Mentre.
Mentre si agitano spettri intorno alla Rai del monopsonio, Stefano Balassone continua la sua arguta osservazione del consumo televisivo e della mutevole società italiana.
Eccone l’ennesimo prezioso saggio.
“Cinque anni orsono, al tempo delle precedenti elezioni europee, quando il fallimento Lehman era ancora fresco e Obama neo presidente era intento a raccogliere i cocci di Bush, quando “crisi” si scriveva ancora con la minuscola e quando Berlusconi era il Premier con la maiuscola, a guardare la tv del mattino c’era una media di 6 milioni di spettatori, prevalentemente casalinghe e anziani.
A questi, con l’avanzare delle difficoltà dell’economia si sono aggiunti parecchi giovani, molte donne che avevano un lavoro discretamente retribuito, oltre a tante altre che hanno smesso di guadagnare anche quel poco che gli riusciva. Per non parlare della reclusione forzata cui sono stati costretti molti pensionati che se prima uscivano per il caffè al bar e per comprare il giornale, ora dovevano rinunciarci per dare una mano ai figli col mutuo da pagare. Sicché oggi il popolo della tv del mattino è arrivato a 7 e passa milioni.
Per alcune categorie, a giudicare dalla permanenza in casa davanti alla tv, questi cinque anni sono stati di peggioramento senza sosta (è il caso delle lavoratrici e dei lavoratori meno qualificati, nonché delle pensionate a basso reddito) e la situazione non accenna a migliorare, tant’è che il numero dei reclusi casalinghi sta ancora aumentando in questo maggio 2014 rispetto a quanti siano mai stati dal 2009 in poi. Per altri sono ricominciate le libere uscite. Alcuni titolari di pensioni medio-basse sembrano tornare a comprare caffè e giornale; più giovani escono da casa, e vuol dire che qualcuno ha trovato trovare i soldi e una ragione per andare da qualche parte.
Tra le regioni, sempre a dar fiducia alla correlazione “più casa=più crisi” sembra che se la stiano cavando meglio il Piemonte, la Lombardia e l’Abruzzo, mentre nel triveneto tira ancora brutta aria (in particolare nel Friuli) e lo stesso vale per tutte le regioni centrali. Nel Sud, sorpresa, se la cava la Campania (con la Basilicata), mentre il buio sembra pesto innanzitutto in Calabria, ma anche in Sicilia e Sardegna.
A contatto dei dati nel loro assieme ci si fa l’idea che questa Crisi stia differenziando il paese lungo tre spartiacque: territoriale, sociale, di sesso.
Guardando ai territori si osserva che alla faccia della crisi dell’auto torinese e della sparizione dei poli industriali lombardi come Sesto San Giovanni, si ri-allarga la differenza fra le regioni del vecchio “triangolo industriale” (in verità solo Piemonte e Lombardia, perché la Liguria non se la passa bene) e il resto dell’Italia. Come se le regioni centrali e meridionali, che erano pervenute più tardi al decollo industriale, stessero facendo più fatica a cambiare processi e prodotti sotto la spinta della globalizzazione. Ed è chiaro che questa fatica coincide con la difficoltà delle piccolissime imprese a investire su ricerca e innovazione.
A livello sociale, non c’è alcun dubbio, che la forbice si stia allargando, senza interruzione, come se un numero crescente di italiani, i meno dotati di “capitale culturale”, fossero ormai strutturalmente tagliati fuori dallo sviluppo. E la cosa non sorprende, visto che i prodotti competitivi nella globalizzazione sono quelli a più alta densità di valore tecnologico e culturale.
Infine, pesa la differenza di sesso, perché, a vedere quante ne sono tornate davanti ai fornelli della tv, le donne, specie quelle oltre la mezza età, appaiono le più penalizzate, probabilmente per le ragioni di sempre: hanno studiato di meno, devono pensare alla famiglia, etc etc. Sicché, mentre ci si compiace, giustamente, dei riconoscimenti alla parità di genere, a livello politico, istituzionale e perfino dei Cda delle grandi imprese, potrebbe stare accadendo che la condizione femminile stia velocemente retrocedendo.
Sotto gli occhi impassibili dell’auditel. E scandendo di fatto l’ordine del giorno alla politica visto che, se le suggestioni che ci colgono sono fondate, nel paese sta maturando un Titanic in cui gli “uomini” saltano nelle scialuppe mentre “donne e i bambini” restano a bordo a sentire le note dell’orchestrina televisiva.”
Fonte: Stefano Balassone