Riconciliarsi con la lettura dei critici
Leggo sul Sole24Ore e condivido.
Quando, la scorsa primavera, si fecero salti di gioia commentando gli incassi record del cinema italiano (Checco Zalone, Benvenuti al Sud, Aldo Giovanni e Giacomo), molti misero già in guardia contro i rischi del trionfalismo. La “monocultura della commedia” può inaridire il terreno del cinema italiano, già provato da un decennio di “cinema medio d’autore” che non ha innalzato il cinema medio e ha reso più difficile la vita al cinema d’autore.
“La gente vuole le commedie”, è l’atterrita parola d’ordine che serpeggia da qualche tempo nel mondo del cinema romano. E il rischio è che, nel giro di poco tempo, il cinema italiano diventi una forma residuale e parassitaria della tv, come certi teatri, in cui il pubblico va a vedere una volta l’anno i comici che vede ogni settimana sul piccolo schermo.
In questi giorni si trovano in sala due tipi di film. Intanto, quelli del filone vintage (La kryptonite nella borsa, Il paese delle spose infelici, I primi della lista, in parte Bar Sport): titoli ambientati negli anni Settanta, tra la piccola borghesia magari di provincia, con uno sguardo benevolo e atmosfere che un tempo si sarebbero dette di neorealismo rosa. Il cuore di queste operazioni sembra essere soprattutto l’effetto evocativo di vestiti, auto d’epoca, canzoni. Ma i film che davvero dominano il botteghino sono pur sempre i film comici puri.
L’enorme successo di I soliti idioti ha spinto gli editorialisti a considerazioni sull’Italia e la volgarità. Eppure ciò che si può obiettare al film non è la sua volgarità, ma (oltre ai due monocordi protagonisti, che non hanno né fisicità né tempi comici) una certa meccanicità e auto-referenzialità delle gag, tipica della tv. La volgarità non è questione di parolacce: I soliti idioti non è più misogino e qualunquista, per dire, dell’ultimo film di Pupi Avati, Il cuore grande delle ragazze.
Il difetto principale del nostro cinema comico, in fondo, è proprio la sua assenza di curiosità, oltre che di cattiveria. Un altro successo di questi giorni, La peggiore settimana della mia vita con Fabio De Luigi potrebbe essere ambientato in Ungheria negli anni Trenta senza cambiare molto (come altre commedie in sala, da Ex: amici come prima a Lezioni di cioccolato 2, e come erano i tre campioni di incassi citati all’inizio). Questi film, più che figli della commedia all’italiana, sembrano nipoti delle commedie del ventennio fascista. Che però avevano spesso ben altra grazia e professionalità, e motivazioni certo più forti per il proprio “parlar d’altro”.
Fonte:Il Sole 24 Ore