Gina Nieri
Ho partecipato ieri, in qualità di relatore, all’annuale convegno della Fondazione Rosselli che ha presentato i dati economici relativi all’industria culturale italiana; la somma, cioè, dei mercati italiani delle telecomunicazioni e dei contenuti.
Fonte : Fondazione Rosselli
Il convegno, organizzato per tavole rotonde successive, mi ha visto impegnato in un confronto con il DG di Auditorium Parco della Musica di Roma, l’Assessore regionale alla cultura del Lazio, Santini e quella provinciale D’Elia. Il parterre era autorevolissimo e nutrito.
Nel mio intervento, in estrema sintesi, ho detto che gli strumenti previsti dalla Legge Urbani sul cinema e il sistema automatico di sostegno del tax credit/shelter sono utilissimi. Ma che non bastano a fare un mercato vero. Giacché, come noto, solo il gruppo Mediaset, per ragioni storiche e politiche, ha potuto integrare verticalmente la filiera (essendo insieme broadcaster, produttore, distributore ed esercente cinematografico), mentre la Rai vede una evasione del 41% del canone e una governance molto traballante, Sky è sotto lo schiaffo del Ministro Romani che tergiversa – chissà poi perché… – nel concedere le frequenze digitali terrestri e La 7 soffre di nanismo pubblicitario indotto dal duopolio. Ma alla fine, le produzioni indipendenti di fiction, sempre da noi vengono a chiedere le risorse per coprire il deficit indotto dalla contrazione dei budget di Mediaset o Rai. E in questo passaggio ho spiegato il senso del lavoro di noi film commissioner, ragione per la quale mi hanno invitato.
Ho interloquito con l’Assessore Santini spiegandole che la posizione tipicamente espressa dagli esponenti del centro-destra italiano cui lei appartiene, a me pare fortemente ideologica: meno stato, più mercato. Meno sostegno diretto, più strumenti indiretti. Una cantilena che ci ammalia da quattro lustri.
Bene, dico io, ma allora creiamo insieme un mercato vero e forte che consenta di creare più Mediaset e aiuti i produttori indipendenti e gli editori puri a crescere e svilupparsi creando prodotti nuovi. Altrimenti, penso, l’esperienza di “Che bella giornata”, che per me è da considerarsi un grande successo di cui andare orgogliosi, rischia di rappresentare la morte del cinema italiano, invece che il suo rilancio, in quanto tutta la filiera produttiva che ha dato vita a quel film è marcata Silvio Berlusconi.
Una posizione ragionevole, la mia. Ma non condivisa dall’autorevole Gina Nieri, consigliere e membro del comitato esecutivo del gruppo Mediaset (pensate, con delega alla spesa sino a 160 milioni di euro – http://www.mediaset.it/corporate/chisiamo/organi/scheda_14_it.shtml) la quale potendo intervenire dopo di me, ha ricordato – come si dice da circa 16 anni – che il suo gruppo crea lavoro e genera valore per il Paese.
Ma chi l’ha mai messo in discussione?
Io rispetto moltissimo Mediaset che trovo azienda sana e molto ben amministrata. Dico solo e ripeto che di Mediaset ne vorrei altre 3. E allora si, io, figlio dell’Europa unita, amante della concorrenza e del pluralismo, penserò davvero di vivere, finalmente, in un Paese libero e moderno. Prima di allora, invece, saremo condannati al solo scenario che si conosca: il duopolio fittizio.
Uno scenario in cui se un produttore di cinema o tv si vede rifiutare l’acquisto dei diritti di antenna e di distribuzione da Rai o Medusa, fa prima a rinunciare al suo progetto.
Alla fine del mio intervento ho ricevuto, unico fra tutti i partecipanti alle tavole rotonde pubbliche, un caloroso applauso. E durante il lunch time molti si sono avvicinati per complimentarsi per la chiarezza della mia posizione. Ma io, lo dico senza falsa modestia, sono stupito: perché ho solo detto la verità, che sarà anche rivoluzionaria, ma in un consesso così tecnico mi rattrista che nessuno avesse, prima e dopo di me, il coraggio di schierarsi non a destra o sinistra (visto che le posizioni di destra oggi sono peraltro largamente maggioritarie, anche nel settore produttivo cine-televisivo), ma semplicemente verso se stessi, a difesa del mercato – quello vero – e della concorrenza leale.
Prima di andare via una persona che stimo e apprezzo – ma di cui non farò il nome – mi ha detto che avevo avuto coraggio, forse anche troppo, vista la presenza in sala della potentissima e pericolosissima Gina Nieri.
E allora tutto mi si è chiarito. Il nostro settore vive ormai nel terrore. Roma è diventata una fogna insalubre in cui tutti hanno paura della politica e questa tratta l’industria come propria succursale.
Non sono mai stato felice e orgoglioso come ieri d’esser pugliese. Ho imparato dalle lezioni di Giuseppe Di Vittorio e Aldo Moro che c’è un unico modo di stare al mondo: tenere la schiena dritta, non scappellarsi mai dinanzi ai potenti.