Lezioni americane.
Ciò che stanotte è accaduto negli Stati Uniti non è solo la vittoria del ‘cambiamento’ sull”esperienza’.
E’ la dimostrazione che un nuovo racconto è stato prodotto dall’America profonda: dalle viscere di quel Paese si afferma una narrazione diffusa, democratica, orizzontale per cui entrano nel racconto nuovi cittadini, nuove razze, nuove etnie, nuove generazioni.
“You made history every single day during this campaign – every day you knocked on doors, made a donation, or talked to your family, friends, and neighbors about why you believe it’s time for change.” Scrive Barack alla sua enorme mailing list.
Se a vincere è un quarantasettenne su un settantaduenne vuol dire che, ancora una volta, quel meraviglioso Paese ci insegna qualcosa e ci stupisce. ‘Country first’, era lo slogan di McCain. Gli americani lo hanno rifiutato perchè dopo almeno quarantanni, dopo “l’orda d’oro” dei magnifici anni ’60, un uomo pregno di ideali racconta ai propri concittadini quello che vogliono sentirsi dire (leggi Jaques Séguéla).
Per questo ha torto Bill Clinton a definire quelle di ieri come “economic elections”: sono, invece, profondissimamente ‘political elections’. E stavolta il cinismo brutale americano è stato sconfitto dall’idealismo della frontiera dei diritti di inclusione sociale, della pace, della solidarietà.
Ci sarà tempo per esserne delusi; oggi, io, non ho paura di urlare W Obama! W gli Stati Uniti d’America!