Diario
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16/05/2014

Mentre.

Mentre si agitano spettri intorno alla Rai del monopsonio, Stefano Balassone continua la sua arguta osservazione del consumo televisivo e della mutevole società italiana.
Eccone l’ennesimo prezioso saggio.

“Cinque anni orsono, al tempo delle precedenti elezioni europee, quando il fallimento Lehman era ancora fresco e Obama neo presidente era intento a raccogliere i cocci di Bush, quando “crisi” si scriveva ancora con la minuscola e quando Berlusconi era il Premier con la maiuscola, a guardare la tv del mattino c’era una media di 6 milioni di spettatori, prevalentemente casalinghe e anziani.
A questi, con l’avanzare delle difficoltà dell’economia si sono aggiunti parecchi giovani, molte donne che avevano un lavoro discretamente retribuito, oltre a tante altre che hanno smesso di guadagnare anche quel poco che gli riusciva. Per non parlare della reclusione forzata cui sono stati costretti molti pensionati che se prima uscivano per il caffè al bar e per comprare il giornale, ora dovevano rinunciarci per dare una mano ai figli col mutuo da pagare. Sicché oggi il popolo della tv del mattino è arrivato a 7 e passa milioni.
Per alcune categorie, a giudicare dalla permanenza in casa davanti alla tv, questi cinque anni sono stati di peggioramento senza sosta (è il caso delle lavoratrici e dei lavoratori meno qualificati, nonché delle pensionate a basso reddito) e la situazione non accenna a migliorare, tant’è che il numero dei reclusi casalinghi sta ancora aumentando in questo maggio 2014 rispetto a quanti siano mai stati dal 2009 in poi. Per altri sono ricominciate le libere uscite. Alcuni titolari di pensioni medio-basse sembrano tornare a comprare caffè e giornale; più giovani escono da casa, e vuol dire che qualcuno ha trovato trovare i soldi e una ragione per andare da qualche parte.
Tra le regioni, sempre a dar fiducia alla correlazione “più casa=più crisi” sembra che se la stiano cavando meglio il Piemonte, la Lombardia e l’Abruzzo, mentre nel triveneto tira ancora brutta aria (in particolare nel Friuli) e lo stesso vale per tutte le regioni centrali. Nel Sud, sorpresa, se la cava la Campania (con la Basilicata), mentre il buio sembra pesto innanzitutto in Calabria, ma anche in Sicilia e Sardegna.
A contatto dei dati nel loro assieme ci si fa l’idea che questa Crisi stia differenziando il paese lungo tre spartiacque: territoriale, sociale, di sesso.
Guardando ai territori si osserva che alla faccia della crisi dell’auto torinese e della sparizione dei poli industriali lombardi come Sesto San Giovanni, si ri-allarga la differenza fra le regioni del vecchio “triangolo industriale” (in verità solo Piemonte e Lombardia, perché la Liguria non se la passa bene) e il resto dell’Italia. Come se le regioni centrali e meridionali, che erano pervenute più tardi al decollo industriale, stessero facendo più fatica a cambiare processi e prodotti sotto la spinta della globalizzazione. Ed è chiaro che questa fatica coincide con la difficoltà delle piccolissime imprese a investire su ricerca e innovazione.
A livello sociale, non c’è alcun dubbio, che la forbice si stia allargando, senza interruzione, come se un numero crescente di italiani, i meno dotati di “capitale culturale”, fossero ormai strutturalmente tagliati fuori dallo sviluppo. E la cosa non sorprende, visto che i prodotti competitivi nella globalizzazione sono quelli a più alta densità di valore tecnologico e culturale.
Infine, pesa la differenza di sesso, perché, a vedere quante ne sono tornate davanti ai fornelli della tv, le donne, specie quelle oltre la mezza età, appaiono le più penalizzate, probabilmente per le ragioni di sempre: hanno studiato di meno, devono pensare alla famiglia, etc etc. Sicché, mentre ci si compiace, giustamente, dei riconoscimenti alla parità di genere, a livello politico, istituzionale e perfino dei Cda delle grandi imprese, potrebbe stare accadendo che la condizione femminile stia velocemente retrocedendo.
Sotto gli occhi impassibili dell’auditel. E scandendo di fatto l’ordine del giorno alla politica visto che, se le suggestioni che ci colgono sono fondate, nel paese sta maturando un Titanic in cui gli “uomini” saltano nelle scialuppe mentre “donne e i bambini” restano a bordo a sentire le note dell’orchestrina televisiva.”

Fonte: Stefano Balassone

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12/05/2014

Libertà = modernità.

La notizia che l’Antitrust ha bloccato la legge regionale toscana mi ha messo di buon umore oggi.
Libertà di intrapresa significa modernizzare il sistema e incrementare il pubblico, non dividere una torta già piccola. Anche perché nuove sale e schermi significano maggiore qualità e aumento della propensione al consumo di cinema, di multiprogrammazione, di offerta diversificata e concorrenziale. Come non capirlo?

Fonte: Eduesse

“In una comunicazione inviata alla Regione Toscana, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, espone elementi di critica relativamente alla legge della Regione Toscana 25 febbraio 2010, n. 21, e nel relativo decreto di attuazione, D.P.G.R. 6 giugno 2011, n. 22/R, che disciplina l’apertura sale. Nello specifico la normativa subordina l’apertura di sale con un numero complessivo di posti superiore a 700 e di multisale medie e grandi ad un parametro definito dalla Regione, con cadenza annuale, per ciascuna provincia, sulla base del rapporto tra il numero di posti cinema e la popolazione. Inoltre, prevede distanze minime (15 km) per le multisale con più di 8 schermi e dispone che l’apertura di multisale medie e grandi possa essere subordinata a specifiche misure relative sia alla struttura che all’offerta di servizi (ad esempio la programmazione al cinema indipendente). Infine, la normativa in esame prevede l’autorizzazione anche per l’apertura di sale con meno di 700 posti e per piccole multisale qualora queste siano localizzate nella medesima struttura immobiliare di altre sale «ovvero nella compagine societaria siano presenti soggetti che hanno trasferito posti cinema nei 5 anni precedenti». Come rilevato in altre segnalazioni, «l’Autorità ritiene che la previsione di regimi di autorizzazione preventiva, nonché l’imposizione di vincoli in termini di distanze minime e di caratteristiche delle strutture cinematografiche, si traducano, in un contingentamento delle sale cinematografiche risultando, pertanto, idonee a limitare l’accesso di nuovi operatori nel mercato e a impedire il pieno operare dei meccanismi concorrenziali». L’Autorità osserva anche che «non vi sono controindicazioni ai fini della promozione della cultura derivanti dalla maggiore diffusione di opere cinematografiche, che presumibilmente conseguirebbe alla rimozione dei vincoli normativi e amministrativi all’accesso presenti nella regione Toscana. Alla luce delle considerazioni svolte, l’Autorità auspica la rimozione dei vincoli di autorizzazione preventiva».”

 

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07/05/2014

Marina

Ho visto ieri sera il film “Marina”, del regista belga Coninx, già candidato all’Oscar e coprodotto dai fratelli Dardenne.
E’ la storia liberamente ispirata alla vita di Rocco Granata, il musicista emigrante italiano che conobbe il successo nei tardi anni cinquanta del secolo scorso grazie alla famosa canzone “Marina”.
Ed è una storia classica, melodrammatica e insieme lieve, di un talento incomprimibile che deve fare i conti con la durezza della vita sradicata, degli affetti impossibili, del lavoro duro e delle umiliazioni di tutti gli uomini e le donne del Sud. Che reagiscono con talento e straordinaria dignità alle vessazioni di una vita grama e pesantissima.

Confesso che sul finire del film, quando Lo Cascio si rompe in un urlo disperante, ho avuto i brividi e ho pensato a tutti noi meridionali del mondo intero. Alla nostra voglia di emergere, con dignità e coraggio, al lavoro duro che occorre. Ed ho pianto, pensando a quella genitorialità dura, ma pure capace di tenerezza, che mio padre mi racconta aver subito da ragazzo a sua volta.

E nelle parole di Rocco, sul palco del Carnegie Hall newyorchese, c’è tutta la voglia di riscatto di un popolo intero.
“Marina” merita di esser visto, perché parla di noi. Di tutti noi.

Ps: andate a vedere “Locke”. Il più bel film visto a Venezia.

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30/04/2014

Ecco il vero tema del momento.

Inutile affannarsi sul resto. Questo è il vero tema del momento (e degli anni a venire).
E a capirlo dev’essere innanzitutto Matteo Renzi.
Complimenti per l’analisi di Michele Mezza per Key Biz.

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30/04/2014

La vera tragedia italiana.

E’ questa la vera tragedia italiana: un cittadino su due non arriva a leggere nemmeno un libro l’anno.
Ecco come si spiega il ritardo nazionale su quasi tutti i temi dell’innovazione. Non solo tecnologica, ma anche sociale, politica, economica.

Problemi che vengono da lontano: dalla scuola ridotta in macerie, alla famiglia issata sul pinnacolo delle politicacce pro vita e massacrata nelle politiche economiche e culturali.
Per approfondire vi rimando a Zaccone su Tafter.

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30/04/2014

Tra una cosa e l’altra.

Or ora, tra una cosa e l’altra, il lusco e il brusco, abbiamo raggiungo le 200 produzioni audiovisive sostenute direttamente dalla Apulia Film Commission dal 2007 a oggi.
Duecento, dico, duecento.
C’è da festeggiare cavoli.

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29/04/2014

Prove tecniche di nuova televisione

Cito Stefano Balassone:

Pochi se ne sono accorti, ma il 25 aprile Mediaset ha fatto una mossa di non piccolo significato trasmettendo la prima puntata di una telenovela spagnola, che dopo il lancio sull’ammiraglia, avrebbe dovuto proseguire la navigazione su Rete4, a partire dal Primo maggio.
Protagonista de’  Il tempo e il coraggio dell’amore è Sira che nella seconda puntata si sveglierà, a quanto si legge, legata a un letto d’ospedale con la rivelazione di avere perso il figlio che portava in grembo (sarà perdita vera oppure no?). Ebbene, è accaduto che l’operina acquistata a Madrid sia stata accolta benissimo perché non se la sono fatta sfuggire gli spettatori che da tempo stanno decretando il successo della precedente telenovela di provenienza iberica: Il Segreto.
La sorella maggiore due giorni prima aveva raccolto il 14,5% dell’ascolto totale della serata; la novellina è subito partita con il 13,5%; attraendo più uomini rispetto alla prima (sarà perché c’è di mezzo anche una qualche prospettiva di “action” grazie alla concomitanza della Guerra Civile in Spagna), ma tra le signore il dato è comunque di tutto rispetto, particolarmente per quelle comprese fra i 25 e i 55 anni, l’età in cui si consuma di più per sé e per la famiglia, che costituiscono l’oggetto di culto per chiunque faccia pubblicità in televisione; la collocazione sociale è molto più elevata (le élites e in genere i laureati raddoppiano rispetto a Il Segreto, con i loro cospicui budget indipendenti rispetto al cuneo fiscale (il bonus Matteo); applausi vigorosi in quasi tutto il Sud e particolarmente in Calabria e Sicilia, la Mecca dei programmatori delle fiction cuori e dolori. .
Davanti a queste cifre è arrivato tempestivo il contrordine: «la Sira, con quel ben di dio del figlio che chissà se…, ce la teniamo su Canale5», a macinare ricavi pubblicitari ben maggiori di quelli che potrebbe fornirci su Rete4. Questa la versione ufficiale.
Nella realtà sospettiamo che a Cologno Monzese abbiamo scelto un lancio in sottotono: se andava male toccava a Rete4; se andava bene si restava a su Canale5. È andata bene, almeno per ora.
Resta però il punto davvero interessante: Mediaset sembra pronta ad allentare il modello delle reti generaliste “identitarie” (sia pure riferite a identità da marketing: Canale5 per le classi attive, Italia1 per l’età dei brufoli, Rete4 per quella dei capelli bianchissimi) lasciando intravedere un prossimo futuro in cui l’ammiraglia generalista sarà davvero una sola, mentre Rete4 e Italia1 le forniscono all’occorrenza i pezzi di ricambio o ne ospitano gli scarti. Definiremmo il tutto come un ripiegamento strategico di fronte al costo pesante, anche per la strutturale crisi della pubblicità, del mantenimento di tre “vere reti”.
Insomma, Mediaset si muove nella crisi componendo palinsesti con la flessibilità consentita a chi da sempre fa conto sui prodotti acquistati (e di questi tempi va alla grande il prodotto spagnolo).
La campana però suona anche per la Rai, inchiodata a tre reti la cui differenziazione identitaria non può basarsi sui marketing (in fondo è il servizio pubblico, no?), ma nemmeno proseguire con i fantasmi “pluralisti” (un tg al governo, uno all’opposizione, l’altro un po’ e un po’) che la fanno, immeritatamente per chi ci lavora, assomigliare alla nave dell’olandese volante che ne’ I pirati dei Caraibi è manovrata da una buffa compagnia di zombie. E poi perché, a colpi di prodotti di acquisto Mediaset potrebbe riuscire a mangiarle, come si dice, “la pappa in capo”, alla faccia degli estenuati e interminabili show/talent (al primo esordio la telenovela acquistata con quattro soldi ha raccolto la stessa audience de’ La Pista, l’ultima fatica affidata da Raiuno a Flavio Insinna) che o costano un occhio della testa o fanno fuggire il pubblico al pari delle epidemie riferite da Tucidide e Boccaccio.

Fonte: Europa

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14/04/2014

Chi vincerà?

Leggete questo articolo di KeyBiz e ditemi, chi vincerà nel prossimo futuro: la pura rete o l’offerta satellitare?
Questo è uno dei dilemmi del presente.
Ah, non date risposte affrettate o superficiali. Mi raccomando!

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14/04/2014

L’articolo più importante

E’ finito il Bif&st 2014 e come sempre noi che stiamo dietro le quinte ad organizzarlo e gestirlo amministrativamente, andiamo in depressione post eventistica.
Succede sempre così. Tanto più è bella l’edizione, quanto più ne soffriamo la mancanza.
Oggi però siamo stati corroborati da un semplice articolo di piccola inchiesta locale: un giornalista della cronaca ha chiesto a vari esercenti e commercianti cittadini cosa pensassero del Bif&st.
E questi hanno spiegato che vorrebbero un festival così lungo un anno intero. Perché l’evento culturale produce qualità sociale e determina comportamenti anticiclici sotto il profilo economico: la spesa aumenta e con essa l’economia di un territorio.

Ma il Bif&st non è solo economia, è ricchezza immateriale, è conoscenza, è innalzamento del gusto medio, è attitudine culturale, è gioia di condividere, è – appunto – qualità sociale.
Appuntamento, dunque, a fine marzo 2015.
Noi ci saremo. E voi?

 

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07/04/2014

Mennitti

Sono colpito dalla scomparsa di Domenico Mennitti, ex sindaco di Brindisi, persona proba e per bene, sindaco capace, uomo di lettere e di grande sensibilità.
Fu lui a cofondare – dinanzi al notaio – l’Apulia Film Commission, insieme a Nichi Vendola, Giovanni Pellegrino, Adriana Poli Bortone, Michele Emiliano.
Buon eterno riposo Sindaco.

 

 

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