Diario
0
28/09/2013

Assurdamente

Assurdamente questo Governo precario e tremolante ha trovato in Massimo Bray uno dei migliori Ministri della Cultura (vabbè dai, si, dico così per far prima…, altrimenti dovrei scrivere Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo…) della storia. Ecco qui cosa ha votato il Senato, in sede di conversione. Roba che noi si chiedeva da anni…

“Il Senato ha approvato ieri con il solo voto contrario della Lega Nord e l’astensione del M5S il decreto sulla Cultura concepita dal governo come ”valore aggiunto” per attrarre risorse e rilanciare l’Italia. Il provvedimento contiene misure per Pompei, fondi per altri siti archeologici e musei a cominciare dagli Uffizi, oltre a misure per le Fondazioni liriche e stabilizzazione del tax credit per il cinema. Per reperire le risorse c’è anche l’aumento delle accise per tabacchi, alcool e oli lubrificanti. Il decreto passa ora alla Camera dove deve essere approvato entro l’8 ottobre. Per quanto riguarda il cinema, il Senato ha decretato che il tax credit dai 90 milioni annui destinati inizialmente, salirà a 110 milioni di euro. In base ad un emendamento, al fondo potranno accedere anche la fiction e l’audiovisivo.”

0
26/09/2013

Unbundling & Co.

Ragionevole riflessione di Raffaele Barberio.

Le vicende relative allo scorporo della rete di Telecom Italia stanno assumendo toni parossistici.

Per lunghi mesi ci hanno fatto familiarizzare con l’idea che l’operazione potesse essere presa in carico dalla Cassa Depositi e Prestiti.

Poi contrordini e stop-and-go, con un tira e molla che è culminato negli ultimi giorni con uscite concitate e contraddittorie: dichiarazioni di scorporo imposto per decreto da fonti AgCom,  poi smentite, con dichiarazioni nelle stesse ore di fonti governative che smentiscono ogni ipotesi di azioni coercitive, per poi smentire se stesse dicendo che lo scorporo per decreto potrebbe essere la soluzione migliore per tutti.

Ma per tutti chi?

Va detto a chiare lettere che uno scorporo per decreto è impensabile.

Lo è per il diritto italiano.

Lo è per le norme europee.

Lo è perché non esiste alcun precedente in materia.

Ma lo è innanzitutto perché chi avrebbe potuto prendere decisioni che scongiurassero le circostanze che tutti oggi dicono di temere non lo ha fatto per anni e ha lasciato che le cose arrivassero allo stato attuale: 13 lunghi anni in cui non è stata registrata alcuna traccia, una dico una, di politica industriale nelle telecomunicazioni.

Altro che sistema strategico per il Paese…

Telecom Italia non è obbligata in alcun modo a fare lo scorporo e, avendo avviato un “processo volontario”, è nella condizione di fare marcia indietro in qualunque momento, se non sussistessero le condizioni per procedere.

D’altro canto, l’ipotesi di uno scorporo coercitivo della rete di Telecom Italia rappresenta un’opzione da cancellare, nonostante la straordinaria bagarre di queste ore e le vesti stracciate a destra e a sinistra, spesso con conflitti d’interesse di rappresentanti parlamentari a favore dello scorporo grandi come una casa.

Quindi, l’idea di uno scorporo della rete di Telecom Italia rischia ormai di diventare un’opzione da cancellare.

Tranne che in un caso.

Un solo caso.

L’unico che potrebbe rendere percorribile l’ipotesi di scorporo della rete.

Ed è a portata di mano…

Il cuore del problema è, infatti, la sostenibilità di una compravendita del genere e il punto di partenza è l’unbundling (ULL).

Il prezzo troppo basso dell’ULL in Italia, attualmente 9,28 euro con una proposta di riduzione di AgCom addirittura a 8,68 euro, rende di fatto impossibile lo scorporo della rete di Telecom.

I numeri non girano più.

Telecom Italia non riesce a valorizzare i propri asset in maniera adeguata.

La Cassa Depositi e Prestiti, dal canto suo, non può pagare a valore di mercato la rete e deve avere un ritorno tale da giustificare il proprio investimento.

Se il prezzo dell’ULL fosse aumentato a 10 euro (al valore fissato, ad esempio, in Germania, paese leader per numero di linee ULL in Europa), Telecom Italia potrebbe valorizzare la propria rete in maniera più corretta e Cassa Depositi e Prestiti potrebbe avere, solo in questo modo, un ritorno adeguato sull’investimento.

D’altra parte è dimostrato che i paesi del nord Europa che hanno un più alto prezzo dell’unbundling sono quelli in cui vi è la maggior diffusione di banda larga, il più alto livello di competizione, il più consistente flusso di investimenti.

Nella Newco della rete, Cassa Depositi e Prestiti potrebbe entrare con una quota tra il 30% e 40% lasciando, inevitabilmente, a Telecom Italia la maggioranza ed il ruolo di socio industriale con guida e gestione.

Non si intravedono altre soluzioni plausibili e realmente percorribili.

Il resto è deterrenza.

E vorremmo capire perché…

Fonte: Key-Biz

 

0
25/09/2013

Scivolosissimo

Leggo questa presa di posizione del neo Presidente dell’Agis e non capisco, sino in fondo, cosa voglia dire.
Voi?

ROMA – 24 SETTEMBRE 2013 – “L’Agis ritiene che il Teatro Valle, a 825 giorni dalla sua occupazione, vada ricondotto a una situazione di legalità e al rispetto delle regole e delle responsabilità che la gestione di qualsiasi struttura aperta al pubblico comporta nei confronti degli spettatori, dei lavoratori, artisti e tecnici che siano, e dello stesso bene culturale esposto a gravi rischi per l’assenza della necessaria manutenzione”. Così dichiara Carlo Fontana, presidente dell’Agis, in merito alla situazione del Teatro Valle di Roma. Pur riconoscendo lo spirito costruttivo di coloro che hanno inizialmente colmato un vuoto di decisione politica, il presidente dell’Agis non ritiene che tale situazione di legalità sia ricostituita attraverso la neonata Fondazione del Teatro.

 

Il Valle, di proprietà pubblica, continua Fontana, “è il teatro più antico della capitale ed è di per sé, per la sua storia, per gli artisti che lo hanno animato, per il pubblico che lo ha scelto, un bene comune la cui finalità è quella di garantire una programmazione artistica e un’organizzazione aziendale di livello e proiezione nazionale e internazionale”.

“L’occupazione di spazi e forme in realtà organizzate di autogestione, protratte per così lungo tempo, – afferma Fontana – non costituiscono l’unico terreno ove possono nascere e trovare legittima ed anzi auspicata espressione nuove progettualità e giovani formazioni. La storia del teatro testimonia con il modello delle cooperative, per quegli anni rivoluzionario, che è fattibile fare nuovo teatro nel rispetto delle regole, all’interno del sistema spettacolo proprio per cambiarlo, renderlo vicino ai tempi o meglio intuire e far condividere i mutamenti della società civile”.

L’Agis ritiene, quindi, essenziale, con gli operatori e gli artisti che in tal senso si sono espressi, che quanto prima vengano ristabiliti i presupposti di legalità e regolarità normativamente prescritti per le sale nonché le condizioni per una gestione realmente partecipata, attraverso meccanismi, peraltro largamente diffusi nel settore, di valutazione dei progetti di gestione secondo criteri oggettivi e professionali e, non per questo, preclusivi o superati. “Il teatro italiano, unitamente alle altre componenti dello spettacolo – conclude il presidente dell’Agis – porta avanti da anni, con necessaria irriducibilità, un’azione per il suo riconoscimento come elemento identitario del Paese e come sistema di imprese e professionalità, artistiche e tecniche, sistema di cui il Valle è tassello importante da recuperare a favore di tutti, cittadini e operatori, con le regole valevoli per tutti”.

- See more at: http://www.giornaledellospettacolo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=12869:teatro-fontana-agis-ricondurre-il-valle-a-situazione-di-legalita-&catid=100&Itemid=65#sthash.oZOP84So.dpuf

0
24/09/2013

Perché non sono nato nel Regno Unito?

Leggo le dichiarazioni di questo assennato dirigente pubblico e penso: perché non sono nato nel Regno Unito?
A corredo due dati ulteriori su due signori della tv pubblica italiana…ah, l’Italia…

“Nuovi progetti e difetti da correggere, tra cui privilegi e maxi-compensi, sono stati al centro di una Lecture al Prix Italia di Torino, in cui il presidente della Bbc, Lord Patten of Barnes, ha ripercorso la storia della tv pubblica britannica, ma ha soprattutto tracciato gli scenari futuri. I nuovi operatori, come Google o giganti delle tlc come British Telecom – ha dichiarato – «sono riusciti a minimizzare la Bbc sia da un punto di vista delle dimensioni che del reddito. Ai consumatori piacciono i loro prodotti e servizi. Questo è il nuovo panorama in cui le tv pubbliche devono trovare il proprio ruolo, un panorama in cui le vecchie barriere all’ingresso sul mercato stanno rapidamente scomparendo. Con l’esplosione della concorrenza, le entrate delle tv pubbliche si sono ridotte, talvolta drasticamente». «Sta ai governi agire in modo assennato», ha precisato stigmatizzando il caso della tv greca, chiusa da un giorno all’altro. «L’indipendenza dallo Stato è al centro della proposta di servizio pubblico e dobbiamo custodirla gelosamente». Lord Patten ha ricordato, inoltre, che «la Bbc resta il più fidato fornitore di notizie nel Regno Unito: quasi il 60% del pubblico indica che la Bbc è una delle fonti di cui ha più fiducia». Non ha mancato di criticare, però, i privilegi di cui godono i dirigenti del servizio pubblico, non solo in Gran Bretagna. «Per lungo tempo la sicurezza dei finanziamenti – ha spiegato – ha creato un’élite in questo settore che gode di un lavoro sicuro e retribuzioni elevate. Chi paga il canone non si aspetta questi compensi. Per questo alla Bbc le retribuzioni dei dirigenti stanno diminuendo, i premi del direttore generale sono stati tagliati di circa il 50%, le pensioni riformate. Ma c’è ancora molta strada da fare. Ci sono ancora troppi manager senior, circa il 2,5% della forza lavoro, in base agli ultimi dati. Vorrei che questo dato scendesse a un più adeguato 1%, al massimo entro il 2015″

“L’ex direttore del Tg1, Augusto Minzolini, attualmente in aspettativa con la Rai, sarebbe pronto a lasciare il Senato pur di tornare in viale Mazzini e “scongelare” così il suo stipendio annuo di oltre 450mila euro. Secondo il quotidiano “La Notizia”, sarebbero due le ipotesi di ricollocazione nella tv pubblica. Minzolini potrebbe essere riconfermato nel suo incarico a capo dei corrispondenti, oppure potrebbe aspirare alla direzione della Tgr, attualmente vacante dopo le dimissioni di Alessandro Casarin. Ruolo strategico anche in vista delle elezioni.”

“Claudio Cappon, ex dg della Rai, poi ad e presidente di RaiWorld, il manager più pagato della tv pubblica con 700mila euro l’anno, ha raggiunto un accordo per andare in pensione. Un prepensionamento con incentivo, in aggiunta alla liquidazione, più un contratto di consulenza (6.500 euro mensili al netto delle tasse) e il mantenimento di un ufficio a viale Mazzini (senza però la segretaria)”

Tutto da fonte newsletter E-duesse.

 

 

0
24/09/2013

Capitalismo italiano.

Telecom Italia diventa spagnola.
Alitalia diventa francese.
Perdiamo la siderurgia dentro il gorgo del conflitto tra salute e lavoro, tra giustizia e interessi privati.
Se n’è andata con Gardini la chimica e in Cina è partito il tessile-arredamento-calzaturiero.
Doppio Stato e obbedienza atlantica ci fecero perdere l’elettronica.
Ci rimarrà solo il buon cibo e qualche bella location?

All’Italia serve un piano strategico industriale che traguardi il 2020, incroci tutti i fondi pubblici e privati disponibili, crei condizioni speciali per attrarre e sostenere imprese (zone franche, incubatori, riforma della giustizia e della PA, formazione e specializzazione delle accademie in ricerca & sviluppo, rinnovata capacità delle banche di finanziare gli investimenti) e ci riporti all’antica capacità di esportare prodotti e servizi di qualità.

All’Italia serve la politica porca miseria.
Non la miseria della politichetta da cortile e leader solitari e avvolti in fameliche corti, ma un pensiero alto, una classe dirigente capace, un’attitudine diffusa alla responsabilità.

 

0
24/09/2013

Pale e polmoni

Ho letto con interesse il comunicato della Lipu di Capitanata sulla marcata presenza di pale eoliche in Puglia e sul conseguente deturpamento del paesaggio.
L’argomento retorico usato è che Salvatores non avrebbe mai girato il suo bellissimo “Io non ho paura” se tra Puglia e Lucania ci fossero state all’epoca le pale eoliche che oggi punteggiano l’orizzonte. Vero, falso. Chi lo sa?
Io continuo a preferire le pale eoliche alla centrale a carbone di Cerano e il fotovoltaico alle centrali nucleari giapponesi. Magari affacciate sul mare.
E continuo anche a preferire la luce elettrica alle candele di cera o le lampade a olio lampante.

Sicché intendiamoci: ogni tecnologia deve rispettare l’ambiente. Ma il progresso (non lo sviluppo, il progresso) richiede valutazioni tra benefici e interessi diversi.

In ultimo ricordo una bellissima sequenza girata da Pedro Almodovar tra le pale eoliche in Catalogna. Era “Tutto su mia madre” se non erro. Ed era una sequenza di grande cinema, prima che inventassero i droni.
Il che dimostra che si può fare grande cinema anche senza grandi tecnologie. Basta “solo” una grande idea.

Ps: ormai ci usano tutti come termine di paragone per qualunque argomento dialettico. Potenza immaginifica dell’audiovisivo.

Fonte:

Lipu

2
06/09/2013

Parole giuste.

Citando:

Raidue, l’anello debole della tv dei sette nani
I dati Auditel parlano chiaro: l’ennesimo format – “Facciamo Pace” – è rimasto schiacciato al 2 per cento
Pubblicato su Europa il 6 settembre 2013

In questa vigilia di inizio stagione densa di repliche, Raidue parte un po’ in anticipo confermandosi come la “strana rete” della Rai. Tralasciamo la mattina e il primo pomeriggio, impostati nel segno di Guardì, colui che ha insegnato a tanti replicanti a restare aderenti alla “realtà” (quella della signora Cecioni) come vampiri al collo della vittima e generando programmi che non vedremmo neanche sotto tortura, ma che, come spesso accade ai suggerimenti del diavolo, a modo loro funzionano.
Per il resto Raidue sta assomigliando sempre più a un canale della tv satellitare, specializzato nei generi, ma senza personalità: un canale scaffale che subisce il massimo della concorrenza da parte di tanti altri a lui simili.
I numeri dell’Auditel ne sono una conseguenza, come ieri sera, quando un ennesimo format della serie “m’ama non m’ama” (il titolo è Facciamo Pace) è rimasto schiacciato al 2 per cento degli spettatori, che se ne sono allontanati man mano che il programma procedeva (meno peggio al Centro e nel Nord Est), e con una percentuale ancora più bassa fra i giovani fino a 24 anni. Esito inevitabile quando una idea, anche dotata di un suo potenziale, viene stiracchiata fino a due ore di durata (perché tanto, sulle reti generaliste italiane, deve durare il programma serale).
La stessa formula, con una durata più calibrata e una struttura più scarna, avrebbe fatto invece una dignitosa figura su uno dei tanto canali specializzati tipo Real Tv. In altri termini, Raidue non è più, e la cosa ha radici lunghe che travalicano direzioni e direttori, un canale generalista capace di “portare” i titoli dell’entertainment (come riesce, finché stentatamente dura, a Raiuno e Canale 5 nell’entertainment e a Raitre e La7 nel campo del talk show politico). Raidue o viene portata dal programma, il che può accadere solo rarissimamente, con programmi-evento iper promossi, o affonda. E un canale che, a questo punto, non si sa più cosa stia a farci nell’ambito della tv generalista, quella dei canali dotati di identità editoriale e di “posizionamento ideale” nelle mappe mentali del pubblico.
Ma non tutti i guai vengono per nuocere. Forse è proprio a partire da Raidue che potrebbe essere colta l‘occasione nella politica e nelle aziende, per cominciare a pensare al tema vitale dell’oggi, e cioè al ridimensionamento del sistema dei sette nani generalisti che, con la abnorme dilatazione di offerta a bassa densità di capitale e valore, costituisce la vera palla al piede delle potenzialità creative, industriali e di lavoro dell’Italia in questo campo.

Stefano Balassone

0
05/09/2013

Per capire bene

Se a qualcuno è sfuggita una buona analisi del decreto cultura, eccone a voi una davvero eccellente.

Fonte: Tafter

0
05/09/2013

Stefano Balassone

Da quando ho scoperto l’analisi quotidiana dell’auditel che conduce Stefano Balassone sul quotidiano Europa, sento di essere divenuto un tossicodipendente irrecuperabile.
L’acutezza della sua lettura del mondo, dettata dalla lunga esperienza di commissioning editor televisivo, sono essenziali per capire grazie alla tv, cosa accade fuori di essa.

Per capirci, leggere questa teoria dei “sette nani” per crederci:

“Il panorama della tv generalista d’agosto, la stagione più “bassa della tv”,  quest’anno somiglia ai sette nani senza Biancaneve. Prescindiamo dal 2012, quando la trasmissione delle Olimpiadi  dal 27 luglio al 12 agosto,  ha sconvolto gli equilibri normali dei palinsesti, e guardiamo al confronto fra il 2011 e il 2013. Da allora le reti “generaliste” hanno implacabilmente perso punti di share: quelle Rai da un punto a un punto e mezzo ciascuna; quelle Mediaset da due punti a due punti e mezzo per ognuna. Risultato: nell’agosto appena trascorso Rai 1, la rete più “grande”, vale il 16%, seguita da Canale 5 al 12%. Mentre le reti “minori” del duopolio si piazzano fra il massimo di Rai2 (7,5%) e il minimo di Rete4 (4,7%). Anche la 7 si contrae da 3,7 a 2,8 punti di share. È vero che parte delle perdite sono recuperate dal maggiore ascolto della miriade di “canalini” fatti di repliche con cui Rai e Mediaset, e La7 con la sola La7D, hanno intasato la tv del digitale terrestre, ma il saldo per i due più grossi è comunque fortemente negativo. E così abbiamo una tv generalista per così dire mancata,  abitata solo da sette nani più o meno bassi. Non sappiamo quanto ciò possa piacere agli investitori pubblicitari che così dispongono solo di canali privi dell’”aura” di chi “sta sulle bocche di tutti”. Di sicuro è una situazione solo italiana, perché all’estero lo spazio della tv generalista è occupato non dai sette nanetti, ma da quattro o cinque Biancaneve, di cui almeno un paio di formato gigante (cioè fra il 30% e il 40% degli ascolti, come TF1 e France 2 in Francia, oppure BBC1 e ITV in Inghilterra).
Una televisione generalista spappolata come la nostra –e vedremo presto se si tratta di un fatale piano inclinato- non è frutto di “errori”, ma della vecchia logica di potenza posta a presidio del Duopolio, vale a dire occupare tutti gli spazi (con tre reti per parte e La7 a reggere il moccolo) a ogni possibile concorrenza. Per decenni il trucchetto ha funzionato e i beneficiari si sono riempite le tasche spennandoci senza che alcuno protestasse. Ora questa situazione rischia di mutilare il sistema della tv delle sue “piazze” generaliste facendoci ritrovare, ognuno per la sua mania, a sfogliare i canali tematici. E ci domandiamo: la democrazia, può sopportare la scomparsa della “piazza elettronica”, e cioè di una vera tv generalista? E con essa l’eclissi dei comuni denominatori che identificano la comunità?”

Fonti:

Europa quotidiano

Stefano Balassone

 

0
28/08/2013

Venezia, Roma. Che fare?

Si inseguono in queste ore articoli e commenti, invero pepati e maliziosi, sul destino del Festival di Venezia e del suo rapporto con quello romano.
C’è già chi ritiene il direttore Barbera troppo presuntuoso e chi detesta Marco Muller e la sua scelta di aver “collaborato” con il nemico di classe.
Io penso che le parole siano importanti, almeno quanto le scelte che si fanno – in qualità di direttore artistico di un grande festival culturale internazionale -.

Quella di Venezia, infatti, s’intitola “Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica”. Ha come scopo quello di proporre al pubblico e agli addetti ai lavori un cinema non necessariamente commerciale, capace cioè di giungere e soddisfare i gusti di un grande pubblico, ma di coltivare nuovi terreni, scoprire nuovi talenti, diffondere “arte cinematografica”.

Vedremo dunque i film selezionati in e fuori concorso al Lido e li giudicheremo singolarmente e nel loro complesso.
Tuttavia si può già oggi dire che Amelio, Dante, Rosi sono tre perfetti rappresentanti del cinema d’arte italiano e che per i temi e gli stili scelti sono tre scelte rischiose e dunque corrette. Dal punto di vista di un festival d’arte. Parimenti possiamo dire delle scelte straniere: Franco, Landesman, Gitai, Miyazaki, Frears (nostro ospite all’ultimo Bif&st), Gilliam, Morris, Avranas, Dolan, Allouache, Reichardt sono scelte assai lontane – come ci ricorda ottimamente l’editoriale odierno di Mereghetti sul Corsera – dal gusto medio cinematografico e dunque sono coerenti con le finalità della Mostra veneziana.

Perché l’arte è spiazzamento, ribaltamento, innovazione, scarto, bellezza, ricerca.
Mentre l’industria culturale serve a democratizzare l’arte, a renderla fruibile anche alle masse, a tradurla in formae riprodotte.

Al momento non conosciamo invece il programma del prossimo “Festival internazionale del film” di Roma. Sappiamo che è stato scelto un professionista serio e stimato come Massimo Saidel per dirigerne e rilanciarne il mercato. E abbiamo letto le dichiarazioni programmatiche dell’Assessore regionale del Lazio, la scrittrice Lidia Ravera e del suo Presidente Nicola Zingaretti, che annunciano di voler fondere il “Roma fiction festival”, ideato dal “nostro” Felice Laudadio (quanta buona Puglia c’è nel mondo!) e il festival del cinema, puntando sulla costruzione di un vero, grande mercato dell’audiovisivo che abbia in Roma la sua autorevole piattaforma.

Ecco, a me pare che questa scelta sia giustissima. Personalmente la predico da anni: a Roma serve un grande serio, credibile ed utile mercato. Del quale possano beneficiare anche le film commission (che invece a Venezia raccolgono poco o nulla in termini di contatti di business). Corollario del mercato sia un grande festival dell’audiovisivo (cinema e fiction televisiva, con incursioni nei format più innovativi), distribuito sul territorio capitolino, di modo da coinvolgere il generoso pubblico romano e di uscire dalla trappola del “tappeto rosso”, tanto inutile, quanto dispendioso.

Il Bif&st ci insegna che un festival è grande, nei numeri, se grande è l’affetto del suo pubblico. Il mercato ha invece bisogno di strutture e servizi che il Lido non potrà mai offrire.

E allora, in assenza di una politica nazionale che decida e orienti, ci pensino le forze dell’industria e gli amministratori locali a dare questo orientamento davvero necessario e – credo – intelligente: a Roma si fondino i due festival, creandone uno innovativo e unico specializzato in audiovisivo e si ri-crei il mercato dell’audiovisivo italiano che possa competere con Marché e Mip. Lo avevamo, si chiamava Mifed e si teneva a Milan: lo hanno distrutto. Colpevolmente.

Venezia continui invece a fare quel che per 7o anni ha saputo fare per pubblico e industria: scovare e far conoscere il cinema più avanzato, creativo, innovativo.

Ne abbiamo e sempre avremo bisogno.

Archivio contenuti|«6789101112 » »|