a sua volta da due elementi: la ancora incompleta estensione della
rete a banda larga, necessaria a veicolare i contenuti di maggior peso, e la
scarsa alfabetizzazione informatica esistente nel nostro Paese. Mentre sul
primo versante alcune iniziative si vanno affacciando, sul versante
dell’alfabetizzazione informatica vi sono alcune sporadiche iniziative, ma
occorrerà forse aspettare un ricambio generazionale.
Mancanza di standard e di interoperabilità. La possibilità di fruire di un
determinato contenuto digitale per mezzo di qualsiasi strumento, sia esso un
dispositivo elettronico o uno specifico applicativo software, è una condizione
necessaria per lo sviluppo dell’industria dei contenuti digitali, poiché
garantisce la massima libertà di fruizione agli utenti finali. La mancanza di
interoperabilità e le soluzioni verticalmente integrate e proprietarie che
caratterizzano l’offerta dei diversi provider, rischiano di compromettere lo
sviluppo dell’industria dei contenuti digitali, in quanto vincolano gli utenti a
una specifica piattaforma/servizio, al fine di garantire il consolidamento della
rispettiva base di utenti, a tutto svantaggio della concorrenza e dello sviluppo
complessivo dell’industria.
Scarsa trasparenza delle offerte commerciali. La concorrenza tra i
diversi operatori ha generato, come del resto è avvenuto nella telefonia
mobile, una quantità e varietà di tipologie di offerte commerciali non sempre
comprensibili agli utenti. Offerte quali la pay-per-view, pay-per-download,
pay-per-play, (cfr. Glossario al termine del Rapporto) le offerte
pacchettizzate, le promozioni, rendono di difficile comprensione per un
generico utente l’offerta che più risponde ai suoi bisogni.
3 Proposte
Sulla base delle difficoltà sopra individuate, si possono avanzare le seguenti
proposte per lo sviluppo dell’industria dei contenuti digitali.
A) Attuare un’efficace regolamentazione di tipo antitrust che assicuri una
migliore circolazione dei contenuti digitali. Si tratta delle proposte più incisive
e potenzialmente più utili allo sviluppo dell’industria in esame. Occorre che la
legislazione e la regolamentazione, ciascuna nel proprio ambito, obblighino
gli operatori dominanti e verticalmente integrati a offrire i contenuti da essi
acquistati in esclusiva a tutte le piattaforme che li richiedono, naturalmente a
condizioni commerciali, eque e non discriminatorie. Questa misura (detta
must offer), parzialmente e non molto chiaramente introdotta nel Testo Unico
sulla Radiotelevisione, sarebbe risolutiva come strumento per favorire il
radicamento e il rafforzamento delle piattaforme di distribuzione diverse dai
broadcaster verticalmente integrati. Simmetricamente, andrebbe garantita ai
fornitori di alcuni contenuti la possibilità di distribuirli attraverso qualsiasi
piattaforma, anche in questo caso a condizioni di mercato e non
discriminatorie. Si tratta del cosiddetto obbligo di must carry, che è stato
introdotto in alcuni paesi e per alcuni canali proprio per evitare che
l’integrazione verticale tra fornitori di contenuti e gestori di piattaforme porti i
primi a privilegiare i secondi come piattaforme distributive dei propri
contenuti, a tutto detrimento della concorrenza. La normativa di settore è in
gran parte derivata da Direttive Europee, tuttora in evoluzione, e talvolta non
molto chiare né efficaci sul piano della armonizzazione. Occorre quindi
seguire con attenzione tale normativa e stimolare il legislatore e il regolatore
italiano ad una trasposizione il più possibile incentivante di una vera
concorrenza tra fornitori di contenuti e tra piattaforme.
B) Stimolare, attraverso la normativa primaria e secondaria, l’adozione
di standard e di sistemi interoperabili, in particolare per i DRM
(meccanismi di gestione dei diritti digitali). Benché sia evidente che il
processo di standardizzazione debba avvenire a livello internazionale, in
quanto l’industria dei contenuti è fortemente globalizzata, possono in via
temporanea essere adottate delle misure a livello nazionale, come è
avvenuto in Francia (in cui i provider sono tenuti ad adottare una tecnologia
DRM interoperabile solo se lo richiedono i titolari dei diritti).
C) Elaborare e adottare un nuovo paradigma per la valorizzazione della
proprietà intellettuale, che tenga conto dell’affermarsi, nella rete,
dell’economia dello scambio. Tale paradigma sarà molto probabilmente una
estensione ai contenuti digitali del concetto dei “common goods” (beni
comuni sui quali nessuno può vantare un diritto esclusivo, ma che vengono
remunerati attraverso un prelievo generalizzato e non a carico dei singoli
utenti). Si tratta di un cambiamento di natura culturale che sembra
inevitabile ma che richiederà molto tempo per affermarsi.
D) Sostenere l’industria creativa italiana. Va affrontato il problema relativo
al sostegno alla produzione e alla distribuzione in digitale di contenuti legati
al mondo cinematografico e televisivo. In prima istanza, l’obbligo previsto
dalla Direttiva TV senza Frontiere, di diffondere quote definite di opere
europee, obbligo oggi imposto solo ai broadcasters sui loro palinsesti,
andrebbe esteso anche ai servizi di video-on-demand e a tutte le piattaforme
digitali, per esempio imponendo quote definite di opere europee nei loro
cataloghi e quote di investimento nell’acquisto di diritti di tali opere. Sarebbe
pertanto opportuno che la normativa nazionale si uniformasse a quanto
disposto dal nuovo testo della direttiva TV senza frontiere. Per quanto
riguarda il sostegno alla produzione e il problema della sottocapitalizzazione
dell’industria del settore, occorre richiedere che le misure di sostegno
previste per l’industria cinematografica e televisiva, come la defiscalizzazione
degli investimenti necessari per la digitalizzazione delle opere o il sostegno
alla produzione indipendente, misure oggi a rischio di infrazione da parte
dell’Unione Europea, in quanto considerati aiuti di Stato, siano invece
confermate.
E) Estendere le possibilità di accesso ai contenuti digitali da parte degli
utenti. Occorre innanzitutto estendere la copertura della rete a banda larga
e ultralarga ( la cosiddetta NGN) per consentire ad una più ampia platea di
utenti di accedere ai contenuti digitali. I piani di estensione della
copertura,presentati da diversi operatori,in primis da Telecom Italia, fanno
intravedere il raggiungimento della quasi totalità della popolazione in tempi
brevi ( due anni) per velocità fino a 20 Mbps, che consente già una buona
fruizione di contenuti non troppo pesanti ,mentre per il cinema ad alta
definizione e per file complessi,per i quali sono necessari almeno 50Mbps, le
prospettive temporali si allungano ( almeno i prossimi 10 anni).Occorre
pertanto trovare le risorse, pubbliche e private,e stabilire le regole, che
consentano di accelerare questo processo. Sarebbe anche opportuno
utilizzare a questo fine le frequenze che si liberano nel passaggio dalla TV
analogica a quella digitale ( il cosiddetto dividendo digitale) analogamente a
ciò che hanno fatto alcuni Paesi europei, come il Regno Unito, che ha messo
tali frequenze all’asta indicandone la destinazione proprio alla copertura del
digital divide con tecnologie wireless. 2 Per quanto riguarda la
alfabetizzazione informatica, limite che investe sostanzialmente le persone
anziane e le donne senza pregressa esperienza lavorativa, vanno sostenuti
tutti quei programmi,in gran parte pubblici,nazionali e di Enti Locali,che
insieme alle elementari abilità creino la motivazione e lo stimolo all’uso dei
contenuti digitali. (cfr.programma Icone della Memoria cit. nel Cap 5 del
Rapporto)
Per quanto riguarda la posizione dei principali paesi membri dell’Unione Europea (che fino al 2015 ha lasciato liberi i Governi nazionali di allocare ai diversi servizi le frequenze liberate, mentre dopo quella data esse dovranno tutte essere destinate ai servizi d telefonia mobile), il Regno Unito è considerato il paese all’avanguardia nella gestione del dividendo digitale. Dopo una
consultazione pubblica, l’orientamento di OFCOM prevede di utilizzare per la televisione digitale terrestre due dei canali destinati ai servizi IMT (servizi di telefonia mobile compreso il Wi-Max) e di mettere all’asta gli altri canali. L’obiettivo è quello di lasciare al mercato la scelta dell’uso finale dello spettro liberato. In Francia, invece, si è adottata una strategia pianificata delle frequenze, scegliendo di destinare ai servizi di telefonia mobile i 9 canali individuati dall’ITU , con l’obiettivo di massimizzare lo sfruttamento dello spazio frequenziale liberato. Nel nostro Paese la scelta del Ministero delle Comunicazioni e dell’AGCOM è stata diversa da quella del Regno Unito e della Francia. Infatti è stato previsto che i canali liberati dallo switch-off (i canali della
banda 61-69) non siano riservati ai servizi di telefonia mobile, ma utilizzati dai broadcaster per la diffusione di servizi televisivi in digitale terrestre, privilegiando così lo sviluppo della TV digitale piuttosto che la riduzione del digital divide.